Chiunque avesse organizzato quella festa, si disse Hermione mentre gettava nell'apposita scatola la Passaporta che lei e i suoi amici avevano usato per arrivare fin lì – una gruccia di metallo storta – meritava a pieno titolo il proprio posto nella Casa di Priscilla Corvonero. Quando la Grifondoro si Materializzò nella Stanza delle Necessità, insieme a Ginny, Calì, Natalie e Neville, non riuscì a trattenersi dallo spalancare la bocca.
Il vano in cui si trovavano era enorme, tanto grande che, in confronto, la Sala Grande sarebbe apparso nient'altro che un salottino. Il soffitto era alto almeno una decina di metri, e sospese in aria vi erano diverse zucche intagliate, all'interno delle quali vi erano piccole candele, che bruciavano senza mai consumarsi. Un migliaio di pipistrelli vivi si staccò in volo dalle pareti e dalla volta, mentre un altro migliaio sorvolò i gruppetti di studenti in bassi stormi neri, facendo tremolare le candele dentro le zucche, e schioccando le ali e squittendo rumorosamente; il loro verso, tuttavia, era coperto sia dal chiacchiericcio eccitato che pervadeva la stanza, sia dall'assordante musica che rimbombava lungo le pareti. Le Sorelle Stravagarie erano già arrivate, e cantavano a squarciagola, con energia ed entusiasmo, riempiendo l'aria con la loro melodia. Gli angoli del soffitto e delle pareti erano occupati da inquietanti ragnatele bianche e filamentose. Lungo una parete era stato collocato un lungo tavolo, sul quale era disposto il rinfresco: tante bottiglie che contarle era impossibile, e anche qualche stuzzichino per placare un'eventuale attacco di fame improvviso. Sulla destra, inoltre, Hermione vide un'ampia arcata, priva di porta, che dava accesso a quello che sembrava un giardino: dalla sua posizione, la ragazza intravedeva una volta stellata, e un albero dal tronco voluminoso e dalla chioma vaporosa. Ritenendo alquanto impossibile la presenza di un piccolo parco all'interno della Stanza delle Necessità, la Grifondoro scosse il capo e, rimanendo accanto alla sua migliore amica – e sperando che quella fosse davvero Ginny – fece qualche passo lungo il lucido pavimento di marmo.
Attorno a lei la musica rimbombava. La folla si accalcava in gruppi ben nutriti, parlottando e ballando al ritmo della melodia che le Sorelle Stravagarie stavano suonando. I meravigliosi vestiti delle donne sbocciavano come sgargianti fiori multicolori ad ogni movimento delle loro proprietarie: le gonne volteggiavano e si gonfiavano durante i volteggi o i salti scatenati. Eppure non fu su quell'ipnotico svolazzare di stoffe che gli occhi di Hermione si soffermarono: le iridi castane della giovane stavano passando in rassegna ogni uomo presente a quella festa. Cercava particolari che non avrebbe potuto riconoscere, nemmeno con tutta la volontà del mondo: la piega ordinata dello smoking, il candido fiore all'occhiello, l'elegante inamidatura del colletto della camicia. Eppure nessun dettaglio poteva davvero essere rivelatore, non con quell'incantesimo a celare le identità.
Hermione era sorpresa dalla riuscita dell'incanto, e se in tempi passati avrebbe trovato quell'espediente un'ottima scusa per socializzare e far sparire i pregiudizi tra Case, ora lo trovava solo frustrante. Come avrebbe fatto a trovare Draco?
La risposta giunse come un soffice soffio di vento tiepido, dritto nel suo orecchio.
«Fortuna che sei mascherata, o dovrei metterti alle calcagna due guardie del corpo».
Da qualche parte, lontano dall'universo isolato che lei e lui avevano creato con il semplice e distante contatto delle dita del ragazzo sul fianco della giovane, la musica cambiò. Archi e violini suonarono una melodia lenta e suadente almeno quanto la voce che accarezzava l'orecchio di Hermione.
Come avrebbe fatto a trovare Draco? Semplice, non l'avrebbe fatto. Sarebbe stato lui, a trovare lei.
Il suo bisbiglio accattivante la fece rabbrividire; il tocco delle sue mani, persino attraverso la stoffa pesante dell'abito che indossava, la elettrizzò. Hermione trasse un profondo respiro, e si voltò verso di lui. Non poter incontrare il grigio dei suoi occhi, non riuscire a vedere il suo profilo dritto, non essere in grado di riconoscere chi aveva davanti, era a dir poco frustrante. Nonché incredibilmente strano. Una parte di lei sapeva che era lui; l'altra, quella più razionale, continuava a dubitare e a domandarsi se fosse saggio fidarsi così di un uomo mascherato di cui non conoscesse con certezza l'identità.
Ogni dubbio sparì sotto il tocco impietoso e familiare delle sue labbra. Il suo sapore la mandò in estasi: la sua bocca morbida e tiepida si modellava perfettamente alla sua, sapeva esattamente quando fermarsi e quando incalzare, e la mano rassicurante che le aveva poggiato sul fianco le suggeriva che lui non l'avrebbe lasciata precipitare in quel mare dolcissimo di confusione in cui da sempre la sua mente affondava quando era con lui.
Draco le ottenebreva la lucidità e i sensi.
«Come hai fatto a trovarmi?» domandò la ragazza in un soffio, quando lui si staccò dalle sue labbra. Hermione era senza fiato, e a giudicare dal rapido contrarsi del petto del giovane, anche lui doveva far fatica a controllarsi e respirare regolarmente.
«Un incantesimo» replicò lui in risposta, intrecciando le dita foderate di guanti di seta a quelle della Grifondoro. Quel tocco morbido e fresco la distrasse per un attimo. La ragazza abbassò lo sguardo, giocherellando con la stoffa che la privava del calore della pelle di Draco. Lui non le permise di sfilargli quel vezzo da aristocratico, ma, in compenso, le concesse di solleticargli la carne sottile e tiepida del polso, che pulsava ritmicamente, e in modo delicato.
La musica cambiò ancora: le note di un pianoforte antico e maestoso risuonarono nell'aria. Lenta ed invitante, quella melodia sembrava aver ritagliato uno spazio solo per loro.
Draco le prese con delicatezza la mano, e la guidò sino alla sua spalla; poi, le cinse un fianco, senza mai perdere il contatto visivo con i suoi occhi. Persino da dietro la maschera incantata, ad Hermione sembrava di vedere la luce dei suoi occhi grigi. Le sue labbra si arcuarono in un sorriso, mentre la guidava in un elegante volteggio al centro della sala, seguendo il ritmo affascinante e melodico della musica lenta che qualche orchestra incantata stava suonando. Come se avesse visto quei due amanti finalmente insieme e avesse deciso di regalare loro un passo a due di cui solo Draco ed Hermione conoscevano i passi e le regole. La dolcissima musica che risuonava nell'aria sembrava rispecchiarsi nelle espressioni delicate e timidamente sorridenti dei ragazzi, che, pur avendo i volti coperti dalle maschere incantate, sembravano perfettamente in grado di riconoscersi. Lentamente, e con delicatezza, procedeva così quel volteggiare lungo e infinito. Le note si appendevano al soffitto, sembravano prolungarsi pur di non finire; persino i pipistrelli avevano smesso di volteggiare nell'aria, tacendo quietamente appesi a testa in giù.
La melodia risuonava, trasportando le note sino ai corpi dei due ragazzi. Con fluidità i piedi di Draco guidavano quelli di Hermione, e anche se lei non ne era capace perché non aveva mai praticato quel tipo di danza, se non, in un tempo lontanissimo, al Ballo del Ceppo, si sentiva così sicura tra le sue braccia, che non provava nemmeno vergogna per la sua goffaggine. C'era armonia, in quei due corpi che si muovevano con estrema leggerezza.
Quando anche l'ultima nota si estinse, Draco ed Hermione continuarono a ballare, stretti l'uno all'altro, gli occhi dell'uno incantenati a quello dell'altra – e chiunque stesse guardando quegli sconosciuti pensò che quel ballo non risultava affatto sbagliato, persino con la musica rock delle Sorelle Stravagarie in sottofondo.
Si fermarono dopo un tempo interminabile: quando trovarono quiete, entrambi avevano i piedi doloranti e le gambe affaticate, ma nessuna di quelle sensazioni trovò spazio sul loro viso. Accaldati, ma felici, si fecero spazio tra la folla, allontanandosi un poco dalla musica assordante che risuonava adesso nella sala da ballo, per avvicinarsi a un angolo meno affollato e più fresco.
Draco le cinse la vita, intrecciando le labbra a quelle della Grifondoro senza aspettare che lei riprendesse fiato dopo la danza in cui si erano appena cimentati. La sua bocca soffice e calda era già schiusa, in attesa che lui la modellasse a quella della ragazza. Hermione allacciò le labbra al collo del giovane, immergendo le dita tra i suoi capelli biondi e setosi, e pensando che in fondo, quelle maschere, non erano poi così male se li nascondevano da sguardi indiscreti e malevole occhiate.
«Vado a prendere qualcosa da bere. Non muoverti da qui, o potrei non riconoscerti» disse Draco, dopo essersi staccato quel tanto che bastava per sussurrare quelle parole pericolosamente vicino all'orecchio della ragazza, che rabbrividì al tocco delicato delle sue labbra sulla guancia purpurea.
Il Serpeverde si allontanò a grandi passi, destreggiandosi tra la folla per raggiungere il lungo tavolo delle bevande. Hermione, invece, rimase immobile esattamente nel punto in cui lui l'aveva appena lasciata, timorosa di non poterlo più incontrare se solo si fosse mossa di un centimetro.
Ballare con lui era stato meraviglioso. Quell'intesa perfetta che si era creata tra di loro era stata tradotta in una danza armonica. Proprio come quando facevano l'amore, non c'era gesto dell'uno che non fosse compreso e subito compensato dall'altro. E il suo tocco delicato sui suoi fianchi, lo sguardo caloroso con cui le aveva incatenato gli occhi, l'incurvarsi delicato delle sue labbra. E la sua eleganza, quel modo affascinante e attraente di fare anche il gesto più semplice con la massima classe. Tutti dicevano che quello che c'era tra loro era sbagliato; e invece lei non trovava nulla di più giusto.
«Vuoi che ti legga le carte, chéri?» Una voce soffice e delicata richiamò la sua attenzione, strappando la ragazza dalle sue riflessioni. Hermione spostò lo sguardo in direzione di quel suono. Solo allora notò una giovane strega, curva su un basso tavolino rotondo; era avvolta da un voluminoso e soffice scialle che somigliava sinistramente a quello della sua insegnante di Divinazione, e se quella donna non avesse avuto il viso perfettamente visibile, la ragazza avrebbe giurato che fosse la Cooman in persona. Invece, quella strega, a parte lo scialle e la passione per la Divinazione, non sembrava avere nulla in comune con quella professoressa. Anzi, Hermione la trovava bellissima: aveva la carnagione scura, e una massa di capelli corvini le incorniciava il viso ovale; dai lobi pendevano grossi orecchini circolari, e con le dita abili e sottili rimescolava un mazzo di carte dall'aspetto curioso. Sul viso, brillavano luminosi e furbi occhi verde scuro.
«Sono una Sibilla» precisò con un leggero sorriso enigmatico sul volto.
«No, la ringrazio» replicò la Grifondoro con enfasi. «Non credo in queste...» sciocchezze «cose» disse nel tono più educato che le riuscì. La strega inarcò le sopracciglia, e con un lungo dito magro estrasse una carta dal mazzo. La poggiò sul tavolo, coperta, e lanciò un'occhiata maliziosa e astuta alla giovane. Ripetè l'operazione altre volte, sino a quando, con il dorso blu elettrico e dorato esposto alla vista, sul tavolo non furono disposte nove carte, sistemate in tre file: quattro nella prima, tre nella seconda, due nella terza.
«Oh, sì. Sì, vedo, vedo» disse in un sussurro che a stento Hermione udì. La Grifondoro non le stava dando molta retta, in realtà; benchè fosse chiaro che la zingara stesse parlando a lei – era stata l'unica tanto sciocca da avvicinarsi a quel tavolo – aveva lo sguardo rivolto altrove. Si sentiva leggermente inquieta, come se qualcosa di pericoloso stesse per accadere di lì a poco. Attendeva il ritorno di Draco torcendosi le mani, in tensione.
La Sibilla non sembrò farci caso; senza più guardarla, poggiò le dita lunghe e secche sul dorso di una carta, poi la girò.
«Il Fante di Picche» decretò con voce roca e intensa. Hermione lanciò un'occhiata alla carta: su di essa era raffigurato un uomo giovane, che si guardava intorno con aria circospetta. Nella sua mano sinistra, teneva un serpente. «Indica una persona perfida e sleale, meschina e opportunista. Una persona che tesse trame oscure e malefiche, il cui rischio è stato abilmente calcolato» disse la zingara con un sorriso, consapevole di aver attirato l'attenzione della ragazza. Difatti, l'interesse di Hermione, improvvissamente, si era fatto più intenso. Quella descrizione, in effetti, le ricordava qualcuno. Quel qualcuno che stava aspettando.
«La Dama di Cuori» La Sibilla girò un'altra carta. Una giovane donna sedeva sotto un albero dalla folta chioma, rigirando tra le dita un medaglione con la foto dell'amato. «Una donna gentile, capace di sentimenti profondi, sinceri e fedeli. Una donna il cui cuore è stato catturato da un amore proibito, contrastato» spiegò la strega.
Adesso, l'attenzione della Grifondoro era totalmente concentrata su quelle carte. Non aveva mai creduto a quelle sciocchezze: foglie di tè, sfere di cristallo, carte magiche; nulla poteva davvero prevedere il futuro. Eppure, lì davanti a lei, c'era una donna che lei non aveva mai visto e che di certo non sapeva nulla di lei, che aveva pescato delle carte a caso e con quelle aveva descritto in modo esemplare lei e Draco. Possibile? Forse si stava semplicemente facendo suggestionare.
«Due di fiori» La Sibilla girò la terza carta. Una lunga strada sterrata si snodava all'interno di essa, per poi diramarsi in un bivio. «Un percorso da compiere» decretò. Lanciò un'occhiata intensa ad Hermione, poi girò l'ultima carta della prima fila. Rappresentava una cassaforte aperta, che mostrava il suo contenuto. «Sei di cuori: il passato e i suoi ricordi». A quel punto, la Sibilla alzò lo sguardo sulla Grifondoro, senza continuare.
La ragazza rimase immobile a lungo, a fissare quelle carte. Lei, la Dama di Cuori. Lui, il Fante di Picche. La loro strada verso l'amore, ostacolata dal passato e da tutto ciò che c'era stato sino a quel momento – il male, il sangue, i cattivi inganni di un nome, le malvagità di certi ideali sbagliati.
Hermione sbattè le palpebre a lungo, trattenendo il fiato. Non era possibile. Semplicemente, non era possibile. Magari quella zingara aveva usato la Legilimanzia su di lei. Era certamente così.
«La prima carta rappresenta la persona da lei amata» La Sibilla doveva aver colto sia la sua esitazione che lo scetticismo che le brillava negli occhi, perché parlò con voce calda e rassicurante. Puntò il dito sulla prima carta. «La seconda rappresenta lei stessa» Il polpastrello accarezzò la carta corrispondente alla Dama di Cuori. «Le altre due carte simboleggiano il passato che c'è stato tra il Fante e la Dama» chiosò la strega. Fece una lunga pausa, durante la quale non fece altro che fissare intensamente la Grifondoro, che, tuttavia, avevo lo sguardo puntato su quelle carte. Stava cercando di chiudere la mente, ma non aveva mai davvero fatto pratica con l'Occlumanzia e non era certa che quello fosse il metodo giusto.
«Vuole che continui?» domandò la zingara. «La seconda fila indica il presente. La terza, invece, il futuro» spiegò pragmatica. Hermione le lanciò una lunga occhiata, dopodichè, lentamente e inaspettatamente, annuì.
«Sei di quadri» Dopo aver girato la prima carta della seconda fila, la Sibilla la guardò, la sua voce seria e precisa. Hermione, invece, guardò l'uomo disegnato con tratti precisi sulla carta: sembrava uno scrittore colto da un'improvvisa assenza di ispirazione. «Segreti» La strega schioccò le labbra, emettendo quell'unica parola. Il cuore della Grifondoro ebbe un balzo.
Non c'era niente di vero, in quello che stava vedendo in quel momento. Si stava solo lasciando influenzare. Quindi, che motivo aveva il suo cuore di battere così?
«Quattro di cuori» continuò la zingara, girando un'altra carta. Su di essa era rappresentato un piccolo putto alato, il cui arco era pronto a scoccare la freccia, ma i cui occhi erano bendati da una fascia celeste. «L'Amore» Il volto della donna si aprì in un sorriso. «Un rapporto intimo e complice, simbolo di un'unione concreta e sincera».
Hermione osservò quella carta a lungo.
Amore.
Ormai la Grifondoro non aveva più dubbi, quindi negare non sarebbe servito a niente. Era quello il sentimento che la legava a Draco, e il Patronus di qualche giorno prima lo testimoniava. Il suo cuore batteva per lui in modo così totalizzante, che Hermione, ogni tanto, si trovava a domandarsi come potesse sopravvivere quando erano lontani. Lui era ossigeno, malattia e al tempo stesso cura.
Le carte che la zingara le aveva fatto vedere sino a quel momento, rispecchiavano in modo quasi inquietante la loro situazione, dal passato che avevano faticosamente vissuto e poi messo da parte, al presente che stavano vivendo. Ma come poteva quella donna sapere tutto ciò? E come potevano delle sciocche raffigurazioni leggere nella sua mente?
Era magia, su questo non c'erano dubbi. Ma lei era sempre stata scettica. Riteneva che quelle carte azzeccavano predizioni perché avevano possibilità di lettura così vaste che sbagliare sarebbe stato impossibile. Si stava lasciando influenzare da quelle sciocchezze. Ma d'altronde, come poteva non credere a quella donna? I suoi occhi color giada sembravano sinceri, e seriamente convinti della potenzialità di quelle carte.
Intanto, la Sibilla aveva girato un'altra carta, l'ultima della seconda fila.
«Dieci di quadri» La carta, che era rovesciata, raffigurava un ladro nell'atto di introdursi furtivamente in una casa. La zingara strinse le labbra; sembrava quasi aver preso a cuore la sorte della ragazza. «L'arrivo di una brutta notizia, o forse di una persona foriera di cattive novità. Magari di un ex?» suggerì, alzando lo sguardo su di lei e fissandola con serietà, come se volesse trovare nei suoi occhi la risposta a quella domanda. «Questa carta predice gravi danni creati da una persona esterna. Un inganno, un tradimento» annunciò con voce incolore.
Senza rendersene conto, Hermione impallidì. Il viso di Ron saettò immediatamente nella sua mente, e il suo cuore accelerò i battiti. Improvvisamente, la ragazza cominciò a sentire caldo. Nella sua testa si ammassarono domande senza risposta.
«Ha detto che le carte di questa fila raccontano il presente» disse Hermione lentamente, indicandole da lontano, senza osare toccarle. La Sibilla annuì, senza mai perdere il contatto visivo con la giovane. La Grifondoro sospirò, e scosse il capo. «Ma non è possibile. Non c'è nessun ex nel mio presente» decretò con decisione, come se cercasse di convincere più se stessa, che la donna che aveva di fronte. Annuì con determinazione, e si sentì appena più leggera. O almeno, era quello che le piaceva credere. Mentre la zingara si apprestava a spiegare che quelle carte non erano necessariamente esatte, e che la loro lettura era spesso ostica e non sempre chiara, Hermione sorrise.
Come pensava, non c'era nulla da temere. Quelle carte erano solo sciocchezze, semi cattivi piantati nella mente di sciocchi creduloni, e lasciati germogliare nell'ignoranza, nell'inganno, nell'ingenuità. Aveva sempre avuto ragione lei, che sulla razionalità fondava i suoi ragionamenti: non c'era nulla di vero in quelle carte.
La Sibilla la guardò a lungo, soppesando la sua espressione. Sul suo volto comparve un'espressione tesa e consapevole, quasi distante e improvvisamente fredda. Era abituata allo scetticismo della gente, ma pensava di essere riuscita a catturare l'attenzione di Hermione; invece, lei era un'altra di quelle persone – l'ennesima – talmente cinica da non credere più a niente. Eppure lei la leggeva lì, nitida e precisa, la vita di quella ragazza; così chiara che solo lei non avrebbe potuta vederla.
Le sue dita sottili si poggiarono sulla penultima carta. Con un sospiro, la voltò.
«Quattro di quadri» annunciò. Hermione lanciò un'occhiata alla carta, ora più quieta e meno propensa a credere a quelle parole e a quelle immagini. A quelle predizioni.
Sulla carta era raffigurato un gatto nero, accovacciato su una sedia. La carta era rovesciata. La Grifondoro osservò la Sibilla: sul suo volto comparve una smorfia fugace, e nei suoi occhi si accese un lampo di consapevolezza. Quei segnali la misero in allarme, benchè sapesse che non aveva nulla da temere.
«Che significa?» domandò subito Hermione, osservando la carta. Senza sapere perché, il suo cuore accelerò i battiti. Era assurdo, perché era sicura di non dover credere a una sola parola di quella zingara, eppure dentro di sé non potè celare l'improvvisa inquietudine che le era balzata in petto, opprimendola di un peso che difficilmente sarebbe andato via.
La Sibilla alzò gli occhi sulla Grifondoro, poi, con il volto contratto dalla contrizione, sussurrò: «Indica un inganno, magari una bugia che si protrae da molto, e che finalmente viene scoperta».
Hermione la fissò, trattenendo il respiro. L'improvvisa paura che le attanagliò lo stomaco doveva essere perfettamente visibile sul suo volto, perché la donna aggiunse: «Chéri, non dovresti farti influenzare troppo dal responso delle carte. Le interpretazioni sono molteplici e spesso contraddittorie, e potrebbero influenzare le tue scelte al punto da mutarle, e spingerti nella direzione da loro designata. Le carte sono solo tracce, sentieri tracciati tra i mille di una vita; sta a te se imboccarli o meno». Sul suo volto si aprì un leggero sorriso di incoraggiamento.
Con il massimo del decoro che le riuscì, Hermione deglutì, e trasse un respiro profondo. Poi, con convinzione, disse: «Io non credo a una sola parola di quello che mi ha detto».
Mentre guardava quella ragazza allontanarsi, andando incontro a quello stesso destino che lei aveva appena letto nelle carte, Esmeralda non potè fare a meno di sospirare. Il suo sguardo si adombrò, mentre, con le dita sottili, girava l'ultima carta.
«Asso di picche» sussurrò a una ragazza che non poteva più sentirla. «Dolore».
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IL FANTE DI PICCHE E LA DAMA DI CUORI
FanfictionQuesta è una storia scritta da Eloise_Hawkins. E' una ff che ho trovato su Efp fanfiction e volevo trascriverla qui. Link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=806487&i=1 Le testate dei giornali erano dedicate a Harry Potter, ancora una volta...