Capitolo 14. Perdersi

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La consapevolezza di quel pensiero turbava Hermione più di quanto si sarebbe aspettata: i giorni che seguirono il processo furono i più terribili della sua vita, forse persino peggiori di quelli passati alla ricerca degli Horcrux.
Non seppe mai quale fu l'esatto momento in cui il fastidio si era trasformato in un'inspiegabile turbamento, e il suo sangue aveva cominciato a ribollire nelle vene per l'urgenza di vederlo; fatto sta che pensava a lui senza volerlo, e tanto più pensava a lui, quanto più le veniva la rabbia, e quanto più le veniva la rabbia, tanto più pensava a lui, finchè non fu qualcosa di così insopportabile che travolse la ragione. Lo struggimento amoroso, in effetti, era molto peggio del terrore provato durante la guerra, quando, esule senza una meta, vagava con i suoi amici alla ricerca di segni e oggetti oscuri: in quel periodo aveva la certezza che, prima o poi, tutto sarebbe finito, una certezza lucida e razionale che non aveva niente a che vedere con la follia in cui brancolava in quei giorni; tanto più che non era sola, mentre vagava in quell'angoscia. Ora, invece, si trovava a dover fare i conti non solo con questo nuovo sentimento, assolutamente sbagliato e inspiegabile, ma anche e soprattutto con un profondo senso di colpa nei confronti dei suoi amici, ai quali doveva nascondere tutto per necessità ed obbligo, e soprattutto a Ron.
Se questo turbamento interiore, infatti, era a loro del tutto ignoto, non sfuggì invece alla perspicacia di Ginny, che aveva intuito che c'era qualcosa che non andava nei comportamenti dell'amica, specie nei confronti di Ron, suo attuale fidanzato, nonché fratello della sopracitata, per il quale, per ragioni del tutto sconosciute a Hermione, la più piccola dei Weasley provava un'avversione esageratamente ostentata. Tuttavia, suo fratello non era l'unico ad essergli antipatico in quei giorni: Ginny aveva sviluppato una rabbia del tutto ingiustificata anche verso il suo attuale fidanzato, alias il Salvatore del Mongo Magico, alias Harry Potter. I motivi furono oscuri a Hermione fino a quando lei non si fece coraggio e domandò al diretto interessato per quale motivo la sua fidanzata sembrava volerlo uccidere con il solo sguardo.
«Voglio dire, capisco che ce l'abbia con Ron... voglio dire, è Ron» commentò Hermione, che non conosceva i veri motivi di quella rabbia; aveva un tono appena divertito, anche se segretamente colpevole, mentre apparecchiava la tavola aiutata dall'amico. «Ma perché Ginny ce l'ha con te?» domandò, e lo fissò dritto negli occhi. Harry sorrise dolcemente, imbarazzato come solo lui sapeva essere quando si parlava di questioni di cuore.
«Fa così da quella notte» rispose, stringendosi nelle spalle. «Era davvero arrabbiata quando siamo tornati. E anche la Signora Weasley. Hanno avuto davvero paura» Poggiò un piatto nel posto che solitamente occupava Ginny, e accarezzò con affetto la sua sedia, il volto addolcito da un'espressione che Hermione avrebbe tanto voluto vedere sul volto di... no, questo non doveva pensarlo! Scosse appena il capo, mentre il ragazzo, assorto, la rassicurò, ignaro del pensiero che gli era appena passato per la mente. «Comunque le passerà, non preoccuparti» Le sorrise, amichevole come sempre, e in fondo agli occhi aveva uno sguardo appena colpevole – per il segreto condiviso con Ron, che cercava continuamente di spingere affinchè rivelasse la verità a Hermione. Ma lei per il momento non sospettava nulla.
«Oh, Harry, le parlerò io» disse, accarezzandogli un braccio con fraterna dolcezza. «In fondo è anche colpa mia se è successo tutto questo» confessò, e abbassò lo sguardo, memore di ricordi che avrebbe fatto meglio ad affogare insieme a tutti i sentimenti che essi portavano con sé.
«Credo che ce l'abbia anche un po' con te» ammise Harry, e stavolta il sorriso scomparve dalle sue labbra per lasciar posto a un'espressione di puro rammarico. «È più che altro offesa perché non le abbiamo detto niente di tutta questa storia» chiosò con aria pensierosa. Il volto della ragazza si illuminò di consapevolezza. Depositò gli ultimi piatti sulla tavola, e poi uscì rapida dalla cucina.
Il giardino era illuminato da un sole caldo e potente, invaso da quella luce estiva che per un mese gli era stato quasi privato e di cui ora poteva godere pienamente. Ginny sfrecciava nel cielo terso e luminoso di un agosto fin troppo afoso, a cavallo della sua nuova scopa, la chioma rosso fuoco che si agitava nel vento come una fiamma fastidiosa al suo seguito; quando la vide, scese in picchiata verso di lei e smontò con grazia dalla sua Nimbus 2002, gentilmente offerta da George; aveva sul volto un sorriso gentile ma un po' distaccato.
«Credevo non ti piacesse il Quidditch» commentò con tono divertito, dirigendosi verso lo stanzino per riporre la scopa. Hermione la seguì e senza ulteriori giri di parole le chiese scusa, chiara e diretta.
«Mi dispiace, Ginny» Il suo sguardo appassionato e colpevole si puntò direttamente sulla nuca dell'amica, che rimase immobile per un istante, poi si voltò verso di lei, e con espressione neutra fece spallucce.
«Non devi chiedermi scusa, Hermione. Non hai fatto niente» replicò, sedendosi lì, nel bel mezzo del prato; nonostante fosse immobile, lo sguardo puntato sulla volta celeste, l'amica intese che il suo era un tacito invito a restarle accanto. Così, Hermione obbedì a quella silenziosa richiesta, e si sedette vicino a lei, continuando a fissarla, certa che avesse qualcos'altro da dire. «Solo... pensavo fossimo amiche» disse con semplicità, e la guardò dritta negli occhi, finalmente. Sorrideva, eppure c'era qualcosa di profondamento triste in fondo al suo sguardo.
«Lo siamo. Per questo ti chiedo scusa» dichiarò con dolcezza, e sul volto di Ginny brillò qualcosa. Hermione le poggiò una mano sulla spalla, rassicurante. «Pensavamo che fosse meglio che non lo sapesse nessuno. Ma abbiamo sbagliato tutto» sospirò, e stavolta anche lei spostò lo sguardo verso il cielo, immersa in pensieri imperscrutabili che forse l'amica poteva parzialmente intuire – e il solo pensiero faceva rabbrividire Hermione. «Non avercela con Harry. Lo sai com'è fatto» disse dopo qualche minuto di silenzio, soppesando con lentezza le parole. I suoi occhi castani frugarono il cielo alla ricerca di risposte che quest'ultimo non poteva darle, e dopo qualche minuto di intenso scrutare si spostarono sul volto della ragazza, dolcemente punteggiato da graziose lentiggini che ringiovanivano quel volto così bello.
«Già.. il suo istinto da eroe» sospirò Ginny, scuotendo il capo. Entrambe scoppiarono a ridere nello stesso istante, complici di quella ritrovata amicizia che in fondo non avrebbe mai potuto spezzarsi. «Credevo che almeno lui me lo avrebbe detto. Ma continua a voler fare tutto da solo» considerò, guardando l'amica con un misto di dispiacere e incertezza. Hermione si strinse nelle spalle.
«È abituato a cavarsela da sola. È sempre stato così, e ora nonostante tutto gli riesce difficile credere di poter fare affidamento su qualcuno, anche se si tratta di te» replicò con un sorriso sincero e rassicurante. «E poi...» continuò, e nel suo sguardo brillò una divertita malizia «voleva...» fu interrotta dall'amica, che sbuffò, seccata.
«... proteggermi» concluse Ginny per lei, ed Hermione strinse appena le labbra, consapevole che nella distorta concezione che Ginny aveva dell'amore, un tentativo di protezione era sola morbosa e inutile attenzione, di cui lei avrebbe volentieri fatto a meno. «Vuole sempre proteggermi, non fa altro. Perché non vuole capire che non ne ho bisogno?» domandò, più a se stessa che all'amica. «Non sono più una bambina. Non voglio che mi consideri una bambina» concluse con un gemito frustrato, e seppellì il viso tra le mani. Hermione le cinse le spalle con un braccio, e spinse la testa rossa della ragazza contro il suo petto. Non stava piangendo – Ginny non piangeva mai – però era certa che avrebbe tanto voluto farlo, e l'unica cosa che poteva fare lei era farle sentire la sua vicinanza. Solo ora capiva il motivo di quella rabbia, dovuta non tanto all'omissione in sé, quanto piuttosto al comportamento generale del suo fidanzato, che spesso sfiorava quasi la paranoia.
«Hai provato a parlarne con lui?» domandò esitante Hermione, accarezzandole la testa. L'amica emise un gemito sconsolato, e poi con tono ironico rispose, la voce soffocata e il suono attutito, poiché il suo viso era seppellito sul petto dell'altra.
«Oh, andiamo, stiamo parlando di Harry Potter. Quando mai ascolta? Quando mai sa affrontare certi discorsi?» sbottò impaziente Ginny, e si rialzò, fiera, il volto pulito e apparentemente sereno. Questa era Ginevra Weasley: lei, che non mostrava mai i suoi sentimenti, né, soprattutto, i suoi turbamenti; lei, unica e ultima femmina di una famiglia troppo numerosa per poter emergere davvero; lei, cresciuta tra pantaloni e manici di scopa. Eppure così donna, nonostante tutto; così forte e così fragile, chiusa nel suo esile corpicino, crisalide delicata ma pericolosa. Hermione sorrise appena alle sue parole.
«Si» ridacchiò, eppure la sua era una risata priva di allegria, e pregna di colpevole amarezza «ne so qualcosa» affermò, riferendosi ovviamente a Ron. E l'amica intuì subito il segreto che quella misteriosa affermazione celava: aveva vissuto troppo a lungo con suo fratello, per non conoscerne gli sbalzi d'umore e la stupidità. Il suo sguardò si velò di collera, e il suo volto assunse un'espressione inquieta che l'altra non riuscì a interpretare.
«Non è che hai... ehm... parlato con Ron?» Aveva esitato. Ginny Weasley aveva appena esitato. E Ginny Weasley non esitava mai. E se esitava, c'era qualcosa che non andava.
«Cosa avrebbe dovuto dirmi?» domandò perplessa Hermione, sbattendo le palpebre più volte, lo sguardo fisso sul volto ora colpevole dell'altra.
«Niente. Assolutamente niente» si affrettò a dire Ginny con tono un po' troppo ansioso perché fosse davvero niente. Fuggì lo sguardo dell'altra, incapace di sostenerlo, e forse temendo di tradirsi nonostante la sua proverbiale calma. Si sentiva profondamente in colpa nei confronti dell'amica, ed era incredibilmente tentata di confessarle tutto, di urlarle in faccia la sua rabbia per l'idiozia compiuta dal fratello, eppure qualcosa la tratteneva: un po' la sua lealtà nei confronti della sua famiglia, un po' la consapevolezza che l'avrebbe ferita, e che comunque non spettava a lei dire certe cose, e un po' la certezza che Hermione, comunque, non fosse esattamente innocente.
«E' successo qualcosa, mentre eri lì?» domandò con tono quasi distaccato, lo sguardo puntato verso il cielo. Non voleva guardarla; non voleva leggere la menzogna nei suoi occhi – perché era certa che lei avrebbe mentito. E non avrebbe sopportato altre bugie, altre omissioni, non lei, sempre leale e sincera.
«Che intendi?» chiese Hermione, confusa e perplessa da quell'improvvisa domanda: sbattè un paio di volte le palpebre e fissò il profilo dritto e impertinente dell'amica, che alla fine si costrinse a guardarla negli occhi, e puntò i suoi, scuri e limpidi, sul viso dell'altra.
«Con Malfoy» chiarì laconica. Come sapeva essere solo Ginny: dritta al punto, senza fronzoli o merletti ad arricchire inutilmente un discorso che doveva arrivare direttamente al sodo. Hermione sbuffò.
«Oh, ma insomma! Perché insistete tutti con questa storia? Sono viva, no? Quindi non mi ha fatto niente!» sbottò spazientita.
«Non ti ho chiesto se ti ha fatto qualcosa, ti ho chiesto se è successo qualcosa» replicò Ginny lentamente, con una calma serissima e un sorriso delicato sul volto. Hermione tacque, e la guardò profondamente negli occhi. Ginny. Come faceva a sapere sempre tutto?

IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora