Capitolo 48

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Mi tremavano le mani. Sentivo che le gambe erano molli e che non mi avrebbero retto abbastanza a lungo per uscire dal centro della scena. Un'altra recita.
Peró, stavolta, non mi sembrava una notizia falsa: sarebbe stato troppo rischioso se qualcuno avesse scoperto la verità. Ma quale verità? Chi ero io? Stava dicendo la verità? Ero veramente sua nipote?
Cominciavo a sentirmi male, mi girava la testa e sentivo la pancia scombussolata. Vomitare davanti a tutti non mi sembrava una buona idea.
D'un tratto, sentii gli occhi della ragazza su di me, come se stesse scrutando la mia reazione. Mi voltai verso di lei, confusa.

"Non le hanno mai detto niente. Non le hanno mai nemmeno accennato nulla sul fatto che avesse una parente tra i licantropi. Volevano prendersela come sposa, cercando di truffare licantropi ed umani! Ma tutti voi, qui, sapete bene quanto hanno sbagliato i vampiri, a fare ció!" continuó, apparentemente arrabbiata.
Era incredibile come riuscisse a convincere con poche parole. Mostrava i denti bianchissimi e normalissimi, niente zanne, i suoi occhi lanciavano saette e la sua voce era acida ed aspra, ma, allo stesso tempo, era la piú morbida che avessi mai sentito. Era un piacere ascoltarla, mentre parlava, anche mentre diceva queste cose.
Era rivolta verso la folla, ora, quindi non poteva vedere lo sconcerto nel mio sguardo.
Cosa stava dicendo? Non ho parenti tra i licantropi. E, sicuramente, non sarei andata in sposa a nessuno. Allora, perchè sosteneva cose non vere? Non era già rischioso sfidare il re dei vampiri?
Il re dei vampiri che si trova in una cella, senza far nulla per liberarsi, nè per ribellarsi. Il re che mi ha abbandonata. Il re che mi ha mentito.
E se la ragazza avesse avuto ragione? Se veramente mi avessero tutti nascosto qualcosa?
No, i miei genitori me l'avrebbero detto.
Eppure, mi avevano lasciata andare cosí facilmente. Ne ero un po' rimasta sorpresa. Come l'abbraccio tra Mike e mio padre. Era come se si conoscessero da tanto. Eppure, io non li avevo mai visti insieme, e neppure parlarsi o nominarsi a vicenda.
Mi liberai dalla sua mano, che mi stringeva ancora il polso, le sue unghie mi stavano graffiando la pelle, quindi mi allontanai, arretrando fino alle scale, quando sbattei contro il petto di qualcuno. Mi voltai e guardai di chi si trattava. Il Capitano.
Cominciai a chiedermi se ce l'avesse, un nome.
Era, peró, evidente che non mi avrebbe lasciata passare, per fuggire anche da quella situazione contorta.
Tornai a guardare la ragazza, che mi stava osservando dubbiosa, con uno sguardo apprensivo negli occhi e le labbra tese.

"Che cosa significa?" urlai.
La stanza era calata nel silenzio piú assoluto, tutti attenti alla nostra conversazione; persino i bambini e i ragazzi, che, fino ad allora, avevano continuato a parlare e bisticciare, si erano zittiti, per ascoltare ció che ci stavamo dicendo io e la rossa.
Lei non si mosse nemmeno. Forse, sí, spostó il peso da una gamba all'altra, a disagio, unendo le mani in grembo e guardando la folla, inquieta.
Perchè, ora, stava tentennando? Le avevo rovinato la scenetta? Avrei dovuto fare la brava e starmene lí, davanti a tutti, mentre lei diceva le parole che si era imparata tanto bene, apposta per quell'occasione speciale?
Ops.
Dentro di me, ridevo, ma, in realtà, temevo che ció che aveva detto fosse vero. E se cosí fosse stato?
"Che cosa significa? Tua nipote?! Parla! Che cosa sarei io per te? Chi sei tu, per me?" osai domandare, non curando nè il tono nè il volume della voce.
Se avesse avuto tanto coraggio da dirlo davanti a tutti, o mi avrebbe confermato la sua pazzia, cioè quella di voler mentire, pur di avermi con sè, o avrebbe detto la verità. Non sapevo quale delle due alternative sarebbe stata la migliore. O la peggiore.
Parla!
I suoi occhi diventarono tristi, si giró lentamente e tristemente verso di me, tormentandosi la treccia rossa, sulle sue spalle, con le dita. Teneva gli occhi bassi, era chiaramente a disagio. Evidentemente, non sapeva se mentire o meno.
Fortunatamente, era stata tutta una finzione-

"Non posso parlartene ora. È un discorso lungo e ti serve tempo." parló, mormorando, ma ero sicura che tutti, nella sala, l'avessero sentita.

"Invece, voglio saperlo ora! Se non stai mentendo, dimmelo ora! Cos'è tutta questa storia? Non ti crederó finchè non mi racconterai la verità! O, forse, non è questa la verità?" la sfidai, puntandole un dito contro.
Indicare è da maleducati. Conoscevo molte persone che lo erano. Lo erano anche le persone che mentivano.

"Lilith, non puoi pensare di affrontare adesso questo argomento-".

"Allora, perchè ne hai parlato in mia presenza? Lo sapevi? Hai organizzato tutto? Quanti di loro sono umani?" la interruppi, indicando la folla di gente che ci stava ascoltando, a bocca aperta.
Lei non mi rispose, era troppo occupata a cercare di salvare la propria immagine, per badare alle mie domande.
"Siete solo dei bugiardi. Perchè non mi lasciate andare e basta? Sono io la causa di tutto, no? Allora lasciatemi andare e sarà tutto finito. Io non staró nè con i vampiri nè con i licantropi, perchè sono uno piú bugiardo dell'altro." alzai le mani in segno di resa, sorridendo, sentendo di avere la vittoria in pugno.
"Basta solo una tua parola-".

"Smettila." mi intimó lei, sibilando.

"Ci metterai meno di tre secondi. Solo liberatela. O, forse, stai raccontando la verità? Come puoi provare di essere una mia-".

"Ti ho detto di smetterla!" urló, non riuscendo piú a controllarsi.
Per un attimo, fecero capolino, nei suoi occhi, delle piccole lacrime. Poi, peró, vennero spazzate via dalla rabbia. Atroce e feroce rabbia.
"Cercheró di farti tornare come nuova." aggiunse, piú a bassa voce.
"Portatela nella sua stanza." ordinó ai suoi due scagnozzi, i due che mi avevano condotta dalla sua stanza alla cella di Dimitri, la prima volta.
Aspetta! Fermatevi!
A che sarebbe servito? Non mi avrebbe di certo ascoltata.
I due uomini mi presero per i gomiti, facendomi voltare verso le scale.
Mentre scendevamo, mi voltai verso il palco, curiosa di sapere come avrebbe spiegato quell'attacco di rabbia alla folla, vedendo, peró, solo una piccola ragazza dai capelli rossi, che singhiozzava tra le braccia di un uomo in giacca e pantaloni eleganti, il Capitano, che la stava abbracciando.
Dopodichè, tornai a guardare davanti a me, avanzando insieme ai due uomini, fin fuori dalla sala piena di persone.

Regno ribelleWhere stories live. Discover now