Ventisei

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Ci volle una doccia, un'ora e mezza e tutta la calma del mondo riunita in me per riuscire ad uscire da quella stanza.
La sera prima ero uscita in pigiama, un pigiama da bambina di sette anni, forse sei, e non mi ero fatta problemi, forse perché colta di provvista ma quella sera ogni cosa, ogni singola cosa che indossavo non mi sembrava adatta o notavo quanto mi stesse male.
Oggettivamente il mio abbigliamento era sciatto, mi piacevano i vestiti da maschi e solo qualche volta quando uscivo cercavo di tirarmi a lucido, giusto per fare bella figura.
Ma avendo fatto le valige in fretta, mi sembrava di aver dimenticato alcuni vestiti carini a casa, proprio quelli che desideravo in quel momento.
Alla fine comunque era una cena fuori, e dubitavo saremmo andati in un ristorante chic a fare i ricchi figli di papà.
Optai infine per dei jeans stretti grigi e una felpa verde militare bucherellata.
Okay, sembravo comunque sciatta ma ero a mio agio almeno.
Infilai le Puma con la suola alta e pari, presi lo zainetto di pelle, dato che non avevo portato nessuna borsa, ci infilai, portafoglio e chiavi e tenni il cellulare con la cover dell'omino pan di zenzero in mano, essendo che in tasca non ci voleva stare.
Mi spruzzai altro deodorante, mi diedi un'ultima occhiata necessaria e controllai che il trucco fosse apposto.
Eyeliner ancora al suo posto, con l'aletta non sbavata, ombretto ancora luminoso, rossetto chiaro ed accentuai quelle tre lentiggini che avevo.

Uscì dalla mia camera, controllando che fosse chiusa per bene, sospirai e presi le scale così da fare il percorso più lungo.
Sfortunatamente la discesa era più breve rispetto alla faticosa salita e quando arrivai al piano terra e li vidi tutti riuniti mi domandai che cosa stessi facendo ed uscirono ancora tutti i miei complessi, che stavo reprimendo dentro di me e li avevo chiusi tutti con un tappo a pressione. Una volta scoppiato il tappo, saltavano tutti fuori con irruenza.
Velocemente mi studiai un piano mentale: tornavo su, fingevo di essere malata ed evitavo contatti umani fino a quando non ritrovavo quel senso di sicurezza che avevo perso.
Sembrava un buon piano ma Nicolas, Lo Strego, con gesto cordiale mi salutò ed ora io non potevo più fingere. Avrei potuto tossire falsamente ma sarebbe sembrata una farsa.
Scesi gli ultimi due scalini e mi avvicinai a lui che si distanziò leggermente dal gruppetto di persone. "Ehi!" Mi salutò, "Andre ci ha detto che venivi anche tu, ci fa piacere!" Esclamò. Adoravo questo ragazzo bassino, sembrava così affabile e simpatico, "alcuni sembrano meno contenti" continuò ridendo e puntando con il viso girato Mike e Riccardo. Pensavo che almeno con l'ultimo dopo avergli chiesto scusa sarebbe andato oltre.
Ovviamente no.
Ma non l'avrei fatto nemmeno io.
Sentì una mano sulla mia spalla e mi voltai per incontrare Andreas. Sempre più alto di me e comunque togli fiato.
Chissà chi l'aveva costruito così perfetto.
"Devi darmi il tuo numero" iniziò, ed io cercai di nascondere il mio sorriso, "così riesco a contattarti. Volevo venire in camera tua a chiamarti ma non so quale sia, quindi siamo sempre lì." Sorrise.
"Te lo do subito" replicai.
"Ora hai il pene?" Sentì dire in modo divertito. Mi voltai incontrando Mike nella sua solita giacca di pelle. Annuì "ed è più grosso del tuo."
Dato che stavamo giocando a chi faceva le battute peggiori, non potevo tirarmi fuori dato che a me venivano sicuramente meglio delle sue.
"Uhhh!" Esclamarono in coro Andreas, Nicolas e qualche altro ragazzo che stava ascoltando la nostra discussione. Il tutto si stava trasformando in una battle freestyle con tanto di pubblico.
"Ti chiederei di farmelo vedere per dimostrare quello che dici, ma sai che se ti spogli scappo" replicò. Gli altri sembrarono non capire e di fatti non fiatarono ma si limitavano a fissarci e passare lo sguardo prima su di lui e poi su di me.
Il primo istinto animale era quello di attaccarlo e ferirlo ma poi ci riflettei: voleva solo farmi perdere la testa e io non potevo permetterlo. Avevo già passato mesi a ripensare a quel fatto e sentirmi sempre allo stesso modo fino a crearmi un fosso sotto ai piedi per sprofondare nella consapevolezza di essere stata umiliata e di sentirmi esattamente come lui voleva farmi sentire, senza nemmeno pensarci che magari valevo leggermente di più.
Morsi l'interno guancia e annuì con la testa, "vero" ribattei solamente, dandogli ragione, non mettendo in mezzo nessuna battutina né altre informazioni, come il fatto che il primo a volermi baciare era stato lui. Ovviamente lo volevo anche io ma lo slancio era partito dal suo corpo, non dal mio e non riuscivo a trovare un perché.
Mi lasciò con un lieve sorriso, beffardo, prima di tornare da Riccardo e qualche altra persona.
"Che cosa era quello?" Chiese Andreas abbassandosi per parlarmi nell'orecchio. Guardai Mike andarsene. "La sua cattiveria" replicai solamente.

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora