La Cittadella

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La sveglia suonò per le cinque e quaranta, il più improponibile fra gli orari che Chiara avesse mai sperimentato in tutta la sua vita. Si alzò dal letto ondeggiando come fosse una specie di morto vivente, si mise un paio di jeans di un paio di taglie superiori alla sua che aveva trovato nell' armadio, una maglietta nuova che odorava di naftalina e poi si diresse verso la porta per poi scendere al piano terra. Scesa la rampa di scale si diresse verso la porta che conduceva al salone, che era illuminato dalla luce delle braci del fuoco spentosi già da lungo tempo e dal lampadario di cristallo. Davanti alla porta d'uscita vi erano tre valigie, tutte dello stesso color marrone cuoio e tutte della stessa grandezza. Nel tavolo della sala da pranzo non vi era ancora nessuno se non la colazione. Sopra alla tavola vi erano tre piatti in ceramica bianca con appoggiate sopra ad essi tre tazze dai colori molto accesi, quasi come se dei fuochi artificiali fossero stati inseriti dentro alla ceramica mentre esplodevano nelle miriadi di fiammelle colorate che producevano allo scoppio.
Al centro della tavola vi erano due brocche in ferro e plastica contenenti bevande tremendamente calde a giudicare dalle colonne di vapore che salivano da esse, mentre un cesto vicino alle brocche era pieno di fette di pane caldo e dalla crosta dorata.
Era una visione celestiale per Chiara, che solitamente cercava di solito di mendicare o rubacchiare ai bar o ai forni i pochi avanzi che rimanevano.
Improvvisamente arrivò alle sue spalle Francesco. Chiara era molto felice di vedere che, a parte lei, anche qualcun'altro era al livello vitale di un morto.
<Hei, come va?> chiese il ragazzo facendo un mezzo sbadiglio dettato dal poco sonno e dalla sveglia mattutina.
I capelli castano scuri erano tutti scompigliati e dritti per il sonno, mentre vicino alle labbra vi era una piccola traccia di dentifricio non ancora seccatosi.
<Bene, grazie> rispose lei cercando la forza per sorridere<se non fosse per l'orario>.
<Capisco> disse lui sorridendo< Il maestro è sempre molto scrupoloso sugli orari e preferisce essere sempre in anticipo per poter svolgere il suo lavoro>.
<Non verrà a far colazione con noi?> chiese Chiara.
<Conoscendolo credo proprio di no> disse il novizio mentre si sedeva sulla sedia di fronte a lui<Però sono sicuro che noi possiamo anche iniziare senza di lui>.
Chiara lo imitò e si sedette sulla sedia di fianco al ragazzo, che già si versava del the nella tazza mentre lei spalmava del miele su una fetta di pane. Rimasero in silenzio un poco poi Chiara chiese al ragazzo.
<Perché quando eravamo nello studio del maestro piangevi?>.
Lui rimase un momento a fissare la tazza di the caldo poi si voltò verso di lei e rispose.
<Non...non vorrei parlare di questo...mi...mi dispiace> disse con voce spezzata.
<Oh scusami> si scusò lei< non...non volevo>.
<Tranquilla, non è colpa tua> disse lui continuando a fissare la tazza,da cui usciva il vapore dal calore all'interno del recipiente.
Chiara mangiò altre due fette di pane con un po' di latte poi andò verso il bagno nella sala di fianco per potersi lavare il volto e risvegliarsi da quello stato di morto che cammina, così si incamminò lungo il salone ma venne fermata da Francesco che le disse:< Senti mi dispiace per prima, ma è una storia che mi porta ancora del dolore e...non sono sicuro che tu...ecco...abbia voglia di sentirla>.

<Ora no> rispose Chiara sorridendo <Dopo sì>. Questa risposta doveva aver colpito Francesco, che spalancò gli occhi come sorpreso e facendogli spuntare un abbozzo di sorriso sulle piccole labbra tagliate dal freddo.

Entrò nel bagno e, dopo essersi tolta la maglietta, si diede una sciacquata alla faccia. Il freddo dell'acqua corrente la fece trasalire un momento per poi acutizzarle i sensi sopiti dall'orario inusuale e differente da tutte le sue solite mattine della sua vecchia vita,una vita ormai troppo distante da lei ora.

Guardandosi allo specchio però vedeva ancora la stessa ragazza di prima, la solita "gru" come la chiamava Alberto ma, con l'unica differenza che ora aveva un tatuaggio a forma di giglio ma il resto era uguale. Esteriormente era ancora la stessa ragazzina di quindici anni dai lunghi capelli neri, dalla pelle pallida e dai grandi occhi verdi. L'appartenenza a quell'ordine non l'aveva cambiata, era ancora insicura e debole, era ancora lei non una qualche eroina o personaggio delle fiabe che le raccontavano all'orfanotrofio.
Si rimise la maglietta ed uscì sconsolata dal bagno. Appena ritornò nella sala vide il maestro che, stava uscendo dalla porta che dava verso l'esterno, con una valigetta in cuio nero più piccola delle altre con marchiato a fuoco un simbolo strano, sembrava quasi la versione stilizzata di un volatile dalle lunghe ali e dal corpo sottile e slanciato.
<Prima di uscire mettiti una giacca figliola> disse il vecchio prima di uscire<Roma non è più calda come un tempo> e le lanciò all'improvviso un giaccone verdastro molto lungo e con più odore di naftalina della maglietta che indossava, rendendola così il nemico numero uno di ogni tarma magica del mondo.
Si mise la giacca e andò verso Francesco, che era alle prese con le valigie viste in precedenza.
<Vuoi una mano?> chiese con gentilezza Chiara al nuovo... .
Non sapeva sinceramente come definirlo in fondo si conoscevano solo da pochi giorni e non erano da considerarsi veramente amici, ma sconosciuti non erano e avevano legato piuttosto velocemente anche se le loro conversazioni non erano granché; ma di sicuro era la persona che si poteva avvicinare di più alla definizione di amico. E pensando a ciò gli tornava in mente Alberto. Chissà ora dov'era e come stava, ne sentiva in po' la mancanza di quel ragazzo triste e solo per cui nutriva ancora un po' di affetto.
<Sì, grazie> rispose l'amico, sì amico suonava bene <Prendi quella, credo sia la tua>.
Dopo aver preso la valigia seguì Francesco per poi uscire dalla casa. Varcata la soglia si ritrovò in un piccolo cortile soleggiato e curato con ai lati dei piccoli vigneti rossastri e bassi, come quelli che si trovavano nelle colline che circondavano Siena e che lei riusciva a vedere in quei pomeriggi di fine autunno.
Davanti a lei non vi era nulla. Nessuna auto, motorino o qualsiasi altro mezzo di trasporto.
Si guardò in giro cercando di capire se vi fosse una specie di garage o una rimessa per la macchina ma non vide nulla se non la casa, una vecchia villetta di due piani fatta in legno grigio che, per la vecchiaia, era ricoperto di macchie verdastre di muschio e con parti di muro in pietra,come quella che era stata utilizzata per il muro della sua camera. Il porticato era piccolo, con una piccola tettoia in legno sopra l'entrata dell'abitazione, da cui partiva un piccolo sentiero in ghiaia che conduceva fino al cancelletto di uscita ,che aveva ai lati un'alta siepe che delimitava il cortile esterno alla casa.

Agenzia Misteri- Il Libro del VentoWhere stories live. Discover now