Il demone

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Quella sera, rientrando a casa, Giorgio si rese conto di quanto paradossale fosse stata per lui quella giornata.
In mattinata Alessandro gli aveva messo tra le mani una metaforica bomba pronta a esplodere, qualcosa tipo: - Ehi buondì, Giò, stai bene? Ah, prima che mi dimentichi... sai? Dopodomani torna colei che ti ha spezzato il cuore! -

Senza tanti giri di parole, più o meno era così che era andata.
Non ce l'aveva con lui, poteva immaginare benissimo quanto la cosa lo stesse mettendo in difficoltà. D'altronde lui si trovava nel mezzo, suo malgrado. Lo capiva. Ma la notizia lo aveva colto impreparato, inutile negarlo. Se possibile il suo risentimento verso Martina da quella mattina era cresciuto ancora, e non solo per questioni di orgoglio: da quanto aveva appreso, lei da un mese parlava con Barzagli, da lì a un paio di giorni avrebbe varcato la porta del suo ufficio dopo sei mesi di inspiegabile assenza e... tutto questo senza scomodarsi neppure a dargli un colpo di telefono! Sarebbe bastato un:
- Ciao, stronzo, sto per tornare... senza rancore, eh? -

E invece niente.

Ma che cosa aveva fatto per meritare una simile indifferenza?
Quasi come non fosse lui la parte lesa.

Ringraziò Dio perché il tempo per pensare era stato poco. Per tutto il resto della giornata la sua mente era stata impegnata sul nuovo caso di omicidio... ed era lì che entrava in gioco il paradosso.
Era stato bene. Come non gli accadeva da tempo.
Si era ritrovato da una parte col pensiero dell'imminente rientro di Martina, dall'altra con la morte orribile di una povera ragazza e lui che nel mezzo... stava bene.
Era forse un mostro? Uno psicopatico?
Si era riscoperto del tutto concentrato sul proprio lavoro, e oltre a quello, non poteva negare di aver passato in maniera piacevole e quasi spensierata le ore successive in compagnia dei colleghi.
Ma la disillusione e la consapevolezza impiegarono un tempo misero per tornare a fargli visita. Si erano presentate sotto le sembianze di un'insanabile spossatezza, come se per tutto il giorno qualcosa o qualcuno le avesse tenute pressate e nascoste per abbagliare i suoi sensi. Quel qualcuno non era altri che lui stesso, e quelle instabili difese che senza volere si era trovato a erigere, furono spazzate via come insignificanti ramoscelli in balia di un tornado.
Si buttò a peso morto sul letto. Esausto. Controllò l'ora sul telefono e sospirò di sollievo. Presto sarebbe arrivata Daniela.
Era senz'altro ciò di cui aveva bisogno: concludere in maniera spensierata quella strana giornata e perché no, forse per una volta avrebbe lasciato che rimanesse fino al mattino.

Si rese conto di essersi appisolato solo quando il trillo del campanello lo fece svegliare di soprassalto. Si alzò, trascinandosi a fatica verso la porta, in quel momento pentito più che mai per aver ceduto a Daniela.
Voleva solo tornarsene a dormire.
Aprì svogliato e subito fece dietrofront per tornare a letto: l'educazione e il dover fare gli onori di casa erano l'ultimo dei suoi pensieri.
Era arrivato quasi al centro del salotto quando sentì quella voce tanto familiare...
Si bloccò sul posto, ma senza voltarsi, pensando di essere definitivamente impazzito.

Non può essere.

Sentì la porta richiudersi piano e subito dopo il rumore di un paio di anfibi che, passo dopo passo, si avvicinavano a lui. Si posò una mano sul petto nudo, per essere certo che il suo cuore battesse ancora e lo sentì pulsare come un tamburo da stadio tra le sue dita d'un tratto tremanti... ma quando avvertì un tocco leggero e timoroso sulla sua spalla, un tocco che riconobbe all'istante e che mai avrebbe dimenticato, lasciò che le braccia gli cadessero a peso morto lungo i fianchi, finché con estrema lentezza trovò il coraggio per voltarsi.

L'emozione che lo investì fu di una tale potenza da seccargli la gola, impedendo a qualsiasi sillaba di trovare la via d'uscita.
Aveva immaginato quel momento ogni giorno, da sei mesi. Si era visto sputare improperi di ogni tipo, prendere a calci qualsiasi oggetto si era ritrovato davanti. Si era visto indifferente, freddo e insensibile.

Si era visto in ogni ruolo possibile.

Ma si ritrovò a dover riconoscere di essere un pessimo attore di se stesso.
Perché la realtà di quell'immagine, andò contro a ogni copione mentale.

Martina... la sua piccola guerriera...

Si perse dentro al verde intenso dei suoi occhi, quella sfumatura che non era più riuscito a vedere in nient'altro. Vide la sua piccola mano sollevarsi e, quasi con timore, posarsi sulla cicatrice che segnava il suo petto. Sentì le dita scorrere lente su quello sfregio, il simbolo indelebile della loro fine.
I loro respiri erano l'unico rumore a squarciare il silenzio di quella notte, nessuno dei due aveva ancora aperto bocca, erano le anime di entrambi a comunicare per loro... tra loro.

Giorgio lasciò che le proprie mani raggiungessero il viso di Martina.
Lasciò che il tatto e la sensazione calda della sua pelle gli confermassero che lei fosse davvero di fronte a lui, in quel momento.
Deglutendo a vuoto si rese conto che era reale. Lei era lì... e adesso entrambe le sue mani erano posate sul suo petto, il rifugio sicuro che lui avrebbe voluto riservarle in eterno. Avvicinò il suo viso a quello di lei. Piano. Senza distogliere lo sguardo dalle sue labbra umide e socchiuse.

E appena le loro bocche si incontrarono vennero meno tutti i timori e le titubanze fin lì mostrate. La passione e la voglia di riviversi esplose tra di loro come un roboante tuono al culmine di una tempesta.
Le loro mani cercavano con smania di colmare l'assenza che l'uno aveva provato per l'altra. Il rumore dei loro baci a sancire il ritorno alla vita.
- Perdonami... - riuscì a sussurrare Martina contro la prepotenza delle sue labbra.

- Non dire niente... - fu la sua roca risposta.

In pochi passi raggiunsero la camera da letto, senza mai separare i propri corpi troppo affamati l'uno dell'altro.
Nemmeno il suono insistente del campanello servì a dividerli.

Suonava.

Ancora. E ancora.

- Vai a vedere chi è... -

- Non mi interessa chi è, l'unica persona che m'interessa è qui con me... -

Ancora...

E ancora...

E ancora...

- Vai ad aprire... potrebbe essere importan... -

Ancora...

Ancora...

E ancora...

Giorgio spalancò le palpebre di scatto.
Davanti ai suoi occhi solo il soffitto, illuminato dalla luce fioca della TV accesa, e nelle sue orecchie solo quel suono incessante.

L'unica cosa reale di quel sogno.

Di quell'incubo.

Si coprì gli occhi con entrambe le mani e gli sembrò di avvertire ancora su di esse il profumo di Martina.
Confuso si mise a sedere, mentre anche il telefono prese a squillare. Senza guardarlo lo raggiunse a tentoni, portandoselo all'orecchio.

Tanto sapeva chi era.

- Arrivo... mi ero addormentato... -

Lo rigettò con stizza sul letto e dopo aver preso un lungo respiro si alzò.
Passò davanti allo specchio sopra il comò, soffermandosi a osservare la cicatrice...

Bastò quell'immagine a ridestarlo del tutto.

Percorse a passo svelto lo spazio che lo separava dalla porta d'ingresso e l'apri con decisione.
- Porca vacca, pensavo fossi mor... -

Non le diede nemmeno il tempo di terminare la frase. Attirò a sé Daniela e richiuse la porta con un calcio.

Aveva bisogno di quell'odore, di quelle labbra, di quel corpo per placare il demone tormentato che si agitava dentro di lui.

Lui non era quel fantoccio del sogno.

Lui non era un debole sentimentale a cui si erano staccate le palle.

Lui era Giorgio Ferro e la donna che ansimava sotto di lui... non era Martina.

OBSESSI (sequel di Invicta)Where stories live. Discover now