Capitolo 9 (Revisionato)

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Dopo ieri sera ho capito che devo prendermi un po' di tempo per schiarirmi le idee. Finita la mia tipica corsa mattutina, prendo le mie cose e lascio un biglietto a mamma e papà per avvisarli che mancherò per un po' di giorni, so che loro capiranno, così mi dirigo verso la macchina metto in moto e mi allontano da tutto e da tutti, soprattutto da lui da quegli occhi che hanno inchiodato i miei piedi al suolo, sono stati capaci di far tornare a battere un cuore che da tempo aveva dimenticato cosa si provasse a dedicare i suoi battiti a qualcuno. Mi allontano da quel bacio che ha impresso un ricordo troppo piacevole nella mente, è vivido e incandescente mi fa scoprire cosa si prova a fremere per il tocco di un ragazzo che ti desidera "Ma a che cazzo penso". Biascico queste parole, come a interrompere il flusso di pensieri che scavano dentro di me, senza lasciarmi alcuna via di fuga. Provo ad allontanare quei pensieri con la musica e affondo il piede sull'acceleratore per mettere sempre più distanza tra il mio passato e forse il mio presente. So che mi chiameranno, ma la mia nuova fuga ha una destinazione vicina che sa di casa. La casa dove sono cresciuta che mi ha regalato un'infanzia che posso classificare la migliore al mondo, ma che dopo la sua scomparsa non sono stata in grado di tornare a visitare perché una voragine al centro del petto aveva risucchiato tutto ciò che di bello c'era, lasciando posto a un'immensa sofferenza alla quale non mi abituerò mai. Ancora ricordo la mattina che ricevetti la chiamata di mia madre che mi pregava di tornare perché le condizioni di salute di mia nonna erano peggiorate notevolmente, ancora facevo il mio vecchio lavoro nella caffetteria del paese, Brayan, il mio capo, intuì dall'espressione del mio viso che qualcosa non andava così mi esortò a tornare a casa. Mi precipitai alla macchina con il sangue che mi pompava nelle tempie, il cuore perdeva battiti e l'adrenalina mi faceva tremare le mani, per raggiungere l'ospedale ci misi minuti interminabili e mi sentivo chiusa dentro una fottuta bolla, che mi impediva di essere lucida, tutto intorno a me si muoveva a rallentatore. Quella settimana fu la più lunga della mia vita, non facevamo altro che far turni infiniti dentro quella maledetta corsia di ospedale nel quale era ricoverata, il medico ci aveva avvertiti che questo momento sarebbe arrivato, ma diciamocela tutta, non si è mai pronti abbastanza a vedere le persone che ami soffrire e spegnersi piano piano senza che tu possa fare niente per aiutarle. Le immagini si rincorrono nella mia mente, senza farmi dimenticare un solo secondo di quei lunghi giorni, la vedevo li distesa nel letto sofferente e non potevo far altro che tenerle la mano, pregando Dio di farla smettere di soffrire perché non lo meritava. Ho cercato a lungo di non ricordare, focalizzandomi sulle giornate che passavo con lei quando i miei erano impegnati con il lavoro, cercavo di ricordare di come si prendesse cura di me, di che nonna giovanile e sempre attiva fosse. Il suo sorriso era qualcosa che a parole non si può spiegare, mentre ripenso a lei al suo volto nitido impresso nella mia mentre, calde lacrime scendono sul mio viso senza che io me ne accorga. I pensieri continuano a vagare, ricordo esattamente cosa stessi provando, la rabbia contro quella natura che ti mette al mondo e quando decide lei ti riprende come se fossi di sua proprietà. La guardavo senza mai voltarmi per paura di perdere anche un solo frame del suo volto, la malattia l'aveva trasformata, la stanchezza di quel male che ti abbraccia e ti risucchia piano, un dolore al quale non puoi sottrarti. Il suo destino era già scritto, ma io non volevo accettarlo e tutt'ora mi rendo conto che faccio fatica ad accettare di non poter guardare più il suo viso, di non poter ascoltare ancora la sua voce e di non potermi rifugiare tra le sue amorevoli braccia che erano sempre pronte a tirarmi su quando cadevo e mi sbucciavo le ginocchia. Gli ultimi giorni fummo costretti ad accettare che la inducessero al coma farmacologico, perché aveva cominciato a soffrire di attacchi epilettici e non eravamo più disposti a vederla soffrire così, acconsentimmo a trasferirla in una struttura per malati terminali un po' più accogliente così da non costringerla a spegnersi tra il caos di quell'ospedale, che ci perseguitava senza darci un attimo di pace. Appena trasferita, comunicammo al dottore di non voler procede con l'accanimento terapeudico solamente per il nostro egoismo, sapevamo che trattenerla con noi quanto più a lungo possibile le avrebbe causato solo altro dolore e ci avrebbe fatto soffrire inutilmente. Quindi in totale silenzio ci accogliemmo intorno a lei fino alla fatidica sera che vedemmo il suo petto esalare l'ultimo respiro di vita che le era rimasto. Da quel momento il susseguirsi di fatti non fecero che peggiorare il mio malessere, per questo presi la decisione di andare via. Ma oggi dopo tutti questi anni ripercorro questa strada come se non fossi mai andata via, sempre nitida tra i miei ricordi, di quando la percorrevo ed ero felice di raggiungere mia nonna e mio nonno perché tutto ciò significava essere in vacanza e ricevere una quantità di amore che solo un nonno ti sa donare. Arrivo di fronte quella casa così familiare, ma così spoglia della sua essenza vitale, faccio un respiro profondo e suono il campanello. Non ci vuole tanto perché la porta si apra ed appaia di fronte ai miei occhi mio nonno, è sempre uguale lo stesso viso dolce, i suoi occhi mi sorridono non appena si posano su di me, ma noto che sono velati dalla sofferenza della perdita dell'amore della sua vita. Da piccola sognavo di incontrare un uomo che mi guardasse come lui guardava la nonna, ogni suo gesto era ponderato per esaltarla come fosse una dea da adorare. Ad ogni suo compleanno le regalava un mazzo di rose con una dedica romantica scritta da lui, che le decantava la sua bellezza rimasta invariata ai suoi occhi, nonostante il tempo fosse passato inesorabilmente e puntualmente rinnovava il suo giuramento di amore eterno. Prima di erigere tutte queste barriere, sognavo che qualcuno mi guardasse allo stesso modo e che si prendesse cura di me, passando la vita insieme superando ogni ostacolo, con la forza dell'amore e della coppia, ma purtroppo credo che il destino, mi abbia voluto insegnare che nella vita bisogna prendersi cura di se stessi da soli, senza aspettare il principe azzurro dalla scintillante armatura quella è roba per i bambini nella realtà l'amore fa male, tanto male...
"Ciao amore di nonno". Mi dice destandomi dai miei pensieri e stringendomi forte a lui, posso sentire il suo profumo riempirmi i polmoni. Lo stringo forte a me. "Ciao nonno sono venuta a stare qualche giorno da te, ti dispiace?". A quelle parole i suoi occhi si illuminano e prende a stringermi sempre ancora più forte.

PRIMA O POI BISOGNA TORNAREWhere stories live. Discover now