Epilogue

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Sovrano regnava il silenzio.
Un silenzio anonimo, di poco carattere: assolutamente ordinario. Quella mattina era tutto, davvero tutto, fuorché ordinaria.
Un abbaglio di luce si faceva spazio fra la distrazione delle persone, dal dispiacere di non riuscire ad evitare di essere egoisti neanche per un momento.
L'aria era insopportabilmente pesante: essere lì era l'ultima cosa che volevano, avrebbero dato la loro di vita pur di poter cambiare, avere la forza di catapultarsi ovunque e da nessuna parte, con quel corpo pallido ed esanime, in letargica quiete.
Stremato, stanco di lottare in una battaglia a senso unico, destinata a terminare tragicamente in un incidente di percorso: in un picco di straziante fissità della realtà, in cui una sola occhiata a sé stesso ne avrebbe provocato la discesa verso l'Ade, o qualsiasi Aldilà l'uomo avesse inventato per colmare  un vuoto a cui non c'è spiegazione.

Che senso ha sopravvivere sapendo di dover morire, prima o poi? Di inciampare, cadere, e trascinare lungo il baratro chiunque si avvicini.
 Interrogarsi sull'astratto, sull'inesistenza di un concetto, solo per non lasciare che l'umanità realizzi che, alla fine, non c'è un senso, esiste solo un filo di tenero interesse, di arguta curiosità che lega, stretti; attorno ad un albero maestro che oscilla fra le ventate di amare ingiustizie e irrimediabili stronzate.

Soffi di bucaneve, mazzi di ciclamino e puri crisantemi adornavano la bara. Fiori belli da togliere il fiato, tanto da accentuare quel groppo in gola che tutti sentivano.

Una vita che passa, un fiore che appassisce, ma che poi rinascerà.
Questo non sarebbe accaduto, però.
E tutti si chiedevano perché.

Forti e follemente strazianti singhiozzi si levavano dalle prime panche, alla fine della navata. Un cupo alone di malinconia torreggiava sulle teste dei testimoni, sui visi dei bambini era visibile il dolore, un sentimento talmente sconosciuto da risultare insolito, a tratti fuori luogo.
Era raro trovare qualcuno composto, in una sospettosa serenità: si contempla con quale velocità si passa a miglior vita, come quando si chiudono gli occhi e poi di riaprono, il giorno prima ti tengono compagnia allontanando ciò che sembra essere la negatività, quello dopo ne sono la causa.

La chiesa, alla fine, era spoglia, verniciata di un noioso bianco. A Leo faceva paura il bianco*.
Perché bianco significa vuoto, significa rinascita, e quindi morte.
Perché il bianco, alla fine, fa ancora più ribrezzo del nero. Il nero ha una sua ragione, rispecchia chi si trova a disagio in un mondo che è bianco.
Bianco come la neve, che si scioglie al sole, bianco come le candide, innocue nuvolette, che prima o poi scappano, e lasciano spazio ad un tale disordine, da risultare distruttivo.

Liam era una nuvola, trascinata dal vento più nero di cui si abbia conoscenza.

Louis, invece, era arrabbiato, indiavolato nero, furioso; perché non poteva prevederlo, perché, soprattutto, non poteva evitarlo.
Come non poteva evitare di singhiozzare così forte, da avere tutti gli sguardi su di sé.
Fissi, allarmati, compassionevoli.
Louis odiava la compassione, ma più di tutto odiava Liam, perciò era deciso ad alzarsi e rivelare chi fosse davvero quel paziente a cui nessuno poteva rinunciare.
E forse l'avrebbe persino aiutato a calmarsi, mentre Niall guardava dritto a terra, stringendo i pugni fino a rendere le nocche livide, a infilare le unghie nella carne dilatata dal calore.
Si tratteneva, lo sapevano tutti, e non lo sapeva nessuno.

Lo sapeva lui, e non lo sapeva nessun altro.
Era un piccolo segreto che teneva per lui, custodito in cuore assai silenzioso, ma che aveva voglia di ruggire, per scampare alla tristezza.
Harry, invece, non aveva chiuso occhio, era rimasto sveglio tutta la notte.
Inerme, nel letto di Louis, versando fiotti di lacrime, fino a lasciare che gli occhi facessero male, male quanto il suo organo che Liam aveva soprannominato "Il ruba-respiri".
Dolorante, addolorato, doloroso, curiosamente insopportabile.
Dottie e Dana non avevano spiaccicato parola, una singola sillaba, mentre Tucker aveva consumato dieci pacchi di fazzoletti.

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