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Riposi nel borsone nero anche l'ultimo vestito. Era quello giallo canarino, quello di nonna, il mio abito preferito. Non avevo molti vestiti, i migliori erano rimasti a casa. Misi anche le mie due paia di scarpe ed infine il libro che avevo preso dalla biblioteca del riformatorio e che dovevo ancora finire di leggere. Tom aveva detto che non dovevo portarlo, che avrei avuto molti più libri a disposizione. Passai le dita sulla copertina liscia.
"La casa sul canale" era il titolo del libro che mi teneva alla lettura per moltissime ore.
Chiusi la zip della borsa e mi sedetti sul letto senza più lenzuola. La camera era ancora più vuota di prima. La luce al neon illuminava quella che era stata la mia cassettiera per ben tre lunghi mesi. Mi stesi sul materasso e passai le dita sulla vecchia tastiera del letto arrivando fino al piccolo adesivo a forma di biberon che avevo attaccato il primo giorno. Avevo comprato quegli adesivi l'estate prima insieme a Jesse in un mercatino delle pulci. Me li aveva presi lui. Aveva detto che assomigliavano sorprendentemente ai miei tatuaggi, che erano stati fatti apposta per essere comprati da me. Lo avevo attaccato li perché ogni volta prima di addormentarmi lo guardavo a lungo e mi ricordava dolorosamente il ragazzo che mi aveva fatto innamorare.

 Lo avevo attaccato li perché ogni volta prima di addormentarmi lo guardavo a lungo e mi ricordava dolorosamente il ragazzo che mi aveva fatto innamorare

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Pensavo troppo spesso a lui, chiedendomi se stesse bene e se magari, qualche volta, pensasse a me.
Provai a staccare l'adesivo con le unghie, ma poi lasciai perdere.
Si era attaccato nello stesso modo in cui mi ero attaccata io a Jesse.
Portare quel l'adesivo con me non avrebbe riportato indietro Jesse.
Mi misi le scarpe e aspettai, giocherellando con il mio braccialetto e dondolando le gambe su e giù.
Ero sicura che tutti i ragazzi erano felici del mio trasferimento. La notizia si era diffusa in fretta.
Non ero pronta per affrontare tutto quello che mi aspettava. Le cose stavano accadendo tutte troppo velocemente, non avevo nemmeno avuto il tempo per abituarmi a quella nuova vita.
-Sei pronta?-
Tom si fermò sull'uscio della porta della mia ex stanza.
Annuì e presi il borsone. Tom si avvicinò e lo afferó. Indossava come al solito un completo formale e uniforme. Iniziavo a pensare che dormisse in giacca e cravatta.
I capelli erano spettanti e aveva due profonde occhiaie sotto i suoi occhi chiari, segno che la mia causa non lo faceva riposare abbastanza.
-Devi salutare i ragazzi? -
Scossi la testa. Non avevano bisogno del mio addio.
Uscimmo dalla camera e mi voltai un'ultima volta. Sospirai e seguii il mio avvocato lungo i corridoi .
I pochi ragazzi in giro per il corridoio mi osservarono sollevati.
Un'assistente mi venne a salutare augurandomi Buona fortuna.  Non sapevo nemmeno il suo nome.
Gli altri mi fecero un cenno con la testa, o mi ignorarono direttamente.
Passammo prima in ufficio del direttore per firmare alcune scartoffie che non mi ero nemmeno preoccupata di leggere.
Uscimmo fuori e presi una lunga boccata d'aria fresca.  Faceva freddo, così presi dal borsone la sciarpa di lana rosa fatta dalla nonna.
Per qualche ora, ero libera.
Vedere la strada, la città viva e piena di persone e luci natalizie era qualcosa di magico.
In penitenziario uscivano solo in cortile. Era poco curato e io solo sembrava non volesse mai colpire quello spazio di terra dimenticato da Dio.
Tom Hiddlon guidava piano, come se volesse che mi godessi il panorama intorno a me. Appiccicai il naso al finestrino ammirando ogni minimo dettaglio. Vedere altre facce era stupendo. Avrei voluto aprire lo sportello e scendere dall'auto in corsa. Magari Tom poteva farmi fuggire da qualche altra parte. Non c'erano poliziotti, eravamo solo io e lui. Tom disse qualcosa ma non risposi, troppo impegnata a guardarmi attorno. In quel momento desideravo la libertà come mai prima d'ora.
Quando arrivammo all'aeroporto, capii che la mia libertà momentanea era terminata.
Due poliziotti erano seduti in un bar e appena ci videro di alzarono.
Uno di loro andò a pagare il conto.
-Agente Jester. - Salutò Tom.
Il poliziotto ricambió il saluto e spostò l'attenzione su di me.
Mi squadró da Capo a piedi.
Il suo collega tornò e parlarono a bassa voce non smettendo mai di tenermi d'occhio.
Riuscii a sentire solo Tom che disse che non avevo bisogno di manette.
Uno dei poliziotti prese la mia borsa ed insieme ci avviamo verso il controllo bagagli.
I turisti ci osservavano curiosi tenendosi a debita distanza.
Sapevano chi ero.
Lo sapeva tutto il mondo.
I controlli furono più lunghi per me.
Pensavo mi chiedessero di spogliarmi.
Aspettammo per un ora il nostro volo seduti sulla sala d'attesa. Saremmo arrivati presto .
In meno di mezz'ora sarei tornata alla prigionia.
Quei pochi attimi di libertà erano stati belli.
In aereo mi sedetti affianco a Tom e al poliziotto che mi fissava in aeroporto.
Mi spostai vicino al finestrino per godermi più che potessi il panorama che non avrei visto per parecchio tempo.
Tremavo tutta.
Avevo paura per quello che mi aspettava. I manicomi erano i temi dei film horror,  non di certo di commedie.
Per quanto tempo sarei dovuta rimane lo dentro?
Il viaggio durò meno del previsto.
Ad attenderci fuori dall'aeroporto c'era una macchina della polizia.
No era così che volevo visitare New York. La grande mela é sempre stato un grande sogno per me.
Tom mi strinse la mano all'interno del abitacolo per darmi forza. Ne fui grata, ma fu  inutile.
Mi veniva da piangere. Attorno a me ammiravo  le luci degli enormi negozi dalle vetrine decorate e le persone che camminavano veloci nei marciapiedi.
Avrei voluto vedere quella bellissima città a natale. Doveva essere meravigliosa .
-Siamo arrivati.- Sussurró Tom.
Stavo quasi per addormentarmi, ma quando vidi l'onore struttura i miei occhi si spalancarono.
Era il più grande ospedale che avessi mai visto.
Deglutii e uscimmo dalla Macchina .
Tom prese il mio borsone e ci avviammo verso l'entrata.
Le gambe erano molli ed avevo la pelle d'oca. Volevo tornare indietro.
Mi fermai per osservare meglio il palazzo. La maggior parte delle finestre erano aperte. C'era un mucchio di gente che entrava e usciva. Nessuno di loro sembrava pazzo.
-Andiamo Kira. -
All'interno sembrava un normalissimo ospedale, solo molto più spazioso.
Persone normalissime che facevano controlli, visite oculistiche, dentistche e tutto quello che si poteva fare in un'ospedale.

MADHOUSE - La terapiaWhere stories live. Discover now