Elenoire.

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«Viene spesso qui, ma verso sera».

Esausta dalla battaglia contro la chimica e vittima di un disturbo patologico contro le materie scientifiche, decisi di chiamare Liz, chiedendole una mano per salvarmi dal mare della disperazione. Solo a fine esercizi le confidai quanto successo in aula di inglese con Ethan e la sua reazione da pazza scatenata non mi sorprese affatto. Tifava per lui dal principio ed arrivati a quel punto non si preoccupava nemmeno più di nasconderlo.

Avevo bisogno di una spalla e di una buona amica su cui poggiarmi, confrontarmi e sfogarmi. Lei era tutto questo, una confidente, una psicologa ed una motivatrice. Ci sapeva fare la ragazza.

Del mio cuore infatti non mi fidavo più, aveva autonomamente deciso di non rispondere alle mille domande della ragione e si lasciava trasportare dagli eventi, da chi gli regalava più battiti.

Ad ogni passo avanti compiuto in una direzione, venivo riportata dietro di almeno altri due. Era diventato un circolo asfissiante dal quale volevo scappare, ma senza successo. Nathan. Ethan. Nathan. Ethan.

Maledizione, ero patetica.

Eth ho avuto un contrattempo. Ci vediamo domani, te lo prometto 🙈❤️

Tanto non puoi più scappare😘. A domani.

«Viene spesso qui, ma verso sera».

La signora del parco, la mamma di Nathan, non faceva altro che ripresentarsi nei miei pensieri, aprendo nuovamente quel cassetto dei segreti che mi aveva fatto perdere la testa e troppo spesso il sonno.

Non mi dava pace.

Non è affar mio, non è affar mio, ma ho bisogno di trovare un senso.

«Dove vai così di fretta signorina?».

Chiusa la porta della camera con la giacca in mano e con lo sguardo assente e mi ritrovai di fronte mio padre, cosa cavolo ci sta facendo in casa a quest'ora?

Mi sento all'improvviso come una bambina: se chiudo gli occhi e mi concentro non sono più qui. Vero?

«No, non sei sparita. Dove pensi di andare? Tra poco farà buio».

«Papà come mai già in casa?», domandai evitando accuratamente di rispondere al suo interrogatorio.

Si accigliò infastidito. «Mi hanno rilasciato prima dal lavoro e speravo di godermi la famiglia, ma a quanto pare non c'è nessuno».

Presi la borsa. «La mamma?».

«E' ancora in ufficio. Torna per la cena», borbottò.

«Anche io papi, ci vediamo tra poco! Ti voglio bene», gli diedi un bacio soffice sulla guancia e scappai via prima che potesse rispondermi o addirittura provare a fermarmi.

«Viene spesso qui, ma verso sera».

Il barista del chiosco aveva ragione, la signora era lì, seduta sulla mia panchina preferita, con la stessa espressione addolorata che le tagliava il volto.

Senza pensare troppo alle conseguenze e al modo in cui avrei dovuto approcciarmi, presi coraggio e decisi di sedermi accanto a lei. Non prestò molta attenzione alla mia presenza ed in un certo senso mi sentii obbligata a parlarle.

«Buonasera signora».

Rivolse accuratamente lo sguardo su di me e in un istante venni inghiottita negli occhi di Nathan. Un senso di tristezza profondo mi invase. 

«Bella. Sei veramente bella, ragazza».

Arrossii sorpresa da un complimento che proprio non mi aspettavo. «La ringrazio», risposi sincera.

Si creò un silenzio surreale e così fragile da essere spezzato poco dopo dai singhiozzi improvvisi della donna. Impotente e imbarazzata rimasi in un primo momento ad ascoltare i suoi lamenti.

Feci un respiro profondo, cercando nell'aria un po' di coraggio. «Perché sta piangendo?», le domandai in un sussurro.

Abbassò la testa e cominciò ad accarezzarsi il collo, come quella mattina. «Perché non torna più».

«Suo figlio verrà a prenderla presto, stia tranquilla».

Sorrise. «Parli del mio Nath? Lo so, lui torna sempre. Lui non mi abbandona».

«A chi si riferisce allora?», indagai cauta.

«A Steve. Steve non torna più. Io l'ho perdonato. Lui non torna».

Questo è il momento per insistere. «Dove è andato Steve?».

Sbarrò gli occhi, fissandomi. «Ha scelto lei e non torna più, ma io l'ho perdonato».

«Lei non ha bisogno di Steve signora, lei ha Nathan».

Si morse l'interno della guancia con rabbia. «Nathan ha bisogno di Steve, ha bisogno di suo padre. Io ho bisogno di Steve. L'ho perdonato, ma non torna».

«Da quanto è andato via?».

«Ieri è andato via e non torna. Il mio Nathan invece torna sempre», sorrise nuovamente.

Il pensiero del figlio la fa stare bene. Nath, cosa hai dovuto sopportare? Cosa ancora stai vivendo?

«Ieri Steve ha scelto lei?».

Annuì. «Sì, ma io l'ho scoperto».

Le lacrime le attraversarono le guance senza tregua, le stavo arrecando un male ulteriore del tutto inutile. Decisi quindi di porre fine alle mie domande. Presi un fazzoletto dalla mia borsa e glielo passai.

«Tenga».

I suoi occhi ancora fissi nei miei si illuminarono. «Tu sei così bella e così bianca», disse.

«Bianca?».

«Sì. Bianca. Nathan era molto bianco. Ha bisogno di Steve. Io ho bisogno di Steve. L'ho perdonato, ma non torna».

«Signora, posso chiederle come si chiama?».

«Elenoire. Il mio nome è Elenoire».

«Ha un nome splendido».

Sorrise. «Grazie».

«Anche suo figlio ha un bellissimo nome», affermai.

Abbassò la testa, serrando la mascella. «Mio figlio doveva chiamarsi Ethan, ma lei ha avuto quella idea».

Persi il respiro, rimanendo a bocca aperta. Forse ho capito male.

«Ethan?».

«Elenoire. Il mio nome è Elenoire», ripeté nuovamente.

E proprio in quel momento tutto si fece più chiaro.

«Elenoire vuole che la riaccompagni a casa?».

«No, viene mio figlio. Il mio Nathan. Lui torna sempre».

«Sì, ha ragione. Viene suo figlio a prenderla. Arrivederci signora Elenoire», mi alzai dalla panchina, guardandola ancora una volta.

Curvò appena le labbra. «Ciao bellissima ragazza. Sei veramente bella».

Sorrisi per educazione allo sguardo di nuovo perso della mamma di Nathan e scappai via senza voltarmi dietro.

Elenoire e Natalie erano così amiche da voler lasciare il segno del loro legame sui figli.

Due lettere, due nomi.

Nathan ed Ethan. Elenoire e Natalie.

Ad unirli c'è molto di più di quanto mi sarei mai aspettata.

Quando passa l'InvernoWhere stories live. Discover now