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Ce ne stiamo tutti riuniti attorno ad un tavolo nel lido di Michele. Athina scarabocchia qualcosa su di un foglio, Antonio aggiorna i libri contabili, Michele ha lo sguardo perso nel vuoto. Qualche anno in più, solo quello, il resto è storia che si ripete tra lo scorcio di queste montagne benedette. 

Una bottiglia di Peroni ghiacciata al centro e quattro bicchieri di vetro. Dio non voglia che i baristi servano tale bevanda accompagnata da involucri di plastica. Un'idea aberrante per i detrattori della schiumetta. La Peroni, quella vera, va tirata fuori dal freezer un attimo prima che presenti le scagliette di ghiaccio e obbligatoriamente va tracannata di gesto, senza prender fiato. Segue asciugatura delle labbra sporche con il polso della maglia.

Antonio allunga l'occhio, perplesso, in direzione del suo amico fidato. Lo scruta, lo studia, lo interroga silenziosamente con le sue pupille color nocciola. Ci conosciamo da così tanto tempo da sapere a cosa sta pensando. Condivido a pieno il suo pensiero. Anche io mi pongo il medesimo quesito.
Antonio si stoppa, lascia che la penna cada sulla carta ed incrocia le braccia. Probabilmente stamane ha deciso di sbarbarsi, dettaglio celebrato dalla mia amica Titì che mal vedeva quel barbone rossiccio sulle guance del marito. Antonio, nonostante i suoi trent'anni, appare il ragazzino dell'adolescenza minorese, quello deciso a fare sua la fanciulla da sempre amata.

Michè, tutto bene?

Una domanda la sua apparentemente banale, ma non in questa circostanza,  se si tiene conto dello sguardo sbarrato di Michele. Immobile, rigido, con la schiena appoggiata alla sedia. Un tronco, mi chiedo se respiri.

Antò, domani inauguriamo il ristorante del lido- poche parole efficaci a chiarire il perché di tanta tensione. Un passo impossibile da rimandare quello dell'apertura del Speranza, il luogo di ristoro adiacente allo Stella. Un investimento non indifferente, che urge dei guadagni per arginare i debiti contratti.

Eh, o' sacc, Michè- esclama refrattario Antonio. Gli molla una pacca sulla spalla, per smorzare la tensione- non stiamo mica messi male. Non ti ricordi con il bar? Non avevamo neppure una lira in tasca e ci siamo riusciti lo stesso- gesticola animatamente- certo, i debiti ci stanno, ma i guadagni non mancano e ringraziando a Dio i locali erano ristrutturati.

In effetti ha ragione Antonio. All'epoca la gestione del bar non fu un salto nel vuoto, di più. Si indebitarono fino al collo, malgrado zio Fabrizio avesse lasciato a Michele qualche milione delle vecchie lire.
Diversamente dalla struttura dove ci ritroviamo, di vecchia costruzione, ma rimodernata nel corso degli anni.
Lo strano destino di Michele, un imprenditore che deve la sua fortuna al padre che l'ha accolto e a quello che l'ha rifiutato.

Lo so, Antò- replica Michele- ma questa volta è diverso, lo faccio per i miei fratelli- fa roteare le pupille- fosse stato per me, avrei dato in gestione tutto, ristorante e lido. Il bar è casa mia.

Un ulteriore pacca sulla spalla- dai tempo a Monia e Vittorio di tornare e se la sciroppano loro tutta sta storia.

L'avevo intuita questa nostalgia verso il bar. In fondo è così che Michele si definisce, un barista con il suo bel locale con arredo in vimini.

Maronn, Antò, m'staj struppian e mazziat! (Antonio, mi stai riempiendo di schiaffi)- sbotta Michele. E come dargli torto, la pelle leggermente arrossata la dice lunga. Ma anche questo torna utile a far ridimensionare l'ansia di mio cugino. 

Interviene Athina- Michè, io ti voglio bene, ma talvolta vorrei romperti la testa. Tu devi fare ciò che senti giusto. Che cavolo hai creato a fare tutto sto ambaradan se non ti va di gestirlo? Miche, Vittorio e Monia sono adulti, stanno in giro per il mondo, fanno i cavoli loro. Tu la devi piantare di sentirti costantemente responsabile per loro, non sono figli tuoi e se anche lo fossero, lascia che sbaglino.

Ha ragione- condivido le parole di Titì- non puoi continuare così, a maggior ragione perché i ragazzi non te l'hanno chiesto. Probabilmente sono entusiasti di tornare e prendere le redini di un'ottima attività, ma dovevi far in modo che se lo stentassero da soli -gli accarezzo la mano- fatti da parte per te stesso. Sembra che tu debba espiare chissà quali colpe da dover rendere tutti felici, eccetto te.

Esatto- intonano insieme i coniugi Esposito.

Ma vi siete coalizzati?- risponde sarcastico Michele.

Si- sentenzia Antonio- Michè, vatti a fare un giro- poi si rivolge a me- Gioia portati questo a fare una passeggiata che dà fastidio. Io e Athina andiamo via- si alza, prendendo delicatamente la mano della moglie- oggi è festa, si lavora domani con l'inaugurazione. 

Antonio richiama l'attenzione dell'aiutante di Michele- giovane, queste sono le chiavi- gli lancia il portachiavi- veditela tu, così impari il mestiere.

Fatto ciò, nel pieno dello sbigottimento generale, alza la mano e chiosa- waju'(ragazzi), è stato un piacere di pazzi, ma mo' non vi sopporto più. Vado a mangiare una pizza con mia moglie.

Ci alziamo tutti per salutarci.

Michele annuisce- quasi quasi porto anche la mia a pranzo fuori.

Di scatto l'osservo, con occhi dilatati. Mi ricambia con un cenno di sorriso. Titì mi si avvicina per un fugace bacio sulla guancia. Gli occhiali da sole sul capo le tirano indietro la folta frangia nera.

Mi abbraccia a se e durante i convenevoli sussurra al mio orecchio un sottile ma udibile ti devo parlare, con un accezione così potente e profonda che l'esclamazione di Michele quasi mi appare una semplice battuta.



Fine prima parte
A presto e grazie!

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