CAPITOLO 4 - Non è facile come sembra

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Satana sentiva le grida e i lamenti di Lilith provenire dalla remota stanzetta. Per un attimo provò una strana sensazione, quella che noi esseri umani chiamiamo compassione. Compassione: dal latino cum (con / insieme) + patior (soffro); percepire a livello emozionale la sofferenza altrui, provarne pena e avere il desiderio di alleviare tale sofferenza. Il concetto di compassione richiama quello greco di empatia (da empateia, composta da en "dentro" + pathos "sentimento") che, usato come tecnica di recitazione nel teatro greco antico, indicava il rapporto emozionale di partecipazione soggettiva che legava spettatore, attore e personaggio interpretato (per immedesimazione). Oggi vuol dire, in senso stretto, comprensione dell'altro. E se cercherete su qualsiasi dizionario, non penso che troverete scritto che è un sentimento comune a personaggi come, per citarne uno a caso...il Diavolo. Ad ogni modo questa sensazione svanì presto e venne sostituita da un interrogativo. Satana aveva pensato solo a prendersi ciò che Dio gli aveva promesso, in modalità bambino che allunga la mano sul giocattolo desiderato. Solo che è testimonianza comune che spesso i bambini agiscano senza pensare e magari per giocare infilino il dito nella presa della corrente, rovescino piatti pieni di brodino bollente o rompano qualcosa. allungano le manine, prendono, afferrano, senza pensare alle conseguenze. Al "poi". Così aveva fatto il caro impulsivo Samael.

Si passava due dita sul mento, a mo' di Pensatore. "E ora che ce l'ho, che faccio? Insomma, come la porto di sotto con me?". Si passò una mano tra i capelli. "Mi ha fregato. Infame, ah, mi ha fregato davvero! Si diverte, lassù, magari, a vedere me che mi scervello, adesso...".

Effettivamente, Satana non aveva considerato un dettaglio fondamentale: Lilith era un essere umano. Con un corpo e della carne. E corpo e carne non godranno mai di un pass per l'Inferno. Si sa che di sotto hanno libero accesso soltanto le anime. E fin qui ci siamo. Poteva ucciderla, così si sarebbe trascinato giù l'anima. Eh no. No, perché l'anima della sua sposina sarebbe volata istantaneamente in Paradiso. Era tanto buona e immacolata. Spoglia di ogni peccato, anche quello più misero.

Il Diavolo aveva la sua bella gatta da pelare. E rimuginava all'infinito.

"Non posso certo ucciderla, altrimenti la sua anima andrà a Dio... Ma se resta viva non posso portarla giù con me...", si diceva.

Camminava in circolo, col pensiero scandito dal rumore dei suoi passi.

All'improvviso la lampadina gli si accese. "So cosa fare!", esultò, "Ma non sarà affatto facile...".

Passarono parecchie ore e Satana si ricordò che la sua prigioniera era un essere vivente che si nutriva stabilmente e a intervalli regolari per mantenersi in vita e così decise di portare a Lilith del cibo e dell'acqua.

Bussò.

"Genio, perché bussi se mi hai chiusa a chiave?!". Una vocina petulante rimbombò dalla stanzetta.

"Giusto...", disse lui, imbarazzato. Prese la chiave e aprì. Entrò con un vassoio in mano.

"Ti ho portato da mangiare", esordì, posando il vassoio sul tavolino.

"E' avvelenata?". Lilith storse il naso, con espressione di odio e sarcasmo.

"Certo che no. Per ora mi servi viva", rispose Samael. "E ora mangia. Sei pallida. Più del solito". La fissava con sguardo attento e quasi maniacale.

Lei sbuffò. "Ma guarda un po' tu! Sono chiusa in un bunker da ore, dopo essere svenuta tra l'altro, e lui mi dice che sono pallida! Ah!". Agguantò il vassoio e iniziò a mangiare. Piuttosto con foga, perché aveva fame.

"Allora...", cominciò lui, "come...". Lei lo bloccò, ancora masticando. "Allora come, cosa?! Come stai qui dentro?! Come vuoi morire?! Ora vuoi cominciare anche una conversazione?! Ma ti prendi gioco di me?!". Ingoiò. Poi ancora uno sbuffo.

A quel punto Samael perse le staffe.

"Ti rendi conto che stai parlando con il Diavolo in persona?! Potrei ucciderti anche adesso, se volessi!", gridò, battendo le mani sul tavolo. Il vassoio fece un salto.

Lilith buttò fuori una risata grottesca. "Se volessi; ma tu non vuoi, vero, Diavolo, Satana, Lucifero, Samael o come diamine ti chiami?!".

Lui rimase un attimo allibito dal modo in cui lei osava rispondergli, con tutta quella grinta, quel fare spavaldo e quasi prepotente, quella noncuranza per se stessa e per la possibilità di morte. "Non riesco a capire dove trovi il coraggio di rivolgerti a me in questo modo, piccola impertinente. Dio poteva trovarmi una sposa migliore!". Ma doveva ammettere a se stesso di essere eccitato di fronte a quella stramba sfida e a quella faccia tosta che sfoggiava la sua preda. Ogni cacciatore ne sarebbe stato rapito. E ad alimentare questo senso di sfida contribuì la risposta della ragazza.

"Beh, accontentati di questo!". Lilith lanciò un piatto di pasta al sugo in faccia a Samael, balzò su dalla sedia e scappò via di corsa fuori dalla stanzetta, visto che, sbadatamente, il Diavolo aveva lasciato la porta aperta.

"Ferma!" , gridò lui, pulendosi il viso con la mano e correndole dietro lasciando cadere sulla scia dei suoi passi chiazze di passata di pomodoro e spaghetti semi arrotolati. Adesso il ghepardo che inseguiva la gazzella non era solo eccitato e affamato, ma anche preoccupato.

Lilith si ritrovò a sgambettare al centro di un lungo corridoio pieno di diramazioni, da cui sbucavano centinaia di porte, ognuna di forma diversa. La ragazza correva senza una meta precisa: era in trappola.

Quel luogo era addirittura peggio del più intricato labirinto e Lilith non sapeva dove andare. Proseguiva dritto e sembrava che il corridoio che percorreva non finisse mai. Si lasciava dietro un'incalcolabile serie di corridoi secondari, porte, portoni e porticine.

"Di là no!", gridò Samael, che apparve davanti alla ragazza poco prima che si immettesse in un corridoio secondario che, da come a lei era parso, lui non voleva per nessun motivo che oltrepassasse.

"Ti prego, torna indietro, Lilith!", pregò. Lui che mai aveva pregato qualcuno.

Lei si fermò, sporgendosi in avanti con la testa e puntando con lo sguardo il fondo di quel corridoio. "Cosa c'è di là, che io non posso vedere?", domandò, incuriosita e col respiro affannato per la corsa.

"Nulla che possa interessarti, per ora". Tono molto serio.

Samael afferrò la mano di Lilith e la allontanò da quel corridoio. Ma la ragazza notò di sfuggita una porta particolare lì infondo, a cui era affisso un vistoso cartello con scritto su: Porta dell'Inferno.

La giovane rabbrividì.

"Dove siamo, Samael? E non mentire, per favore", disse, mentre lui la trascinava a passo svelto lontano da lì, avvolgendo la mano fragile e delicata della ragazza con la sua che invece era forte e decisa.

"A Gerusalemme. Precisamente, ci troviamo in un edificio collocato sopra l'Inferno". Tono ancora molto serio. Sguardo fisso in avanti. Passo più svelto. Stretta di mano ancor più salda. Ma non troppo. Per non farle male.

"Perché mi tieni qui? Se sono la tua sposa, perché non mi porti con te all'Inferno?". Lei cercava di stare al suo passo e lo fissava in volto, avida di risposte.

"Perché sei viva". Risposta secca.

Lei tirò verso sé quella mano demoniaca, costringendo il Diavolo a fermarsi e a voltarsi verso di lei per guardarla negli occhi. "E che aspetti ad uccidermi? Il Diavolo non ha scrupoli, no?!", domandò, con tono di sfida.

"Se ti uccido la tua anima andrà in Paradiso", rispose lui, riprendendo a camminare e distogliendo lo sguardo di ghiaccio ardente da quello verde della giovane.

"Ah, allora sei fregato", commentò lei, sfacciata.

"Non del tutto", rispose lui, secco.

"Che vuoi dire?". Gli occhi verdi tremarono.

Satana si lasciò scappare un sorrisetto a fior di labbra. "Che il Diavolo ha mille risorse".

La sposa del DiavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora