Nuvole bianche

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Vorrei invitarvi a leggere questo capitolo ascoltando la musica che ho scelto per accompagnarlo: è postata qui sopra. Adoro Ludovico Einaudi. Senza bisogno di parole sa esprimere emozioni tangibili... fate questo esperimento e fatemi sapere in che modo questo capitolo arriverà al vostro cuore... se ci arriverà!
Buona lettura.

Giorgio Ferro fissava assorto il soffitto illuminato dalle luci dei lampioni e dai fari delle poche macchine che ancora circolavano a quell'ora tarda della notte.
Era come ipnotizzato da quel susseguirsi di ombre in movimento. Ormai gli capitava sempre più spesso di ritrovarsi in quella posizione, del tutto sveglio, nel cuore della notte, divorato dall'interno da un'angoscia che durante il giorno riusciva invece a controllare.
Ma la notte... la notte non gli concedeva sconti. Puntuale, da sei lunghi mesi, si ritrovava a fare i conti con la sua asfissiante oscurità. Era sempre lì, in agguato, pronta a sbattergli in faccia ogni fottuta immagine che lui, di giorno, riusciva a strappare in tanti piccoli pezzi, relegandoli negli angoli più reconditi della sua mente.
Lei, spietata, li ricomponeva ogni volta davanti ai suoi occhi, e col suo ghigno sadico lo costringeva a piombare nel baratro dei ricordi. Devastandolo.

Sospirò e voltò la testa per guardare la donna che, ignara e appagata, dormiva al suo fianco.
Provò un senso di disgusto che gli fece stringere la mascella fino a fargli digrignare i denti.
Scansò le lenzuola, s'infilò i jeans e si alzò, raggiungendo la finestra accostata della sua camera. Si accese una sigaretta e lasciò vagare lo sguardo lungo la strada buia e deserta.

Il leggero cigolio del materasso dietro di lui, gli fece capire che la sua concubina si stava svegliando, ma non si preoccupò di verificarlo.
- Giò... che fai lì in piedi? Avanti, torna a letto, è notte fonda! - mugolò la donna con voce roca e impastata dal sonno.

Giorgio tirò una lunga boccata dalla sua Marlboro. - Devi andartene! - sputò fuori insieme a una nuvola di fumo, senza alcuna inflessione nella voce e senza voltarsi.

- Ma perché ogni volta fai così? Per quale motivo non posso restare fino al mattino? -

A quel punto Ferro spense la sigaretta e si girò a guardarla.
- È così e basta! Non devo darti nessuna spiegazione, lo sai dall'inizio. Non ci sarà mai niente più di questo tra di noi! -

Pronunciò quelle parole dure e fredde mentre, senza degnarla di un briciolo di attenzione, si dirigeva in bagno.
Aprì il getto della doccia e nell'attesa che l'acqua raggiungesse la giusta temperatura, posò entrambe le mani sul lavandino, fissando lo sconosciuto che lo scrutava avvilito attraverso lo specchio.
Non c'era più traccia di serenità e fiducia in quegli occhi cerchiati che lo fissavano impietosi.
Era un uomo diverso, ora. Non avrebbe più permesso a nessuno di entrare tanto in profondità dentro di lui. Mai più.

- È sempre per quella Martina, vero? Non capisco, cosa ti prende? -

Sobbalzò nell'udire pronunciare il suo nome da quella donna della quale aveva già scordato la presenza in casa sua.
Lo aveva raggiunto in bagno con un lenzuolo avvolto intorno al corpo. Un corpo perfetto, con il quale lui sfogava la sua rabbia e la sua sete ogni volta che ne avvertiva l'esigenza.
Voltò il viso verso di lei, che appoggiata allo stipite della porta, attendeva una risposta.
- Sei ancora qui, Daniela? Ti ho detto che devi tornartene a casa tua, cosa c'è da capire? -

La donna sorrise stizzita, incrociando le braccia al petto.
- Sei proprio uno stronzo, Ferro! -

- Lo stesso stronzo che ero anche quando hai deciso di stare con me! - rispose tornando a fissare lo specchio - Né più, né meno. -

Non si accorse dell'espressione ferita che Daniela gli rivolse prima di lasciarlo da solo. I rumori provenienti dalla camera da letto gli indicarono che si stava rivestendo e quando sentì la porta d'ingresso sbattere capì che se n'era andata. Solo allora si concesse un lungo sospiro di sollievo, e senza indugiare oltre, entrò nella cabina della doccia.

Sapeva di essersi comportato in maniera pessima e non era neppure la prima volta, ma sapeva anche che l'indomani tutto sarebbe stato diverso. La luce del giorno e il suo lavoro fungevano da anestetico per il suo cuore dolorante, anche se ogni volta che varcava la maledetta porta del commissariato non poteva fare a meno di pensare a Lei...
Ogni angolo di quegli uffici, ogni sedia, scrivania, tutto quanto gliela riportava alla mente. Ma era questione di pochi istanti, poi la rabbia prendeva inesorabile il sopravvento, consentendogli di riuscire a cancellare dalla sua testa l'immagine nitida e costante dei suoi occhi verdi.

Quando sei mesi prima era stato dimesso dall'ospedale, aveva provato con ogni mezzo a mettersi in contatto con Lei: per telefono, tramite Alessia - la sua amica più cara - o ancora a Catania, a casa dei genitori... ma niente. Si era persino recato nel carcere dove Santamaria era detenuto, aveva bisogno di sapere, sapere se quello psicopatico figlio di puttana avesse in qualche modo manipolato la mente della sua donna. Ma quello che si era ritrovato di fronte, era un uomo consumato dalla sua stessa follia: un individuo un tempo impeccabile, ridotto pelle e ossa, con due enormi occhi neri come il petrolio e spenti come la morte stessa.

Non ricevette mai una sola chiamata o anche un misero messaggio che potesse fargli comprendere i motivi di tale comportamento.
Martina lo aveva abbandonato come un cane, in bilico tra la vita e la morte in un merdoso letto d'ospedale ed era sparita, senza dargli nemmeno la possibilità di provare a farle cambiare idea.
Jessica, con la quale lei si era confidata, aveva provato ad esporgli lo stato d'animo in cui riversava. Era stata la paura di perderlo, la consapevolezza che se fosse successo la colpa non sarebbe stata di nessun altro se non sua. Il terrore di non riuscire più a guardarlo negli occhi senza dover sentire, ogni volta, il peso opprimente del senso di colpa. Per tutti quei motivi, gli aveva rivelato Jessica, Martina aveva sentito l'esigenza di allontanarsi da lui e da se stessa.
In principio aveva pensato che fosse una reazione comprensibile e si era convinto che forse lasciarle un po' di spazio e di tempo per riordinare i pensieri non sarebbe stato poi così sbagliato.

Ma i giorni erano diventati settimane, le settimane mesi e il silenzio prolungato di Martina era arrivato a convincerlo che i sentimenti che lei diceva di provare per lui, fossero stati in realtà come sottili e semplici nuvole bianche, quelle che anche solo una leggera brezza estiva sarebbe stata in grado di spazzare via.

Giorgio aveva trascorso i tre mesi di convalescenza a Roma, la città in cui era nato e nella quale aveva vissuto finché non aveva dovuto seguire la sua famiglia a Genova, dove il padre, ispettore di Polizia, aveva prestato servizio fino al giorno della sua morte, avvenuta per mano di un rapinatore.
Lui e la sorella avevano deciso all'epoca di proseguire gli studi lì, poi lei era entrata in Polizia e in seguito trasferita sul lago di Garda, mentre lui, intrapresa la stessa carriera, era riuscito ad entrare nel distretto dove tutt'oggi prestava ancora servizio.

Al suo rientro in commissariato aveva trovato parecchi cambiamenti. Oltre ad Alessandro, che sentiva quasi ogni giorno, diventato commissario, aveva incontrato il suo vice, Daniela Salvini. Non l'aveva più vista dal giorno del suo risveglio in ospedale e in poco tempo aveva trovato in lei quella leggerezza che gli era necessaria per andare avanti. Lei si era mostrata da subito molto attratta da lui, ma allo stesso tempo non aveva lanciato segnali che gli suggerissero che fosse in cerca di una relazione stabile. Era nato tutto così, lui e Daniela avevano iniziato a condividere il loro tempo libero, tacitamente concordi sul fatto di evitare coinvolgimenti sentimentali.

Lei non faceva domande.

Lui non era costretto a dare risposte.

Tutto stava filando liscio, fino a pochi giorni prima, quando Daniela aveva iniziato a mostrarsi d'un tratto troppo possessiva: insisteva molto sul fermarsi a dormire da lui e anche sul lavoro tendeva sempre di meno a nascondere i propri istinti, diventando quasi una presenza fastidiosa.

Forse è giunto il momento di troncare quest'inutile relazione!

Pensò uscendo dalla doccia. Avvolse il corpo nell'accappatoio e si diresse in salotto, dove si lasciò cadere sul divano, si portò una sigaretta alle labbra e accese la TV. Tanto non sarebbe più riuscito a dormire per quella notte, una strana inquietudine e tutti quei pensieri lo avrebbero tenuto di certo sveglio a fissare il soffitto come uno stupido...

OBSESSI (sequel di Invicta)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora