Capitolo 68

1.1K 73 32
                                    

Varcai la soglia. Il bianco accecante inondó la mia vista: pannelli bianchi e opachi fungevano da pareti, mentre sul pavimento si trovava una distesa di piastrelle altrettanto bianche e opache; solo il centro della stanza era coperto da un telo grigio, rialzato, sopra un pannello di legno; ogni tanto, qua e là, degli specchi riflettevano la mia immagine stupita; sulla parete piú lontana, quella di fronte a me, erano appoggiate al muro bastoni lunghi e piccoli, spesso affilati, anche in ferro lucente. Sembrava tutto cosí basico e tutto cosí tecnologico. Ancora una volta, la modernità si univa all'antico, stavolta, peró, le due componenti si sposavano perfettamente. Mi guardai da uno specchio, inclinato, che mostrava solo la mia immagine da una prospettiva diversa, inclinata, dall'alto verso il basso. Mi sembró persino di vedere gli angoli della bocca che si piegavano all'insú, tanto ero stupita che potesse esserci, in una struttura tanto strana, una stanza che sembrava quasi normale, considerati i paletti sul tavolo o appoggiati al muro, di fronte a me.
Il Capitano, che mi aveva preceduta, osservó la mia espressione stupita e sorrise, guardandosi attorno, soddisfatto. Infiló una mano nella tasca interna della giacca elegante e il suo sorriso si allargó.
Poi, fu un attimo.
Non riuscii nemmeno a vedere il suo braccio muoversi, o i suoi passi, ma mi ritrovai subito con qualcosa di freddo e metallico sulla fronte, che spingeva. L'arma aveva un buco al centro, pronto ad aprirsi, non appena il Capitano avesse premuto il grilletto. Sbirciai la mia immagine sullo specchio di prima, inclinato. Il Capitano stava puntando contro di me la stessa pistola che aveva puntato contro i ragazzi che avevano provato ad aggredirmi, nel luogo che veniva chiamato limite. Era una pistola che sembrava d'argento.
Non che mi interessasse molto, comunque di come fosse fatta la pistola: il Capitano mi stava fulminando con lo sguardo, pronto a sparare.
Deglutii a fatica. Fissai la canna della pistola puntata contro la mia fronte, poi, di nuovo, gli occhi color ebano del Capitano. Lui sorrise, di un sorriso diverso da quello di prima: era subdolo, malizioso. Era straordinario il fatto che riuscii a non tremare.
Cominciai a sudare freddo. La pistola faceva sempre piú pressione, sulla mia fronte.
Poi, straordinariamente, si avvicinó a me. Riuscivo a sentire il suo fiato sul collo, un tepore mai sentito prima, un fuoco che mi avvolgeva, ma che non mi bruciava, ma che, allo stesso tempo, mi faceva sentire il freddo che c'era in quella stanza. Rimasi immobile.
Le sue labbra sfiorarono il mio orecchio.

"Avanti. Supplicami." mormoró.
Sembrava un'esortazione, ma sapevo che era un ordine, piú di altro.
Tuttavia, ero troppo agitata, troppo confusa, per poter rispondere. Una parte di me sperava che non rispondessi di mia spontanea volontà.
La pistola premette ancora di piú sulla mia fronte, costringendomi ad arretrare appena, seguita, subito, dal Capitano.
"Supplicami, Lilith." mormoró, un po' piú insistente.
"Supplicami di non ucciderti.".
Osservai la nostra immagine sullo specchio, lui che sembrava sul punto di sparare davvero. Mi accorsi solo allora che il suo dito era già a metà: avrebbe dovuto aggiungere solo un po' di pressione ed avrebbe davvero sparato.
Anche questa volta, non volli o non potei rispondere.
"Supplicami, Lilith! Non è cosí che fa una regina dei vampiri?" sussurró, tagliente come la lama di un coltello.
Ignorai l'insulto sulla regina dei vampiri, che sapevo aveva usato per provocarmi, e diedi un ultimo sguardo alla nostra immagine allo specchio, poi al dito del Capitano sul grilletto. A questo punto, cominciai a tremare. Speravo che il Capitano non sentisse i miei tremiti, anche se la cosa era inevitabile.
Il Capitano si staccó da me, mise piú pressione sulla pistola, spingendo contro la mia fronte, e...premette il grilletto. D'istinto, prima che il Capitano avesse premuto completamente il grilletto, chiusi gli occhi.
Non fu lento. Fu solo estremamente silenzioso. E liberatorio.
Mi sentivo lontana.
Mi sorpresi del fatto che potevo ancora muovere il mio corpo, nonostante lo sparo alla testa.
Aprii lentamente gli occhi, sbattendoli piú volte. Ció che vedevo era bianco. Bianco, con qualche macchia nera, ma bianco. Ció voleva dire una cosa.
Spalancai gli occhi e mi ritrovai nella stanza bianca con il Capitano. Lui era davanti a me e stava osservando la sua pistola argentata, sorridendo. Non alzó gli occhi su di me. Non aveva bisogno di sapere che ero viva.
Non capivo cosa fosse successo: perchè ero ancora lí? Il Capitano non mi aveva appena sparato?
Guardai la mia immagine al solito specchio inclinato: era tutto normale, se non l'immagine di Stacey proprio dietro di me.
Aspetta, Stacey...?
Sobbalzai e mi girai, sbalordita. Lei mi guardava sorridente, fin troppo. Quasi, non respiravo dal susseguirsi troppo veloce degli eventi.

"Non ci metteró molto." annunció, senza lasciarmi il tempo di capire cosa stesse succedendo.
"Tu devi rispondere solo o no. È un gioco semplice, in cui giochiamo solo noi due. Il Capitano non ci puó sentire. Almeno, immagina che non ci possa sentire. Tu sei mai stata innamorata di Mike?" parló, troppo velocemente.
Forse, fu la confusione, forse la verità, forse il fatto che era arrivato il momento di sbattere in faccia a Stacey la realtà, anche se non sapevo a quale prezzo, a farmi parlare. Ma parlai. E non avrei potuto piú tirarmi indietro.

"Sí." sussurrai.

"E ti ha baciata?" domandó subito.
La mia immagine si affacció, nella mia mente. Mike e io che ci baciavamo. Io che scappavo. Sylver che aveva tentato di consolarmi.
Stavolta, fui sicura di ció che mi fece parlare.
Lacrime salate cominciarono a rigarmi il viso, prima ancora che potessi realizzare tutto quello che stava succedendo.

"Sí, mi ha baciata. E non lo rifarei." dissi, senza tono.

Fu come risvegliarsi da un incubo. O, almeno, cosí mi era sembrato: Stacey era scomparsa, il Capitano era davanti a me e mi guardava inespressivo. O era cosí misterioso da rendere l'espressione sul suo volto indecifrabile. Il suo sguardo scavava dentro di me. Sentivo che qualcuno stava parlando, in sottofondo, ma non capii chi fosse, fino a quando non vidi l'immagine sullo specchio inclinato nell'angolo: la mia bocca si muoveva, pronunciando parole che non riuscivo a capire. Sentivo tutto in modo confuso, come se ci fosse stato uno specchio tra me e le mie parole, che ostruiva il suono della mia voce. La pistola era ancora puntata contro la mia fronte.

"Basta cosí." annunció il Capitano dopo poco.
Tolse la pistola dalla mia fronte e distolse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si abbassarono sulla pistola che teneva in mano, la mia bocca si chiuse e rimasi in silenzio.
Il Capitano si allontanó, andó verso il tavolo con i paletti e ripose accuratamente la sua pistola su un pezzo di stoffa bianco. Sembrava non accorgersi del fatto che non stavo piú capendo nemmeno dove fossi, tanto ero confusa.

Regno ribelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora