Adesso o mai più.

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«Ciao piccola ragazzina egoista», da un angolo della sua bocca spuntò un sorriso.

Imbarazzata e senza fiato, chinai la testa, guardandomi la punta delle mie solite e sgangherate Converse bianche. Ero immobile, non sapevo cosa fare e tanto meno cosa dire. In quella lettera sapevo di aver espresso tutto ciò che avevo dentro ed il mio lato meschino e così poco coraggioso si era ben compiaciuto di nascondersi dietro ad un foglio.

Tossì appena. «Che ne pensi? Ti va di saltare la lezione?».

Mi obbligò ad alzare lo sguardo verso di lui. «E se ci beccano?».

Sorrise sghembo. «Ti fingerai malata ed io da bel gentiluomo quale sono dirò che non ho potuto fare a meno di venirti in soccorso», rispose.

Ridacchiai. «Vorrei, ma ho il compito d'inglese. È per questo che sono venuta prima in aula, per ripassare da sola».

La verità? Ero troppo codarda per rischiare di farmi scoprire.

«Ah, pensavo fosse un'ora noiosa come un'altra. Ok, allora non ci rimane altro che approfittare di questi», si guardò l'orologio velocemente. «Sette intensi minuti insieme».

Mi avvicinai a lui lentamente sedendomi al banco di fronte al suo. Non si perse un passo, mi osservava con una luce divertita negli occhi. Si stava prendendo gioco della mia agitazione.

Non parlava e a me ovviamente stava sfuggendo il controllo della situazione e mi ritrovai ancora una volta in balia degli eventi. Mi conosceva perfettamente e sapeva che la mia postura rigida e la mia espressione fredda facevano parte di un ruolo che recitavo tutte le volte che dovevo proteggermi per nascondere le mie stupidissime paranoie.

«Non devi chiuderti con me», la sua voce era quasi impercettibile.

Ma riesci a leggere i miei pensieri?

«E no, non ti leggo nel pensiero. Magari potessi farlo», sorrise.

Sbarrai gli occhi e rimasi sconcertata dal suo potere. «Come ci riesci?».

«Hai dimenticato che fino allo scorso mese eravamo dei fidanzati senza gloria?».

Ridussi gli occhi ad una fessura. «Senza gloria? Cosa intendi?».

«Senza sesso».

Gli tirai uno schiaffo sul braccio poggiato sul banco. «Stronzo».

Fece una finta smorfia di dolore passandosi la mano dove lo avevo appena colpito. «Era per farti capire meglio, manesca che non sei altro».

Gli feci una linguaccia che subito ricambiò. «Certo rispondere alle tue domande in così pochi minuti mi è impossibile, quindi troveremo un modo per vederci».

«Quando?».

Scosse le spalle. «Per me possiamo fare anche oggi pomeriggio se non sei già impegnata con Nathan», rispose infastidito.

«E tu con Sarah?», ribattei.

Alzò gli occhi al cielo ridendo. «Va bene oggi pomeriggio?».

«Andata».

Calò il silenzio ed il suo viso si fece improvvisamente serio, si grattò la testa e prese un lungo respiro.

«Scusami per tutto, sono stato un codardo. Mi sei mancata», confessò in un sussurro.

Accennai un timido sorriso, ero felice di saperlo. «Anche tu», ammisi.

«Manca poco al suono della campanella quindi o adesso o mai più».

Cosa?

Mi fissò intensamente e rimasi sorpresa dal modo con cui riusciva a incatenare il mio sguardo al suo, con una veemenza tale da farmi dimenticare tutto il resto. Ci stavamo entrambi sporgendo sul banco, l'uno di fronte all'altra, per assottigliare quella già poca distanza che ci teneva separati. Mi lasciai avvolgere in una piccola e magnifica bolla privata e mi resi conto di quanto avessi bisogno della sua vicinanza e di un suo contatto fisico. Mi era mancato terribilmente e almeno in quel momento decisi di mettere da parte tutte le domande a cui doveva darmi risposta. Accantonai l'ascia di guerra e ogni arma di difesa.

Ethan teneva le sue mani sotto il mento ed io mi coprivo la parte sinistra del collo con la destra finché non sentii il suo respiro sulle mie labbra e mi resi conto di quello che stava per accadere.

«Adesso», sussurrò ad un soffio da me.

Prese il mio viso tra le mani in un modo così delicato da farlo sembrare una carezza e lentamente, senza staccare mai i suoi occhi dai miei, ne fece scivolare una sfiorandomi la guancia e poi il collo. Il mio cuore batteva all'impazzata e avrei fatto qualsiasi cosa pur di rallentarlo, ma quando posò le sue labbra soffici e calde sulle mie persi ogni briciolo di lucidità e di controllo.

Chiusi gli occhi e mi lasciai andare, schiudendo le labbra per dargli il permesso di approfondire il bacio e respirare il suo profumo.

Quando intrecciai con forza le dita ai suoi ricci ribelli, senza che potessi oppormi, allontanò il mio viso dal suo e mi fissò meravigliato.

«Devi capire cosa vuoi Elena, ma per farlo avevi bisogno di questo», mi sfiorò di nuovo le labbra. «Ed io non aspettavo altro da tantissimo tempo».

Si alzò dal suo posto, ma nulla riusciva ad uscire dalla mia bocca e nessun pensiero sensato aveva intenzione di formarsi nella mia testa. Seppur ormai lontano da me Ethan era ovunque, non provavo nient'altro che non fosse o che non riguardasse lui.

Lo salutai con un cenno della mano e lui divertito uscì dall'aula. L'unico frammento di cervello rimasto lucido mi urlava domande.

Perché non volevo che si fermasse? Perché desideravo che mi stringesse ancor di più?

Ethan non mi hai dato nessunissima risposta, anzi sei riuscito a complicarmi ulteriormente le cose.

Quando passa l'InvernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora