capitolo 1

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  Dicono che quando stai morendo ti passa tutta la vita d'avanti. Posso confermarlo.
Fino ad un anno fa non credevo nel destino.  Mi chiamo Marco Tebaldo Alfonso Zaffori, lo so, sono nomi strani, ma hanno un significato. Tutto ha un significato, bisogna solo scoprirlo. 
Chiamatemi Marco, ho 15 anni e vivo a Roma, un'enorme città che mi fa sentire così piccolo e solo. Non ho parenti, solo mia madre. Sento di non appartenere a questo mondo ma penso sia una cosa che sentono tutti i ragazzi della mia età. Non ho amici, non vado bene a scuola, non ho progetti per il futuro, ma di una cosa sono certo: Faccio di tutto per le persone che amo e mia madre è una di queste.  Mia madre sta morendo di cancro a soli 43 anni. Tanto per ricordarmi che le cose belle non mi appartengono. Le resta poco tempo e I servizi sociali dicono che mi porteranno da qualche famiglia e che starò bene, ma so che non sarà così.  Quella mattina mi alzai tardi, come al solito, e persi il pullman, cosi dovetti percorrere con la bici 6 km. Frequento il liceo artistico al centro di Roma. Passai velocemente affianco al bar ''Minos'' un piccolo locale gestito da moglie e marito, ci vado spesso a fare colazione, senza una tazza di caffè la mattina non riesco a svegliarmi.  ''Non può andarmi peggio di così'' pensai questa mattina.  Diamine se mi sbagliavo.  -Ancora in ritardo Marco? – mi chiese sorridendo la bidella della mia scuola, una signora grossa e bassa, con lo sguardo gentile, occhi color cioccolato e capelli grigi legati spesso in una crocchia.  -Come sempre Mina! –risposi correndo al 3 piano.  Entrai in classe con 45 minuti di ritardo e subii una delle solite ramanzine leggere, una di quelle che si fanno solo a chi è stato abbandonato dal padre e sta per essere orfano di madre, perché le persone ti guardano così, come se fossi un cucciolo che è stato appena bastonato. Quello sguardo lo odio, mi è stato rivolto tutta la vita.  Mi sedetti al mio posto, di fianco a Sonia, l'unica vera amica che ho, a lei è morto il padre e la madre l'ha abbandonata, la prendono tutti in giro perché sa sempre tutto, qualunque sia la domanda che la prof le rivolge lei la sa, ha il massimo dei voti in tutte le materie, è una bellissima ragazza, ha lunghi capelli castano ramati e sono mossi, gli occhi sono verdi ma quando piange diventano di un colore indefinito e lei piange spesso.  -Dove sei finito? - mi chiese stando attenta a non farsi vedere dalla prof, ma non c'era pericolo, anche se ci avesse visto avrebbe fatto finta di niente lanciandoci uno di quegli sguardi o-poveri-bimbi-senza-genitori.  -Ho fatto tardi...- mi giustificai azzardando un sorriso. Odiavo la scuola.  -Marco la scuola è una cosa importante! un giorno tu...-  -si si ti prego risparmiami la predica - la supplicai. Lei ricominciò a prendere appunti e a rispondere ad ogni domanda la professoressa di storia dell'arte facesse.  Aspettative per il futuro? Niente di niente. Non so perché ma quando penso al futuro percepisco come un senso di vuoto. Io non farò grandi cose, ne sarò mai una persona importante, non aspiro a diventare medico, o avvocato, o un qualche lavoro con un buon guadagno, semplicemente non so cosa fare nella vita. E dato che la mia voglia di studiare diminuisce di giorno in giorno (sempre che sia possibile che diminuisca più di così) non aspiro a nulla di grandioso. La campanella che segnava la fine delle lezioni suonò e io e Sonia ci dirigemmo a casa mia, spesso Sonia veniva a darmi una mano con mia madre, preparava il pranzo per lei e per me, puliva un po' e spesso mi aiutava con i compiti. A mia madre non è mai importato molto dello studio, ma gli importava molto che non saltassi mai un allenamento di arti marziali, box, auto difesa, atletica pesante. Eh sì, mia madre era fissata con la sicurezza!  -Come si sente oggi Signora Morgana? - chiese gentilmente Sonia porgendo a mia madre la minestra calda.  -Starei meglio se Marco evitasse di perdere il pullman tutte le mattine...- disse guardandomi storto.  -scusa mamma...-  -Non fa nulla Marco. -  Erano le 9 di sera, avevo deciso di accompagnare Sonia a casa; Eravamo in pieno gennaio, il freddo si faceva sentire particolarmente, ma io ero comunque in maglia a mezze maniche, mentre Sonia portava un pesate cappotto. Non avverto il freddo sulla pelle, l'aria non mi ha mai causato problemi prima d'ora, non la avverto quando è fredda, non so perché ma sinceramente non ci ho mai fatto particolarmente caso.   Sonia abita con una famiglia adottiva un km da casa mia, in una stupenda villa che sarà grande quasi il triplo della mia, ma lei la odia perché i suoi genitori adottivi non la trattano bene, e i suoi fratelli le fanno molti dispetti come nasconderle i vestiti o chiuderla a chiave nella loro camera.  -grazie di avermi accompagnata Marco, chiamami se vi serve qualcosa...- stava per entrare quando le chiesi:  -Domani è sabato, non abbiamo scuola... che ne dici di venire con me a fare un giro in centro? -  -va bene...- disse portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lei è così, si imbarazza sempre.  Imbarazzatissimo me ne ritornai a casa.
Stavo andando a dormire, ero molto stanco, non sapevo che quella sarebbe stata l'ultima notte al sicuro che passavo, l'ultima notte ignaro del destino che era stato scritto per me. Ma se avessi avuto scelta, neanche per un secondo avrei cambiato le cose, lo so, crederete sia un'egoista, avrei potuto salvare molte vite innocenti, ma probabilmente non avrei conosciuto loro. Quindi, se potessi far in modo che ciò che è avvenuto non avvenga, tornerei indietro? No, per nulla al mondo. 
La mattina dopo mi svegliai e andai in camera di mia madre. Avevo una brutta sensazione quel giorno, pericolo. Avevo una sensazione di pericolo, forse erano i miei sensi che già si stavano sviluppando, oppure era destino che quel giorno andasse tutto storto. Comunque, quel giorno mi ero alzato con una bruttissima sensazione, qualcosa nella mia testa mi gridava ''scappa! Scappa finché puoi! Se attraverserai quella porta la tua vita cambierà! Una cosa che mi caratterizza è che seguo sempre le regole. Non sono uno di quei teppisti che infrangono la legge, anzi, se qualcuno mi dice di non fare una cosa, non la faccio. Perché disubbidire? Preferisco non prendermi responsabilità, rimanere nel copione, quindi, anche quel giorno ignorai il mio istinto. Cosa che mi costò cara.  Mia madre è sempre stata una persona solare, i suoi occhi anche se scurissimi hanno sempre brillato di luce propria. Sono sempre stato felice di averla come madre, l'ho sempre accontentata, qualunque cosa mi chiedesse. non ho mai infranto una sua regola o un suoi divieto questo ha fatto in modo che i litigi tra noi due siano più unici che rari. Lavorava in un importante ospedale qui in centro, faceva l'infermiera prima di scoprire di soffrire di cancro.  Marco...- Disse mia madre dal letto. Aveva i lunghi capelli mori legati in una crocchia veloce e gli occhi neri come la pece un po' più spenti del solito. Mi accorsi subito c'era qualcosa che non andava.  -dimmi mamma- Dissi sedendomi sulla sedia di fianco al letto in mogano scuro. Quella stanza era tutta troppo scura, avrei dovuto fare qualcosa. Ma ormai non avrei avuto più tempo e non sapevo quella fosse l'ultima volta che avrei visto la stanza.  -Sto morendo Marco... è arrivato il momento che tu sappia, apri il 3 cassetto del comodino... c'è un sacchetto di velluto blu. Prendilo. -  -Mamma non dire così ti prego...- provai inutilmente a farla ragionare. I medici avevano detto che le rimaneva ancora qualche mese!  -fa come ti ho detto, le forze mi stanno abbandonando- insistette lei  Aprii il 3° cassetto del comodino e sotto a molti libri e cose varie trovai il sacchetto. Lo porsi a mia madre che lo aprì e ne estrasse una pietra, con precisione: uno zaffiro. Uno zaffiro che aveva un blu luminoso, un blu abbastanza chiaro da sembrare grigio se puntato contro la luce.  -Questo, devi portarlo sempre, Marco, sempre con te. Non te ne separare mai. Marco, tu non sei un ragazzo normale figlio mio. Tuo padre era come te. Anche tuo nonno. Ora devi continuare quello che loro hanno iniziato. -Detto questo cercò di alzarsi inutilmente.  -Mamma non puoi alzarti, il medico ha detto...- Tentai di farla ragionare.  -Dimentica ciò che ha detto il medico, dimentica la realtà come tu la conosci. Marco tutto è cambiato. Devi farlo tu io non ne ho le forze...- disse porgendomi lo zaffiro.  -Mamma di cosa stai parlando? cosa devo fare? – chiesi disperato guardando lo zaffiro, era familiare e non so neanche io il perché dato che non lo avevo mai visto in vita mia.  -sposta l'armadio- disse lei indicando un pesante armadio di mogano scuro. Scherza? Quel coso peserà una tonnellata!  In cuor mio pensavo che mia madre stesse impazzendo. Ma nonostante questo spostai l'armadio di legno che copriva l'arazzo di famiglia. I volti fieri dei miei antenati guardavano verso di me, solo che c'era qualcosa di strano. Quell'arazzo era disegnato su una tela, che poi era stata attaccata al muro da 2 chiodi, era molto grande, poco colorato, molto triste. I colori erano tutti sul tono dell'azzurrino e del nero e questo non faceva altro che rendere il tutto ancora più tetro. Mia madre lo aveva coperto quando nacqui io. Non ne sapevo il motivo. Ciò che vidi mi fece accapponare la pelle.  Sull'arazzo comparivano i miei antenati ma non era quello a farmi provare quelle sensazioni, ma il fatto che tutti i maschi della famiglia tranne me erano stati segnati con una X azzurra che copriva i volti, come se fossero stati eliminati. Quelle facce mi guardavano e riconobbi subito mio padre, anche se non lo avevo mai visto di persona. Aveva corti capelli castano scuro e luminosissimi occhi verdi, i miei stessi occhi. Solo che non capivo perché tutti fossero segnati con una grande X, possibile fossero....  -Si Marco. Sono morti. – Disse mia madre asciugandosi una lacrima togliendo ogni mio dubbio.  -ma mi avevi detto che...- Tentai.  -ho mentito. Tuo padre non se ne è andato quando eri piccolo. Beh, c'è una parte di verità. Se ne è andato per combattere una guerra. Tutti i maschi della nostra famiglia sono morti così Marco. Ma sono certa che tu riuscirai dove loro hanno fallito. Marco fa ciò che ti dico. Prendi lo zaffiro e puntalo verso il tuo volto raffigurato nell telaio, e recita le parole che sto per dirti. -  Feci come disse lei. Puntai la pietra verso il mio volto (mi avevano disegnato un naso enorme!) e notai che una luce celestina seguì tutto l'arazzo. Collegò tutti i volti dei miei antenati seguendo una linea mossa fino a quando non si strinse intorno al mio volto.  -ripeti con me Marco:  '' SONO PRONTO.  ACCETTO IL MIO DESTINO E LO ABBRACCIO...-  Non ero tanto sicuro di voler abbracciare lo stesso destino dei miei antenati ma nonostante tutto (anche il fatto che sarei morto, probabilmente come loro) ripetei le parole che mia madre diceva. Forse non era lei ad esser impazzita, forse ero io. Non poteva esser vero tutto quello, era assurdo. Ma mia madre non era il tipo che in punto di morte si mette a fare scherzi.  -''...COMPIRO' LA MIA MISSIONE,  PER IL BENE DELLE PERSONE COME ME.  EVITERO' CHE IL GENE SCOMPAIA  E VINCERÒ DOVE GLI ALTRI HANNO FALLITO.  IL MIO POTERE RIUSCIRA' A SALVARMI,  SALVERA' ME E IL FUTURO DEL GENE.''  Dopo aver ripetuto ciò che mia madre aveva detto, davanti ai miei occhi, l'arazzo di famiglia scomparì lentamente e fu quello il momento in cui la mia vita cambiò, smisi di essere un bambino e cominciai ad essere un uomo, un eroe, un guerriero.  Davanti a me c'era una galleria buia, non capivo quanto fosse profonda.  -prendi lo zaffiro e pensa che vuoi un'arma, essa comparirà tra le tue mani. Le gallerie sono aperte, abbiamo poco tempo. Lo zaffiro ti farà capire, farà in modo che ti trovino...-  - chi? Chi deve trovarmi? -  Il suo sguardo si fece serissimo, per un attimo pensai di aver fatto una domanda stupida o troppo segreta, una domanda sbagliata.  Bastarono quelle 2 parole per farmi tremare.  -da tutti- disse seria.  -tutto cosa? -  Dalla galleria arrivò un ruggito, come quello di un leone e quello bastò a farmi indietreggiare.  -Marco devi andare. Subito! Ricorda di essere prudente e cerca di sopravvivere almeno fino al tuo 16esimo compleanno! -  Incoraggiante mamma. Grazie mille.  Non feci in tempo a fargli notare quanto il suo incoraggiamento fosse, in realtà, poco incoraggiante e stimolante che l'arazzo ricominciò a comparire.  -CORRI! - gridò mia madre e l'ultima cosa che vidi prima di lanciarmi all'interno della galleria fu lei, che si teneva il petto e l'ultimo suono che udii fu il bip bip del macchinario per i battiti cardiaci, che emetteva un fischio continuo...... Poi il buio. 








Ciao! Questo è il primo capitolo della mia storia, spero vi piaccia! Se vi piace lasciate una stellina, se avete qualche consiglio o avete notato qualcosa che secondo voi non và, commentate!.

baci

chiara

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