scene four - blood, lies, your bored eyes

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Quando mi risvegliai fu come riprendere fiato dopo un'infinita apnea.
Come tornare in vita dopo interi giorni di morte apparente.
Vedevo sfocato, ancora non sentivo alcun muscolo, mi sentivo fatto di marmo.
C'era poca luce, questo è sicuro.
Lentamente riuscii a vedere di nuovo, sbattendo le palpebre finché la mia vista non si riprese.
Quando provai a muovere le mani e le braccia, scoprii di essere legato.
Erano delle manette.
L'ultima cosa che il mio cervello ricordava era il rosso, un sorriso strano, freddo, gambe snelle piegate davanti a me.
Oh, già, era quel figlio di troia, quel UA.
Senza scompormi pensai che mi avevano preso come ostaggio.
Lo realizzai senza che il panico mi attaccasse, mi sentivo anche troppo calmo, lì seduto per terra ammanettato. Guardandomi intorno riuscivo a vedere poco. Forse era una stanza, ma era vuota, con le pareti e il pavimento liscio. Non avevo più il mio oculare, ne l'auricolare. Ero senza armi, senza la fondina della pistola e quella del coltello. Senza il mio fucile.
Mi avevano, in pratica, confiscato ogni cosa.
Ero indifeso e vulnerabile.
Ero nel territorio del nemico, e per ironia della sorte, non avevo alcuna arma per difendermi.
Beh, forse me lo meritavo, visto che avevo ucciso la maggior parte dei dipendenti della BrandCore, e molti degli UA presenti in entrambi gli edifici.
Quando sentii la serratura della porta cigolare, mi misi sugli attenti, col cuore velocizzato nonostante mi sentissi stanco.
Non potevo sapere che ora del giorno fosse, era tutto chiuso, non c'era nessuna finestra.
Ma non mangiavo da quando avevo bevuto quel caffè accompagnato da un cornetto. Questo quindi incrementava la mia stanchezza, che mi forzava a tenere gli occhi parzialmente chiusi, soprattutto in quell'oscurità quasi totale.

Vidi un sottile fascio di luce espandersi e allungarsi per la stanza, illuminandola.
La porta venne aperta, rischiarendo quella debole luce.
Dovetti socchiudere gli occhi ancora di più, data la luce che adesso dava fastidio ai miei occhi.
Era una luce artificiale e bianca, nata da lampada, e non dal sole.
Dopo che i miei occhi si abituarono a quella luce, mi accorsi poco dopo che non era poi così forte: la stanza venne illuminata e mi diedi conferma del fatto che era vuota.
Oltre alla porta che si era aperta, un altro corpo in movimento dava fastidio alla mia vista: una silhouette scura, che quando varcò la porta sembrò schiarirsi alla luce bianca (non accecante come i miei occhi l'avevano percepita immediatamente).
Il mio cuore che correva se possibile iniziò a farlo ancora più forte: riconobbi subito i capelli rossi e il corpo alto e slanciato.
Era quel UA, quello che mi aveva catturato.
Lo guardai subito con astio, mentre si avvicinava a me a grandi passi.
Mi strinsi verso il muro, come se spingendomi verso esso i qualche modo sarei riuscito a sfuggire alla sua presa.
L'espressione dipinta nel suo viso era impassibile e fredda, calma all'inverosimile. Provò ad allungare una mano per afferrarmi dalle manette, ma io, rabbioso, alzai una gamba tirandogli un calcio sul braccio.
-Cazzo, stai lontano da me!- ringhiai, con una voce più fioca di quanto potessi aspettarmi.
Fece una smorfia di fastidio e disgusto, come se gli sembrasse di starsi occupando di un bambino che vomitava continuamente, provocandogli nausea.
Quindi si avvicinò più sicuro, anche lui infastidito quanto me.
Provai ancora a scansarlo tirandogli dei calci, ma ad un certo punto fu lui a darmene uno, dritto in mezzo alle costole, tanto forte da farmi crollare per terra, lasciandomi senza respiro.
Dopo di che mi afferrò con forza per il braccio, costringendomi a mettermi in piedi.
Il mio petto adesso gridava di dolore, mentre respiravo a fatica.
-Cosa volete da me? Diamine, uccidetemi piuttosto, non vi dirò niente di quello che volete sapere.- la sua mano che entrava in contatto con la pelle del mio braccio mi risultava tiepida, era un tepore debole e difficilmente riconoscibile, ma lo sentivo.
Mi portò fuori dalla stanza, tenendomi ancora, forse per assicurarsi che non scappassi.
Il mio cuore adesso si stava rilassando, tornando a scandire ogni battito con la sua solita velocità. Per qualche motivo non mi sentivo il pericolo, mentre lui, il mio nemico, mi portava chissà dove.
Mi sembrava di stare accanto ad un fantasma: silenzioso, pallido, ogni suo movimento sembrava così leggero da parere un miraggio, un'invenzione della mente.
Lo guardai con la coda dell'occhio: quei capelli rossi - che così facilmente alla mente mi tornavano - si mostravano a me nel migliore dei modi, lunghe ciocche mosse che gli contornavano un viso che vedevo in quel momento di profilo.
Indossava una giacca in pelle attillata, dei pantaloni neri, portava a tracolla un fucile.
Non mi guardava, camminava guardando avanti.
Comunque sia, smisi di guardarlo, notando che ci trovavamo in uno dei tanto corridoi.
Presupposi che ci trovavamo nello stesso edificio. Camminammo per altri tre metri, forse, finché non raggiungemmo una sala enorme, con vetrate che lasciavano intravedere l'interno.
Scorsi almeno venti corpi, quasi tutti armati, tutti in movimento.
Erano degli UA, molto probabilmente, e sembravano starsi allenando, anche combattendo l'uno contro l'altro.
Lui mi tirò per il braccio, attirando la mia attenzione, girando a destra rispetto alle porte di vetro che portavano dentro quella sala. A destra il corridoio proseguiva, adesso costeggiato ogni tanto da porte chiuse.
Mi lasciò il braccio, forse pensando che non mi sarei più ribellato a lui, e in realtà aveva ragione.
Accettavo tutto ciò che mi sarebbe successo.
Riflettei che forse lui non sapeva davvero parlare, visto che non aveva risposto a nessuna delle mie sollecitazioni: magari la voce che avevo sentito prima di perdere coscienza dopo che mi aveva avvelenato era stata solo frutto della mia mente, anzi, ne ero quasi completamente convinto.
Perché mai lui doveva essere un'eccezione da tutti gli altri automi simili a lui?
All'improvviso si fermò, proprio davanti una porta. Accanto ad essa c'era uno di quei sensori per il riconoscimento facciale, così ci si avvicinò, e il sensore iniziò a lampeggiare di verde, finché la porta non si aprì.
Slittò verso l'interno, e quando fu completamente aperta lui mi prese di nuovo per il braccio, stringendo la presa, come se in qualche modo volesse punirmi.
La stanza era poco illuminata, c'era un tavolo grande e di metallo e tre sedie.
Una di esse era impegnata, mi accorsi quando fummo completamente dento la stanza.
Un uomo non troppo in là con l'età era seduto a destra del tavolo, e già mi guardava, come se avesse aspettato il mio arrivo.
Era vestito in nero, come un militare, sul tavolo era poggiata una pistola, e la sua non era per niente una faccia rassicurante.
-Ottimo lavoro, G62.- G62? Si chiama così, lui? Non ebbi tempo di starci a pensare, perché continuo a parlare, sta volta guardando me: -finalmente faccio la tua conoscenza, Frank Iero.- la sua voce profonda e anche troppo rilassata mi fece rabbrividire.
Ma quello che lo fece ancora di più era il fatto che sapeva il mio nome. L'UA mi fece sedere malamente sulla sedia di fronte all'uomo, dopo di che si sedette scostando la sedia dal tavolo, allontanandosi da esso, mettendosi in disparte ma osservando tutto.
-E tu saresti...?- chiesi, usando il suo stesso tono. Se pensava di farmi paura, si sbagliava di grosso. Allungò una mano verso di me. Era grande, portava i segni di una persona che lavora da una vita. Strinsi la sua mano portando avanti entrambe le mie mani, unite dalle manette.
-Mike Ilish.- nella sua divisa lessi il suo grado: era un caporale. -mi occupo di addestrare alla guerra. Dobbiamo iniziare bene, caro soldato. Non mi nasconderò da te. Niente bugie. Mi aspetto lo stesso da te. Anzi, è un consiglio, il mio. Niente bugie.
E forse non ci lascerai la pelle.- guardai per un secondo l'UA, che mi guardava discostante.
Si dondolava sulla sedia, sembrava annoiato e come sempre, infastidito.
Forse la sua faccia era impostata per sembrare sempre infastidita. Mi venne da ridere, al pensiero.
-Lo trovi divertente?- disse Ilish, adesso anche lui leggermente infastidito.
-Beh, un po'. Inizia pure con le tue domande.- gli diedi il tu, per infastidirlo ancora.
-Tanto per iniziare, desidereremo conoscere gli altri nomi dei componenti della tua squadra speciale. Tu, Frank Iero, il tuo amichetto poco serio, Chris Regar...ma poi?- come faceva a sapere di Chris?
Dio, era inquietante.
Poi ebbi l'illuminazione.
Quel giorno, quando per il mio compleanno Chris mi aveva portato a bere...e avevo visto l'UA. Non era lì a caso, era lì per me. Ci stava spiando.
Non sapevo come mi facesse sentire quell'informazione.
-C'è una ragazza, questo è sicuro. Ti conviene parlare, perché li scopriremo comunque, prima o poi.
-Vi auguro di riuscire nel vostro intento, ma non li scoprirete sicuramente grazie a me.
-Oh, che fedele!- rispose deridendomi, ridendo.
-Dii quel cazzo che vuoi. Ma io non tradisco i miei compagni.- infervorito, mi alzai, facendo sbattere il metallo delle manette contro il tavolo.
L'UA dai capelli rossi scattò subito in piedi, puntandomi contro il fucile, caricandolo.
-Siediti.- fu la prima cosa che gli sentii dire, in tutto quel tempo. Sapeva parlare, quindi.
La sua non era una voce cattiva: era giovane, leggera come un soffio, ma capace di diventare autoritaria.
Lo fissai, fissai il suo fucile, poi mi sedetti di nuovo, lentamente.
-Tranquillo, non dobbiamo ucciderlo, per adesso.- l'uomo parlò con lui, che mise giù fucile, crollando di nuovo sulla sedia, scostandosi i capelli che si coprivano il viso con una mano.
-Comunque sia, va bene, soldato...vuol dire che lo scopriremo da soli. Ma dimmi...chi vi ha informato di noi?
-Solo i più stupidi non sanno che siete dei deviati che fanno chissà cosa dentro i loro laboratori.- ribattei, guardandolo fisso, sfidandolo.
-Chi vi ha informati, ti sto chiedendo. Non farmi spazientire, perché sarò il primo a bucarti la fronte, non ci sarà bisogno che un umano artificiale lo faccia per me.
-Oh, questo non lo so. Non sono io il capo, nella mia squadra.
Io eseguo gli ordini. E lo faccio con piacere, di eseguire l'uccisione degli stronzi come te.
-Sei disarmato, vorrei ricordarti. Se ti afferrò con le mie mani ti spezzo prima che tu possa accorgertene.- quello scambio di frecciatine mi stava incuriosendo, perché ero abbastanza bravo da distrarlo dalle domande che voleva farmi.
-Perché avete preso me?- gli chiesi, guardando ogni tanto con velocità l'altro, seduto nella sedia che faceva muovere con le gambe. Sembrava un bambino in mezzo ad una stanza piena di grandi che fanno i loro discorsi noiosi, che non comprende. O meglio, che comprende, ma non vuole ascoltare, perché sa che c'è di meglio a questo mondo sulla quale concentrare le proprie attenzioni.
-Fin da subito sei stato quello che ha ucciso più persone, alla BrandCore. Sei il più pericoloso, Iero. Non è stato difficile scoprire delle informazioni su di te.- l'uomo fece una pausa. -che sapete di noi?
-Tutto ciò che c'è da sapere, tutto ciò che è abbastanza per incriminarvi e radere al suolo tutto ciò che producete.
-Non va bene così...- sussurrò lui, girandosi verso l'UA e parlando con lui. -non parlerà mai. Dobbiamo passare a metodi più efficaci.- si girò di nuovo verso di me.
-Alzati, soldatino.- non lo feci, finché non arrivò l'UA e mi costrinse ad alzarmi. -portalo su, nell'altra stanza. Ti raggiungo tra poco.- lui annuì semplicemente, portandomi fuori, di nuovo in quel corridoio.
Volevo andarmene, non ne potevo più di stare dentro quel corridoio infinito, mi sentivo in un limbo. Passammo di nuovo accanto a quella sala piena di corpi che sembravano tante formiche.
G62.
Era ovvio, loro non avevano un vero nome. Non avevano un'identità.
-Quindi ti chiami G62?- non rispose, nemmeno mi guardò.-avete intenzione di torturarmi?
-L'idea è quella.- sentire la sua voce era come sentire un miracolo. Per quanto ne sapevo io, nessun umano artificiale era capace di articolare delle frasi di sua spontanea volontà. Erano tutte identiche, predefinite, che uscivano dalla loro bocca secondo dei comandi già impostati.
Ma lui...lui perché era diverso?
-Rispondi solo alle domande alla quale ti fa più comodo rispondere?- mi fulminò per un secondo con lo sguardo.
-Continua a farmi domande e ti strappo le budella tirandole fuori dalla tua bocca.- aggrottai la fronte.
-Quanta violenza!- dopo di ché non rispose più, lasciando vagare le mie parole in aria, senza una risposta.
Mi portò dentro un ascensore, piggiò il numero -1.
Eravamo quindi al piano -2? Diavolo, eravamo proprio fuori dal mondo. L'ascensore iniziò a muoversi, lui si girò dall'altro lato, finché non dovemmo uscire.
Mi scortò ancora fino ad un'altra stanza, dove un altro individuo ci aspettava. Anche lì non c'era alcuna finestra, solo luce artificiale.
Pareti bianche. Sedie.
Un altro tavolo. Mi sembrava di essere in un incubo, dove tutto era uguale e finto.
Poco dopo arrivò anche Ilish.
G62 - mi presi il lusso di chiamarlo così - mi spinse verso la parete.
-Rimani in piedi lì.- mi ordinò Ilish, incattivito. Le mie mani erano costrette dalle manette, le tenevo davanti il petto, vicine.
L'altro individuo presente era un UA, glielo leggevo negli occhi. -rileva quando dice cazzate o fa lo spiritoso; quando lo fa, sferra un calcio.- l'UA annuì semplicemente.
-Allora, Frank Iero...- Ilish si sedette di fronte me, guardandomi. -ti do un'altra possibilità, oggi mi sento buono.- iniziavo a sentire i crampi della fame farsi strada dentro il mio stomaco, facendomi sentire parecchio stanco e senza forze.
-Chi è il tuo capo?
-Chiedilo a tua madre.- Ilish mi guardò malissimo, poi guardò l'UA che senza perdere tempo alzò la gamba, dandomi un calcio nello stesso punto dove G62 mi aveva colpito. Per la seconda volta mi mancò il fiato, ma mi costrinsi a non crollare per terra.
-Quando avete attaccato la BrandCore, e siete scesi nei sotterranei...cosa avete visto?
-I vostri burattini che creavano organi e arti.- Ilish mi risparmio un altro calcio, visto che quella era proprio la verità.
-Avete hackerato i nostri sistemi?
-Non abbiamo competenze di questo tipo.- un altro calcio.
-Non mi risulta. Avete bloccato ogni nostro sistema.- lo guardai arrabbiato, senza fiato.
G62 si era appoggiato ad una delle pareti, e guardava tutta la scena.
-Quali sono i vostri piani futuri? Attaccherete ancora?
-Finché non perirete, stronzi.
-Sii più specifico, dannazione.- Sorrisi scuotendo la testa.
-Puoi colpirmi quanto vuoi, Ilish. Non uscirà una parola di troppo dalla mia bocca.- l'UA si avvicinò di nuovo, sta volta afferrandomi dai capelli, girandomi e sbattendomi la testa al muro così forte che sentii subito il sangue uscire dal mio naso.
Allora sì che crollai per terra, portandomi una mano sul viso, guardandola sporca di sangue. Gocciolavo sangue sul pavimento. Sputai sangue davanti a lui e lo guardai talmente arrabbiato che se avesse potuto, quello sguardo l'avrebbe direttamente mandato dentro una bara.
-Alzati, soldato!- urlò Ilish, ma non riuscivo a farlo.
L'UA con gli occhi spenti mi afferrò di nuovo i capelli facendomi mettere in piedi.
Guardavo spesso G62 che se ne stava in disparte, non riuscivo a leggere la sua espressione, sembrava disconnesso.
Lo imploravo con gli occhi di far smettere tutto, ma lui non era dalla mia parte, lui faceva parte dei cattivi.
Oh, quanto mi sbagliavo a considerarlo una salvezza.
-Staremo qui anche tutto il giorno a farti del male, se proprio vuoi. Abbiamo tutto il tempo del mondo.
-Che sia.- sentivo lo sgradevole sapore ferroso del sangue, sputai ancora, poi continuai: -anche io ho tutto il tempo del mondo.








Smisero di attaccarmi solo quando crollai definitivamente a terra, senza più forze nemmeno per aprire la bocca e sputare sopra Ilish brutte parole invece che rispondere alle sue domande.

Smisero solo dopo che dalla mia bocca uscirono fuori tre nomi: totalmente inventati, si intende, ma per un po' mi avrebbero lasciato in pace, speravo.
Giusto il tempo di cercare e accorgersi che quelli che avevo detto erano nomi di persone probabilmente inesistenti.
Lukas Mid, Alex Noddie, Elize Rive.
-Bravo, così si fa, Iero. La fedeltà non dura per sempre. Tutti vacilliamo.- questo aveva detto Ilish prima di andarsene. Ma prima di varcare la porta aggiunse qualcosa: -spero per te che non sia una presa per il culo.

Ogni parte del mio corpo era dolorante, il mio viso probabilmente completamente sporco di sangue, senza nemmeno uno spazio pulito.
Chi mi aveva alzato dal pavimento sporco del mio sangue?
G62. Dopo che Ilish se n'era andato imprecando, seguito da quel UA, G62 si era avvicinato e in silenzio mi aveva alzato da terra.
-Fai questo nel tuo tempo libero? Ti occupi degli ostaggi?- sussurrai, provando dolore nel parlare con entrambe le labbra spaccate e sanguinanti.
-No, eseguo semplicemente gli ordini.- rispose, mentre un mio braccio circondava la sua spalla. Mi stava sorreggendo.
Volevo scostarlo, spingerlo contro il muro e spezzargli il collo, sarebbe stato il momento perfetto. Ma non avevo nemmeno la forza di alzare un dito.
Mi sentivo come sopra una barca che stava affrontando una tempesta a mare aperto: la mia testa era la barca, e sentivo ogni cosa vacillare e vorticare.
-In tutto questo tempo non mi hai mai ucciso. Hai avuto tante possibilità.
-Anche tu hai avuto le tue possibilità.
-Per fare che?- continuava a non guardarmi, quando eravamo vicini.
-Per uccidermi.- pensandoci, era vero. Solo pochi millisecondi avrebbe impiegato il mio proiettile a raggiungere il suo corpo, eppure tutte le volte che avevo avuto la possibilità di ucciderlo, non l'avevo fatto.
Le mie mani erano tutte insanguinate, iniziavo a vedere sfocato dalla stanchezza.
Ogni passo che compievo sembrava pesare come milioni di massi fusi insieme, mi sembrava di avere legate alle caviglie pesantissime catene di piombo, che mi facevano zoppicare affaticato.
Poche volte mi ero ridotto in quel modo per colpa di qualcuno.
Più sentivo il mio stomaco vuoto, più mi dicevo: Frank, sei spacciato.
Ed effettivamente scoprii di avere ragione, quando vicino all'ascensore non ce la feci più.
Senza quasi rendermene conto vidi solo il buio, ad un certo punto, un buio strano, opaco, leggero, contornato da macchie gialle.
Non riconobbi più la presenza di G62 accanto a me.
Semplicemente, si spense tutto.


















-L'hanno preso, cazzo, Atlass, l'hanno preso!
-Chris, non urlare, maledizione.
-E ora che facciamo? Noi siamo riusciti ad uscire da quel fottuto inferno, ma lui? Lo lasciamo nelle mani di quei psicopatici? Sono capaci di tutto, Atlass, lo sai.
-Torneremo a prenderlo.- disse Jessie, che si sistemava i capelli umidi di sudore.
-Al più presto.
-Confermo che l'oculare e l'auricolare di Frank non rilasciano più alcun segnale. Probabilmente li hanno rotti.- annunciò Jorge, scostandosi gli occhiali dal viso, stropicciandosi gli occhi.
-Non gli faranno niente. Hanno bisogno di informazioni.
Non vogliono ucciderlo.- Atlass come sempre era speranzoso, il più lucido e obiettivo di tutti.
-Lo spero.
-Torneremo a prenderlo. Presto. Torneremo.













la mia capacità di creare nomi (soprattutto cognomi) inventati dal nulla è innata.
ero emozionata di scrivere le prime interazioni tra questi due bamboli, tra i piccoli Frank e G62, so here we go.

ALSO VI ALLEGO IL MIO DISEGNO DI G62 (gerard della danger days era basically)

ALSO VI ALLEGO IL MIO DISEGNO DI G62 (gerard della danger days era basically)

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ft. lo sfumino minuscolo HAHAHAH

encounters - frerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora