Capitolo 7

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La casa di Metrodora si affaccia su un cortile nascosto dietro un alto muro bianco lungo la via che porta al Palazzo dei Bacchiadi.
Al centro del cortile troneggia uno splendido albero di arance contornato da fiori di ogni forma e colore.

Due ancelle dalla pelle scurissima ci accolgono portando un piccolo bacile in argento e piccoli teli di lino.
Vengo condotta in una stanza da bagno coperta da marmi lucidi al cui centro una corta scaletta in pietra si immerge in una vasca di acqua calda da cui si innalza una colonna di vapore aromatico.
Tanta opulenza mi stordisce.

L'ancella che mi accompagna mi aiuta a liberarmi dagli abiti polverosi del viaggio, ma sgrana gli occhi quando si accorge che il bracciale di metallo è incastrato al mio polso. Le confermo che non c'è speranza di riuscire a toglierlo ed entro immediatamente in acqua.

Per quanto sia stata abituata a vedere le accolite del Tempio di Athena senza vestiti al momento della toeletta, non sono a mio agio a mostrare la mia nudità ad una perfetta sconosciuta.
Prendo il pezzo di pomice lasciato dall'ancella per lavarmi ed infine mi concedo di indugiare qualche istante nell'acqua calda.

Solo ora che il mio corpo si rilassa, mi rendo conto che tutte le mie membra sono indolenzite.
Sono cresciuta correndo su e giù dalle colline attorno al tempio, ho imparato ad andare a caccia e a gareggiare con gli animali per procurarmi il cibo, ho seguito il Sacerdote durante lunghi pellegrinaggi, ma mai niente di tutto ciò ha stretto i miei muscoli in una morsa di tensione come quella provata oggi.
Quando esco dall'acqua, mi sento stanca e pesante.

L'ancella, rimasta in attesa in disparte, si affretta a venirmi incontro con un telo per asciugarmi, poi mi cosprage di olii profumati e mi fa sedere su una panca di legno accanto ad un braciere dove pettina e asciuga i miei capelli per poi raccoglierli sulla nuca.
Il peplo con cui mi riveste infine è quanto di più morbido io abbia mai toccato. E' evidente che i commerci di Metrodora superano qualsiasi mia immaginazione.

Continuo a chiedermi perché abbia deciso di salvarmi e poi ospitarmi.
Quella donna è un mistero.
Ripenso ai suoi lineamenti mascolini, al fisico alto e asciutto nascosto sotto le abbondanti vesti, alla forza con cui è riuscita ad immobilizzarmi e a trascinarmi in quel vicolo.
No, Metradora è più di quello che dice di essere.

***
La cena viene servita su una tavola bassa e lunga, contornata da cuscini, al centro di una sala arredata lussuosamente e su cui si aprono ampie finestre sul cortile. Un brezza leggera muove i tendaggi candidi che le ricoprono.

Metradora è già comodamente adagiata su un fianco mentre sorseggia un calice di vino.
Ha dismesso gli abiti larghi e il trucco è ridotto solo al kajal sugli occhi. I capelli scendono lunghi, neri e ondulati fino alla vita.
La tunica che indossa fuga ogni mio dubbio.
Metradora non ha le forme morbide di una donna, né il viso. Solo i suoi occhi scuri possiedono una dolcezza assolutamente femminile.

La mia esitazione deve essere palese, perché il mio ospite mi invita a raggiungerlo con un rassicurante "Accomodati, non avere paura."
Mi sdraio goffamente sui cuscini alla sua destra, cercando di non apparire nervosa, ma non posso fare a meno di fissarlo.
"Capisco la tua confusione, prometto che farò chiarezza."
Il suo sorriso è triste, quasi rassegnato.

Fa un cenno verso la porta e in pochi istanti tre servitori imbandiscono la tavola con ogni sorta di leccornie.
Metradora riempie un calice di vino e me lo porge, brindando al buon esito del mio pellegrinaggio.
Riesco a deglutire solo un sorso della bevanda scura, che aggredisce subito la mia gola.

"Grazie per l'ospitalità" esordisco.
"E' un piacere. Non ho molte occasioni di avere ospiti."
"Il commercio ti tiene spesso lontano da Kòrinthos?"
"In parte. Ma soprattutto il fatto che io sia confidente delle donne della casata reale non impedisce agli altri cittadini di evitarmi come la peste. Dopo tutto, chi vorrebbe avere a che fare con un ermafrodito?"

Non riesco a credere alle mie orecchie.
"Un figlio di Hermes e Afrodite... perché la gente ti evita?"
"Perché io non sono figlia degli Olimpici. E le persone preferiscono evitare quelli che vengono considerati scherzi della natura, i diversi. Se fossi nata a Sparta, probabilmente non mi avrebbero neanche concesso di vivere."
"Ti riferisci a te stesso come se fossi una donna" azzardo, senza guardarlo negli occhi.
"Alla nascita è stato constatato che ero una bambina e sono cresciuta come tale. Per questo il mio nome è Metradora. E' solo con lo sviluppo che il resto delle mie fattezze ha preso un'altra direzione. Ma per tutti sono ormai Metradora, la mercante, e la mia condizione non mi ha impedito di seguire la mia strada, sebbene abbia dovuto contraffare la mia natura."

"Dove acquisti le stoffe?"
"In Egitto principalmente, ma anche in Oriente, dove tessono un pregiatissimo filato derivato dal bozzolo di un baco."
Resto incantata ad ascoltare i racconti dei suoi viaggi e dei paesi con cui commercia, sulle note della sua voce melodica, mentre i servi portano via i piatti ormai vuoti e riempiono ancora una volta i calici di vino.

"Purtroppo i tempi sono cambiati e il commercio sta diventando sempre più difficile. E' per questo che sempre più mercanti non si fanno scrupoli ad imbrogliare per ottenere pochi spiccioli in più. Kòrinthos è sulla via del declino come tutte le altre polis, se non torneremo a godere del favore degli Olimpici" conclude Metradora con lo sguardo perso nel vuoto.

Segue un silenzio quasi rassegnato.
"Una volta ho sentito parlare di una terra fredda e rocciosa in riva al mare, battuta dal vento e dalla pioggia, ma non ricordo dove fosse. Hai mai visto un posto del genere?" mi azzardo a chiedere,
"Terre così inospitali si trovano molto a nord, in paesi con cui è difficile commerciare" risponde dopo aver svuotato il calice.

Deglutisco a vuoto.
Dopo Delphi, quindi, sarà quella la mia direzione, se voglio trovare l'origine del mio sogno ricorrente.
Questo pensiero, assieme al vino, dà il colpo di grazia alla mia resistenza.
Mi gira la testa come se avessi appena tentato la divinazione.

Con tono un po' incerto cerco di prendere congedo dal padrone di casa, ma lui si offre di accompagnarmi fino al cortile.
"Domani, quando sarai riposata, studieremo il modo di portarti fuori dalle mura della città" annuncia prendendomi sottobraccio.
"Sono in debito" mormoro.
"Non dirlo neanche."

La notte è ormai calata e il cortile è illuminato da qualche torcia lungo il suo perimetro.
Metradora sospira.
"Quando ero un po' più giovane di te mi sono imbattuta in una guardia ubriaca mentre tornavo a casa. Non avevo mai avuto esperienze con un uomo e quella è stata la peggiore che una ragazza possa avere."
I suoi occhi si velano.
"Da quel giorno ho chiuso definitivamente col mondo maschile. Vivo come donna perché apprezzo le loro qualità, ma sopporto ogni giorno la frustrazione di non poter dare loro quello che un uomo vero dovrebbe offrire."

Provo pena per questa creatura a cui gli dei hanno assegnato un destino così tormentato.
Ad un tratto si ferma davanti a me e prende la mia mano.
"Alyssa, so di non poter essere quello che ogni fanciulla sogna e so che meriti molto di più. Ma tu riesci a capirmi, come non mi capita ormai da molto tempo. Tu riesci a vedermi. Tu mi senti."
Il suo tono diventa morbido e suadente.
"Non ti chiederò nulla che ti possa recare disonore e che tu non sia disposta a concedermi."

Cerco di sostenere il suo sguardo più a lungo che posso.
Nei suoi occhi scuri si agita un'inquietudine a cui vorrei rispondere e donare sollievo, ma qualcosa di ardente in loro mi inibisce.
La mia voce è a malapena udibile quando trovo il coraggio di parlare.
"Vorrei poter essere in grado di darti quanto più desideri."

Sono mortificata. Vorrei poter attribuire questa sensazione al semplice dovere morale di ricambiare quanto ha fatto per me.
Metradora non si scompone.
Mi sorride benevolo e con una carezza sulla guancia mi augura la buonanotte, prima di dirigersi verso la sua stanza.

***
Sapevo che non sarei riuscita ad addormentarmi.
Ho cercato di nascondermi dietro ad una scusa, ma la verità è che Metradora ha ragione. Quello che mi ha portato qui, davanti alla porta della sua stanza, non è certo il semplice senso di gratitudine.

Scivolo silenziosamente dentro e lascio che sia il suo respiro a guidarmi fino al letto.
Forse lo aveva previsto. O forse ha solo accettato quanto potevo offrire senza fare domande.
Ma quando mi sdraio alle sue spalle, cingendogli la vita con un braccio, intreccia le sue dita tra le mie.

Sfida a KronosWhere stories live. Discover now