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Usciti dall'acqua, asciugati tra le risate con un asciugamano che avevamo rubato nello sgabuzzino della piscina, rivestiti in maniera più o meno decente, ci riavviammo senza nessuna fretta verso la festa. Ripercorremmo a ritroso i passi che ci avevano portati fino a quella stanza, questa volta lentamente, senza correre, spintonarci o prenderci in giro, Gabriel mi diede una spintarella giocosa, gli lanciai un'occhiata di finto rimprovero, mi prese in giro, minimizzai il mio imbarazzo, mi accarezzò i capelli bagnati, finsi di non arrossire, finse di non essere sorpreso per quel gesto per lui insolitamente affettuoso.

Mi sentivo tirata in ballo in modo inconsapevole come un topolino che veniva preso di mira da un gatto: con lui era come giocare a chi torturava di più, un gioco che sapevo di perdere in partenza, eppure non smettevo di giocare, non avevo paura, non mi stancavo mai.
Non aveva fretta di ritornare nella bolgia, indugiò a farmi vedere una stanza o due, una con un grande pianoforte a coda, l'altra con un biliardo e vari altri giochi, mi raccontò che Alex era ricco di famiglia, suo padre era una specie di politico, ma non sapeva entrare nei dettagli, mentre parlava, con quella sua voce roca, profonda, che sapeva di notti in bianco e caffeina, non sentii l'esigenza di controllare l'orario, non importava che fossero le undici, le due o già l'alba: bastava trascorrere quel mio tempo al suo fianco, bastavano le nostre parole, bastava che fosse ancora lì con me, la sua attenzione completamente rivolta nei miei confronti, verso i miei occhi, fino a quel modo insistente che aveva di guardarmi la bocca, con uno sguardo predatorio, come se volesse non baciarmi, ma mangiarmi.

In alcuni momenti, mi sembrava una specie di fratello maggiore, un compagno di giochi che si divertiva a prendermi in giro, altre volte pareva una belva feroce, pronto a saltarmi addosso non appena avessi abbassato le mie difese.
Era tante cose tutte insieme, ma non avevo ancora capito quale aspetto del suo carattere mi affascinasse maggiormente, o quale mi facesse più paura, mettendomi in soggezione.

Con Gabriel, nel poco tempo in cui lo avevo frequentato, avevo imparato a godere ogni singolo attimo, perché anche un secondo, trascorso al suo fianco, era indimenticabile.
Non sapevo dire esattamente cosa combinasse nella mia testa, nel mio cuore e dentro alle mie budella: non so se era una magia, un incantesimo, una maledizione o, semplicemente, avesse trovato quella particolare formula chimica in base alla quale ogni sua parola era oro, i suoi sguardi mi attiravano come calamite, ogni gesto era impossibile da dimenticare e aumentava esponenzialmente la frequenza del mio battito cardiaco.

Camminavamo fianco a fianco, vicinissimi, così vicini che sentivo il suo odore, il suo respiro, sentivo la sicurezza che emanava, il rumore dei nostri passi che echeggiavano nel corridoio deserto come se scandissero lo scorrere del tempo.

Ero impazzita.

Avevo perso il controllo.
Era come se fossi ubriaca, presa e persa nell'ebbrezza di sentirsi, per la prima volta, davvero importante per qualcuno che non fosse Claudio. Qui non c'era legame di sangue: Gabriel mi faceva sentire come se riscoprissi ogni gesto, ogni volta che mi toccava.
Avrei dato qualsiasi cosa perché quella notte non finisse mai, perché continuasse a concentrare tutta la sua attenzione su di me, facendomi sentire il centro del suo mondo.
E volevo che lui fosse il centro del mio, lo volevo con un'intensità che mi spaventava: era qualcosa di tutto nuovo, di tutto inatteso, qualcosa che era arrivato nel peggiore momento della mia vita, che mi aveva portato in cima alle stelle, proprio mentre mi dibattevo nella palude più pericolosa, triste e deprimente in cui mi fossi mai impantanata.
Penso che fosse proprio quello il principale pregio di Gabriel: riusciva a farmi sentire importante, come se tutto dipendesse da me, anche la sua felicità; lo si capiva dal modo insistente e dolce che aveva di guardarmi, di ascoltarmi con attenzione, come se tutto ciò che dicessi fosse importante, dal fatto che non mi perdeva mai di vista, mai, per niente al mondo, il suo sguardo mi seguiva ovunque, facendomi sentire protetta ed essenziale. Nessuno aveva mai avuto tutte quelle attenzioni per me, potevo voltarmi e avere la certezza che, non appena mi sarei rigirata, lo avrei trovato lì, a due passi da me, a controllare se stessi bene.
Aperta l'ennesima porta, ci ritrovammo al centro della festa, che era proseguita benissimo anche senza di noi, anzi, forse ora era perfino più rumorosa, caotica e fuori controllo. Gabriel mi riprese la mano, stringendola come per rassicurarmi, pensando, probabilmente, che tutti quegli sconosciuti potessero mettermi a disagio.

Un gioco da ragazzi - PRIMO INSTALMENT DELLA STORIA DI GABRIEL E CHLOÉDove le storie prendono vita. Scoprilo ora