Presa dai turchi: total confusion.

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Ore 6:30
Il fastidioso suono della sveglia mi fece sobbalzare dal letto, avevo dormito quattro ore e sembrava ne fossero passate solo due. Ero stanchissima, ma il pensiero dell'esame era così prevalente che la pesantezza degli occhi nemmeno la avvertivo. Mi preparai in fretta e furia, alle sette meno cinque ero già ai portici della piazza del mio paese ad aspettare l'autobus. Decisi di non ripassare nessun argomento, in quell'ora di viaggio infatti mi addormentai, del resto avere la mente riposata è il primo segreto per una buona prova.
Quando io ho un esame non voglio essere accompagnata da nessuno, ripudio tutti, amici e familiari. Ad accompagnarmi, però, qualcuno in realtà c'è sempre, seppure invisibilmente: l'ansia. Prima di sostenere l'esame vero e proprio sulla materia preparata, devo infatti superare quello sull'ansia cercando di sconfiggerla e vi assicuro che non è per niente facile. In genere ho constatato che per assurdo arreca più dolore, fa più paura ed è più logorante tutto ciò che non vediamo, tutto ciò che non si presta alla vista, che non si mostra agli occhi: entità astratte da una parte, persone sparite dall'altra. È snervante percepire in noi la frequente presenza di paura, ansia, angoscia e tormenti vari che ci divorano dentro, così come è doloroso sopportare la triste assenza di persone che non ci sono più perché purtroppo hanno lasciato questa terra o perché semplicemente si sono allontanate da noi.
L'ansia e la paura non si vedono, ma ci spaventano più di una tigre o di un leone a momenti; nemmeno le persone scomparse o lontane si vedono, ma ci fanno soffrire, la loro assenza crea in noi un vuoto che ci logora anima e corpo.
Questo parallelismo fra assenza ed astrazione lo pensai sicuramente in uno dei miei momenti depressi, ma in verità non è una banalità, è anzi un ragionevole paradosso se ci pensate bene. A volte abbiamo paura della paura, abbiamo l'ansia di avere l'ansia, temiamo la lontananza prima ancora di allontanarci. È tutto un "a-priori" il processo di autodistruzione a cui noi stessi diamo origine. Se invece provassimo a concentrare tutte le nostre energie sull'obiettivo da raggiungere e sul risultato da ottenere, piuttosto che pensare negativamente e focalizzare l'attenzione sull'ansia di fare male o sulla paura di non farcela, sarebbe certamente tutto molto più semplice. Quella mattina il mio obiettivo era superare l'esame e il mio risultato quello di passarlo con un voto che confermasse la mia preparazione. "Musa hai studiato?" mi chiedevo, "sì", mi rispondevo. Se il concreto è il contrario dell'astratto, la paura e l'ansia sono elementi che nella realtà non possiamo scorgere nemmeno con il migliore dei cannocchiali esistenti, pertanto devono necessariamente far parte di una nostra astrazione mentale che ci spinge a configurarle in oggetti concreti. Era insensato associare la paura all'esame, avevo capito che era proprio avere l'ansia l'unico ostacolo che poteva far andare male la prova.
L'esame infatti andò benissimo, presi 30 e lode. Non avevo ancora sentito Chicco, così una volta libera lo cercai. Quella forse fu la prima volta che gli mandai per prima un messaggio, era già un po' di tempo che la mattina mi svegliavo col sorriso stampato in faccia grazie al suo buongiorno. Fu contentissimo per la bella notizia, ma parlammo solo qualche minuto, poiché subito dopo l'esame dovetti seguire altre lezioni. Rientrai a casa alle cinque del pomeriggio, ero letteralmente distrutta. Come se non bastasse una volta messo piede in casa, iniziai immediatamente con le faccende domestiche, dovevo pulire tutta casa entro sera, poi sarei dovuta andare a cena fuori con mia madre. Avevo la musica a tutto volume, ma fortunatamente il mio udito funziona ancora alla perfezione tanto da riuscire a sentire la suoneria del cellulare che squillava: era Chicco. Corsi in camera e appena vidi il suo nome sullo schermo, risposi immediatamente. La felicità era alle stelle, mi faceva un immenso piacere quando mi telefonava. Spesso non sapevo cosa dire, rimanevo lì incantata ad ascoltare la sua voce perdendo anche il filo del discorso. Pensavo fra me e me: "che dolce, appena trova un momento libero cosa fa? Chiama Musa. Che carino."
Si accorse che stavo facendo qualcosa perché sentiva diversi rumori, ma quando mi propose di sentirci più tardi pronunciai un "no" così deciso che effettivamente dimostrava quanto mi piacesse parlargli. Era l'unico modo per sentirlo più vicino da lontano, non avrei di certo terminato quella chiamata per una volontà mia, ero in grado di pulire e parlare contemporaneamente. Ma in ogni caso avrei lasciato la casa nel disordine più totale pur di parlargli. Era diventato la mia priorità, lo ammetto.

Sconosciuti amanti come in tela di Magritte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora