Cinquanta

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"Mi spieghi perché ti sei vestita come un cantante rap anni '90? Ti manca solo la bandana in testa" affermò Mike mentre guidava dritto verso il primo che avremmo incontrato nella nostra via.
Potevamo fare colazione in hotel ma no. Secondo lui avremmo perso solo tempo mentre mangiare una brioche in piedi e bere velocemente un caffé ustionante era più produttivo per la sua giornata.
Tecnicamente non avevo capito - perché non me ne aveva parlato - quali fossero i suoi piani, ma mi limitai a seguirlo e dire qualcosa di inopportuno di tanto in tanto.

Alle nove e sedici di martedì mattina pareva che metà della popolazione di Napoli fosse riunita in quel piccolo bar all'angolo fra una via di periferia e un piccolo alimentari.
Scendemmo dalla macchina e osservai la scritta "caffé Siveri" stampata sul vetro del bar in lettere bianche.
Dentro era pieno, fuori anche. Nel freddo di dicembre erano tutti sotto quel parasole verde che copriva solo dalle nuvole - dato il mese invernale - e dentro si accalcavano.
"Alla fine facevamo prima all'hotel" osservai io con la mia solita faccia da perfetta cagacazzo qual ero, perché io dovevo e avevo sempre ragione, non importava il contenuto del discorso, io avevo ragione.
"Vai dentro va'" Mike mi mise una mano sulla spalla e leggermente mi spinse verso la porta chiusa.
La aprì e venni colpita da un caldo quasi asfissiante. Tutta quella gente, il riscaldamento e i caffè caldi avevano portato una temperatura africana lì dentro.
"È vero, quindi, che i napoletani non lavorano mai" affermai io voltandomi verso Mike e notando qualche faccia che si girava verso di me con un'espressione infastidita.
"Allora!" Alzai la voce, "a facc ro' cazz quanta gente c'è" cercai di usare un accento napoletano ma uscì più qualcosa come un misto fra il padano e l'uomo rozzo che viveva nascosto dentro di me - nascosto non così tanto bene, fra l'altro.
"La smetti?" Mike si abbassò per sussurrarmi arrabbiato nell'orecchio. Era sicuramente imbarazzato dalla mia presenza ma almeno io stavo provando ad entrare nella mente dei napoletani per far parte della loro gente.
"Uè" alzai le braccia, "il lavoro fa schifo assai!"
Io ero stata licenziata quindi provavo più che altro odio verso il sistema - e Maria De Filippi.
"Le mogli devono starsene a casa a pulire!" Continuai la sfilza di frasi che più comunemente usava la gente del sud per cercare di entrare a far parte della combriccola.
Una volta dentro, avrei potuto prendere in mano la mafia e o diventare un potente boss, oppure denunciarli. Avrei dovuto però chiamare la polizia del nord perché dubitavo che non fossero corrotti, li al sud.
"Gli uomini sono i nostri padroni, o'vero!"
Continuai cosi per circa venti secondi, riuscendo a dire: "è la mafia che ci da da lavorare" prima di essere sbattuta fuori dal bar, con varie lamentele quali:
Noi lavoriamo, ma iniziamo il turno alle nove e mezza.
Oggi è giorno di ferie, anche Dio si riposa.
Le mogli lavorano, come noi e pure noi ci diamo da fare in casa, non sono le nostre schiave e noi non siamo i padroni.
Impara ad usare l'accento napoletano, leghista!

Aspettai Mike fuori dal bar, almeno li mi era permesso di sostare, perché mentre io non ero ben accetta, per lui era un'altra storia ed una donna sulla trentina lo riconobbe anche come "quello di amici", ed ero sicura che a lui faceva molto piacere essere appellato così. Si, come no.
"Allora" dissi guardando il tavolo davanti a me in cui c'erano sedute tre persone: un uomo piuttosto anziano, un uomo sulla quarantina e una donna con la stessa età.
"Bella la monnezza qui" affermai cercando di fare un commento sulle strade di Napoli.
La donna alzò gli occhi verdi verso di me e arricciò il naso con il piercing argentato. "Vedi spazzatura per strada?" Domandò infastidita.
In effetti da quando ero scesa a Napoli non avevo viste buste di spazzatura, mentre a Roma la situazione di sporcizia era piuttosto presente e fastidiosa: l'odore delle buste lasciate dove più conveniva era piuttosto pungente.
Lentamente, feci un passo lontano da quel tavolo per darmela a gambe ma nel momento stesso in cui feci quel passo Mike si avvicinò a noi, chiese scusa per me e la mia ignoranza e mi intimò di seguirlo.

"La puoi smettere?" Ordinò una volta arrivati davanti ai sportelli della macchina.
Feci spallucce innocente, "di che parli?"
Mise entrambe le mani sulle mie spalle e si avvicinò leggermente, "smettila" minacciò solamente.
Per un secondo mi parve che guardò le mie labbra, che erano diventate una linea seria.
Ma la cosa non mi sorprendeva molto dato gli ultimi argomenti che aveva deciso di trattare con me.
"Tu smettila di lanciarmi segnali equivoci" replicai io guardandolo.
Aggrottò leggermente le sopracciglia scure creando rughe d'espressione nella sua fronte solitamente liscia e olivastra.
"Di che parli?" Ripeté lui, con le mani fisse sulle mie spalle, coperte dal mio outfit zarro.
"Ogni tanto mi fissi le labbra o te ne esci con frasi riguardanti le scopate" risposi, "è fastidioso."
Le sue labbra rosee si incresparono in un leggero sorriso sornione, "perché ti infastidisce così tanto?"
La sua vicinanza iniziava a diventare opprimente e volevo solo scappare, da lui, da Scampia, dai camorristi, le fritture e sua madre.
"Perché non hai il diritto di fare certe allusioni."
Mi davano fastidio, com'era normale che fosse, dato che mesi dopo ci ritrovavamo a parlare di quanto io fossi finalmente alla sua altezza, dopo che mi aveva completamente schiacciata e fatta sentire orribile.
"Perché non dovrei?" Alzò innocente una mano per passare i polpastrelli sulla pelle fredda del mio collo. Schiacciai via la sua mano e indietreggiai, sotto la sua risata di scherno.
"Non ti sono per nulla indifferente, cara mia" proferì lui fra le risate mentre apriva lo sportello della macchina dalla parte del guidatore.
"Mi stai sul cazzo, che è chiaramente diverso" enunciai io prima di entrare in macchina, mettere le braccia conserte e bisbigliare un'imprecazione.

Mangiai la mia brioche silenziosamente in macchina, dopo aver bevuto il caffè che avevamo deciso di bere a macchina spenta.
Era piuttosto tiepido, dato che aveva lasciato i nostri caffè sul tettuccio della macchina solo per infastidirmi prima e fuori faceva un freddo glaciale, ma dovetti accontentarmi.

Scoprì che anche a Scampia c'era il mare e non solo le Vele, che però non potemmo visitare perché lui era di fretta e il mare d'inverno non lo attraeva abbastanza. Lui era più palme, autunno, atmosfere noire e tutti quei cliché da Tumblr in cui era rovinosamente caduto.

"Una giacca normale ce l'hai o vai avanti in chiodi di pelle?" Domandai dando un morso alla mia pasta alla marmellata.
Mi diede un fugace sguardo. "Tu hai addosso la colmar. Puoi giudicarmi?"
"Almeno io vario" bofonchiai prima di dare un altro morso alla mia brioche.
Almeno io ho una personalità, pensai. Evitai di dirlo per non ferirlo nel profondo.
No, scherzo, evitai di dirlo perché non avevo voglia di discutere mentre mangiavo, mi interessava realmente poco dei suoi ringrinziti sentimenti.
"Allora" dissi invece, "andiamo alle Vele?" Chiesi.
Mi guardai intorno mentre percorrevamo la tangenziale piuttosto libera. Non c'erano molte macchine quella mattina, forse perché erano tutti
raggruppati in qualche bar a fare filosso.
Fece un lieve cenno del capo. "Mh" fu tutto quello che disse, perciò presi il cellulare e chiamai mia madre per dirle le solite cose inventate: va tutto bene, Napoli non è piena di mafiosi, capisco il dialetto del posto e tutti sono efficienti.
Dopo un paio di sue raccomandazioni che concernevano il fatto di comportarmi bene con Mike, perché il poverino stava soffrendo, e un "fai la brava" chiusi la chiamata e chiamai Andrea.
"Uè uè!" Alzai la voce e riempì il piccolo cubicolo grigio in cui stavamo.
"Uagliò" replicò lui con un accento napoletano peggiore del mio, "cumme va?"
Non ero convinta si dicesse così ma evitai di fare la sapientona perché magari aveva perfino ragione.
"Vabbuono" replicai, "ma Mike Bird mi scass o' cazz" aggiunsi, vedendo con la coda dell'occhio Mike voltarsi verso di me per onorarmi di uno dei suoi sguardi infastiditi e pungenti.
"O'vero?"
Scoppiai a ridere e arrotolai la carta della brioche nella mano, "il tuo accento napoletano fa schifo" appuntai continuando a ridere.
"Mi son de Milan" rispose cambiando completamente tono, rendendolo più acuto e aperto.
"Veh che tu sei della pianura padana. Non si tradisce mai l'Emilia. Mai" risposi patriotticamente. Io ero praticamente scappata a Roma alla ricerca di un futuro migliore, ma quella era un'altra storia conclusa ormai.
"Comunque sei tornata da una settimana e sei già via. Sei un infame."
Guardai la strada e il cielo cupo davanti a me, mentre un ammasso di case, più in là, si apriva nel paesaggio scuro.
"Fosse colpa mia" sospirai, "credi che io volessi venire qui? Con Michele per lo più? È tipo la peggiore vacanza di sempre e non sono convinta si possa chiamare vacanza."
"Ti pagherà anche delle mutande nuove se glielo chiedi, sfruttalo" consigliò e potei vedere davanti a me le sue spalle alzarsi e sottintendere quello che avrei dovuto fare.
Annuì, "tieni ragione, a facc ro cazz."
"Uè uè devo andare che sta per iniziare il corso. Divertiti e portami della droga, dato che li la trovi sicuramente."
Alzai gli occhi verso il tettuccio. "La trovi anche dove abitiamo noi e preferirei di no, eppure."
Lo sentì ridere allegramente. "Touché. Fatti delle foto con i boss e mandamele."
"Se non mi sparano prima" replicai, "ciao bello."
"Ciao straniera."

Tolsi il cellulare da vicino all'orecchio e guardai lo schermo divertita mentre spegnevo la telefonata.
"Puoi smetterla di dire che non vorresti essere qui?!"
Mi voltai verso Mike. "No, perché non vorrei essere qui" ripetei, "sopratutto con te. Alla fine il problema maggiore sei tu."
"Alla fine il problema maggiore sei tu" mi fece il verso rendendo la sua voce acuta e fastidiosa.
Gli colpì la spalla con un "ehi!".
Io non parlavo così.
"Lo so che in realtà vorresti scoparmi" aggiunse e ritirai velocemente la mano, per poi colpirlo ancora.
"Smettila di dirlo" ordinai seria.
"Non l'hai negato" mi ricordò lui con una voce resa cantilena, come se avesse tutte le conoscenze del mondo.

Ehi.
Doppio aggiornamento perché era già pronto.

Piccolo spazio perché quello dello scorso capitolo era abbastanza.
Mh, ho tipo un problema che probabilmente dirò prima o poi. Tipo una fissa altamente sbagliata.
E SIAMO AL CINQUANTESIMO CAPITOLO E SIAMO A 3'000 VIEWS. Chi ci avrebbe mai creduto? Io no sicuramente. Non ho nemmeno idea di come voglio far finire - o quando - questa storia.
Bah, vi voglio bene davvero. Tipo che seriamente mi riempite di gioia anche solo se cliccate sulla storia.

Bene, vi lascio al vostro spettacolare sabato sera.
Io sono ad una notte bianca con tanto di beach party (a facc ro cazz proprio. Mettono la sabbia sul cemento, yay, che tristezza.)

Buon sabato e buon weekend. ♥️🌹

The bird has flown awayDove le storie prendono vita. Scoprilo ora