Capitolo 3: Abitudini

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"Guarda, guarda! Ma che meraviglia!"

"Questa sera abbiamo vinto senza aver nemmeno tirato i dadi!"

Appena accedo al privè, un piccolo palchetto leggermente sopraelevato rispetto al resto della sala, vengo accolta dai soliti fischi con cui il tipo di uomini che ormai conosco fin troppo bene è solito rivolgersi ad una ragazza, scambiandola per un cane.

Cammino decisa sui tacchi alti dei sandali argentei che indosso e mi mostro sicura di me, sperando che quel modo di dire in cui non ho mai creduto questa volta funzioni: il modo in cui appari finisce per condizionare ciò che provi dentro di te. Infatti, nonostante il mio lavoro e i preconcetti che gli altri si fanno al riguardo, non mi sento a mio agio sola circondata da uomini che possono allungare le mani per metterle dove vogliono. La pedana su cui sono solita ballare non può più salvaguardarmi, fungendo da piedistallo irraggiungibile. Per questo, ora più che mai, ho bisogno di convincermi di essere perfettamente in grado di badare a me stessa.

Ad aver parlato sono due uomini seduti sui divanetti alla mia sinistra, i quali danno le spalle alla pista dove la folla si struscia al ritmo delle note del DJ. Mi basta un'occhiata per inquadrarli. Non sono dei ragazzi e io non li definirei più neppure giovani. Sono degli adulti che si rifiutano di vivere la vita notoriamente richiesta a chi dovrebbe aver già trovato un impiego rispettabile e una moglie con cui condividere la quotidianità e costruire una famiglia. Ormai però non sono più così ingenua da credere che questa sia la consuetudine. Questi tizi infatti hanno esaurito il bonus d'età per fingersi dei ragazzetti, nonostante ci provino con tutte le loro forze: giubbino di pelle, capelli grondanti di gel, l'espressione viscida e il ghigno arrogante di chi si ritiene superiore. Se ne stanno entrambi seduti con le gambe divaricate e le braccia appoggiate sullo schienale del divanetto; in una mano il bicchiere di vodka e al polso alcuni bracciali d'argento. Capisco subito che nessuno dei due è l'importante cliente a cui JJ ha accennato.

Esattamente davanti a loro si colloca un altro tizio, all'incirca della stessa età, ma dall'aspetto ben diverso. Ha un'aria quasi indifesa; appare imbarazzato per i commenti degli altri due e sembra addirittura sentirsi a disagio nel trovarsi in un uno Strip Club. Indossa una giacca sportiva, ha i capelli pettinati con cura e potrei persino azzardare che la sua espressione appare rispettabile. Tiene i gomiti appoggiati sulle ginocchia e si strofina le mani, senza mai incrociare il mio sguardo. Ipotizzo che provenga da un ambiente economicamente e socialmente un po' più elevato rispetto agli altri due, ma non ha assolutamente l'aria di uno spregiudicato uomo d'affari. E infatti ne ho la conferma non appena fisso gli occhi davanti a me.

Oltre il tavolino basso su cui sono appoggiati i drink, è seduto un uomo in un completo blu scuro. I pantaloni si stringono sulle caviglie e terminano in due scarpe di vernice italiane; la giacca aperta lascia intravedere un gilè elegante, in cui si nasconde la cravatta, perfettamente annodata intorno al colletto di una camicia bianca immacolata. Tiene le gambe accavallate, spostate di lato, e le braccia aperte, appoggiate sui cuscini del divanetto. In mano un bicchiere di Martini. Sul volto un accenno di barba dello stesso colore castano dei capelli, la cui stempiatura ai lati testimonia l'età adulta. Eppure non è il riccone vecchio, grasso e unto che mi ero immaginata. Non è il tipico uomo d'affari, con tanto di riporto sulla fronte e Rolex al polso. È un uomo giovane e dall'innegabile bell'aspetto, sottolineato dal fascino elegante. Ma ha catturarmi sono due occhi azzurri e limpidi, come il mare di quelle località esotiche verso cui io e Sienna da bambine immaginavamo di fuggire. È lo sguardo più luminoso e magnetico che io abbia mai incontrato, capace di stregare. Lui sembra esserne consapevole, perché, non appena coglie la mia esitazione, solleva un angolo della bocca in un sorrisetto accennato e abbassa il capo.

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