Capitolo 2

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Arrivata, posai il cappotto, chiusi la porta, accesi le candele e riempii la vasca. Con della musica blues di sottofondo, mi infilai nel suo abbraccio caldo. Avevo i nervi tesi, era un periodo stressante. Il lavoro procedeva bene. A volte troppobene. Ma dopo la morte dei miei genitori, qualche mese fa, il lavoro era diventato l'unica cosa che mi faceva andare avanti a vivere. A parte Nonna, ovvio.

Morirono entrambi in un incidente stradale, vittime di un camionista che aveva decisamente bevuto troppo e che ebbe la brillante idea di mettersi alla guida, la sera tardi. Stavano tornando da un viaggio in Thailandia. Da quando erano in pensione viaggiavano spesso.
Mi chiamarono poco dopo l'accaduto, io ero appena uscita dal negozio. Il telefono squillò e una voce estranea e fredda, senza troppi giri di parole, mi disse che i miei genitori erano morti in un incidente. Lasciai cadere il cellulare. Ci furono dei secondi interminabili di silenzio, dopodiché lacrime pesanti cominciarono a scendermi sul viso, senza che me ne accorgessi. Rimasi lì, a piangere, non ricordo per quanto tempo.
Tre giorni dopo ci fu il funerale. Non so dove trovai la forza di organizzarlo, ma credo che se non ci fosse stata mia nonna ad aiutarmi, non ce l'avrei mai fatta. Mi era rimasta solo lei ormai.

È sempre stata una donna forte, come quelle piante che tanto amava, che nascevano nei posti più improbabili e che, nonostante le intemperie e le difficoltà, rimanevano ancorate alla terra, pronte a rinascere nel caso qualcuno le avesse strappate.

Uscii dalla vasca, mi coprii con un asciugamano e mi guardai allo specchio. I capelli biondo cenere erano raccolti nella solita anonima coda di cavallo, il viso stanco aggiungeva qualche anno alla mia reale età. Non sono mai stata un'amante del sole e delle stagioni estive, come suggerisce la mia carnagione quasi cerea. Preferisco le stagioni invernali, il freddo pungente e le piacevoli conseguenze che esso porta, come una calda coperta, una tazza di tè fumante, l'odore di terra umida... Dopotutto, sono una figlia dell'inverno, nata nel freddo gennaio.

Credo che mia nonna non abbia influito solo nella mia vita professionale, ma anche in quella sociale: sono una persona schietta e solitaria, che ama stare per conto suo, eppure non ne soffro. Ho avuto delle relazioni, sia con uomini che con donne, ma nessuna di queste è durata più di un anno. Sono volubile e complicata, amo i miei spazi, e tendo all'allontanamento quando vedo che questi vengono minati.
In questo periodo mi sto frequentando con Anna, una giovane donna – più giovane di me, almeno – che ho conosciuto una sera nel bar dove mi rifugio spesso dopo il lavoro, La tana del coniglio.
Un nome eccentrico, che è il motivo per il quale, la prima volta, decisi di entrare. Il nome non era per niente fuori luogo, anzi. All'interno sembrava davvero di stare nella tana di un coniglio, forse dovuto anche al fatto che si trovasse in un seminterrato e che non fosse così visibile dalla strada. Al suo interno, i muri di mattoni a vista, le travi di legno e la luce soffusa riuscivano a creare, perfino di giorno, un ambiente caldo e confortevole. I clienti erano quasi tutti abituali, lo capii dal fatto che fossi in grado di riconoscerli quasi tutti quando entravo, la sera, dopo qualche settimana che lo frequentavo.

AutunnoWhere stories live. Discover now