Capitolo 4

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Andai in cucina, mi versai un bicchiere di Chardonnay – un piccolo piacere che ormai mi concedevo troppo spesso ­– e mi sedetti sul divano in salotto, i piedi appoggiati sul tavolo. La musica continuava a suonare in sottofondo, e la luce delle candele riempiva la stanza di calore e intimità.

È il momento della giornata che preferisco.

Bevvi tutto d'un fiato quello che rimaneva dello Chardonnay. Il telefono squillò. Era Anna.

– Fammi indovinare, sei nuda e con un bicchiere di Chardonnay in mano. Scommetto già vuoto. Ho indovinato? – Dopo il nostro primo incontro, la sua voce era tornata ad un tono normale, ma comunque sexy.

– Stai iniziando a conoscermi troppo bene – ammisi, nascondendo, con scarsi risultati, un certo imbarazzo.

Rise.

– E non va bene? ­– chiese, la voce neutra.

– Ma no, certo che va bene. È solo che... – risposi. L'imbarazzo ormai era esplicito.

– Sei una persona introversa e schiva, lo so. Anche se non lo affermerei con così tanta convinzione, dopo l'altra sera... – ammiccò.

Si riferiva alla sera della nostra ultima uscita. Venne a trovarmi in negozio poco prima l'ora di chiusura, dicendomi che mi avrebbe aspettata e che aveva voglia di vedermi. Chiuso il negozio, mi invitò a cena a casa sua. Accettai senza alcuna esitazione. La mia attrazione per lei sconfiggeva la mia personalità schiva e solitaria.

Abitava in un loft, vicino al centro della città. Era tre volte il mio appartamento. Provai un certo disagio.

– È molto spazioso – annunciai, una nota di stupore nelle mia frase mi tradì.

– Non essere a disagio, mi è stato lasciato dai miei genitori. Non potrei mai permettermi un appartamento del genere – precisò, accompagnando una risata.

– Scusa, non sono brava agli appuntamenti – ammisi.

– Finora sei andata benissimo ­– rispose, facendo l'occhiolino. – Vuoi un drink? – continuò.

– Volentieri, grazie –

– Vedo se ho dello Chardonnay – disse, dirigendosi nell'angolo dell'appartamento dove era posta la cucina.

L'arredamento descriveva perfettamente il suo stile: i muri di mattoni a vista e le travi in legno sul soffitto, alle quali erano appese piante rampicanti che lasciavano cadere i loro rami con eleganza, rendevano l'ambiente rustico e caldo. Sul pavimento si trovavano enormi tappeti persiani che ricoprivano quasi interamente la superficie, creando una sensazione piacevole camminando a piedi nudi.
Sparse qua e là, lampade di carta di riso rendevano l'ambiente surreale, aiutato dal profumo di incenso al sandalo che avvertivo nell'aria.
Erano presenti delle grandi finestre, che lasciavano entrare la luce perlacea della luna quasi piena. Su uno dei loro davanzali c'erano strani oggetti: pietre, piume, statue rappresentanti divinità africane – o almeno così sembravano –, molte candele e foglie secche. Prima che potessi avvicinarmi per poter vedere meglio, tornò Anna con una bottiglia di Chardonnay in mano e due calici.

– Trovata. Felice? –

Sorrise allusiva.

– Mi stai dando dell'alcolista, per caso? – rispondi con una risatina.

– No, solo un'amante del buon vino ­– puntualizzò.

– Lo ammetto, sei brava con le parole –

– È una delle mie qualità... – rispose, lanciandomi uno sguardo intenzionalmente sensuale.

Finimmo il vino. Con parecchio stupore, la scoprì essere un'ottima cuoca, oltre che un'ottima conversatrice.

La cena proseguì piacevolmente. E, grazie al vino, mi sciolsi un po'. Parlammo delle nostre vite, dei piani per il futuro, delle nostre infanzie.
Mi raccontò che i suoi genitori si trasferirono a New Orleans molti anni fa. Lei nacque e crebbe qui, nel Quartiere francese, come me. I suoi antenati provenivano dal Senegal, portati qui in Louisiana durante le deportazioni degli schiavi neri.

Le raccontai di mia nonna, della sua influenza e della sua importanza nella mia vita, e anche dei suoi segreti. Mi ascoltò sinceramente interessata, e capii che potevo fidarmi di lei.

– Mabon... – mi interruppe – è un nome inusuale – continuò, fingendo di non sapere. Ma il suo sguardo la tradiva. Lei sapeva.

– Sì, lo è. Non l'ho mai sentito pronunciare da nessun'altro ­– ripresi.

– Mia nonna è sempre stata una persona eccentrica e misteriosa – continuai – tutte le volte che le chiedo qualcosa riguardo quel nome, diventa evasiva e cambia discorso, oppure sparisce in cucina tornando con un dolce – conclusi.

– Sei facilmente corruttibile – osservò, ridendo di gusto.

Finita la cena, la aiutai a sparecchiare e lavare i piatti, continuando a parlare di noi.

– Non mi hai ancora detto che lavoro fai – annunciai

– Non me l'hai mai chiesto – rispose sorridendo, divertita.

– Giusta osservazione – ribattei, sentendomi stupida. – Beh, che lavoro fai? –

– Sono una psicologa – rispose senza alcun vanto.

– Lavoro interessante – commentai, non sapendo bene cosa rispondere.

– Lo è – continuò lei – sono sempre rimasta affascinata dal comportamento delle persone, perché è irrazionale, istintuale. Non puoi nasconderlo. Le persone dicono molto di più dai loro comportamenti che dalle loro parole, non credi? – chiese, guardandomi con i suoi meravigliosi occhi, e facendomi sentire come se fossi nuda davanti a lei.

– Non essere a disagio, rilassati – disse avvicinandosi. Mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro.

E mi baciò.

Fu un bacio caldo, dal sapore di vino e terra. L'assecondai. Dopotutto, lo volevo dal primo momento che la vidi.

Fu una notte bellissima. Alla luce ovattata delle candele si aggiunse quella della luna, che rese quella notte più magica di quanto già non fosse.

Ero stata con molte donne, eppure quella volta fu come se fosse la prima. Il suo corpo non aveva tradito le aspettative ma anzi le aveva superate. I seni perfettamente proporzionati, i fianchi larghi e morbidi. La sua pelle risplendeva alla luce delle candele, come fosse ambra. Una Dea.

Ci ritrovammo per terra, l'indomani mattina, sopra i tappeti persiani e con le candele spente. Fui svegliata dalla luce del pallido sole settembrino. Anna dormiva ancora. La svegliai con un bacio, uno di quelli che puoi dare senza lavarti i denti e senza sentirti in colpa per questo.

– Buongiorno, splendore – disse. La sua voce calda riscaldava quella tiepida mattina di ottobre.

La conversazione al telefono con Anna proseguì con una chiacchierata sulla nostra giornata lavorativa. Niente di speciale, se non fosse che prima di riagganciare mi sussurrò delle parole che mi fecero eccitare.

– Ti odio quando fai così. Sai che non ti resisto ­– ammisi, dopo le sue frasi provocanti.

– Adoro quando fai l'innocente – continuò lei. – Buonanotte, Amelia – concluse, con il suo solito accento erotico quando pronunciava il mio nome che mi faceva impazzire.

Riattaccò.

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