Capitolo 28: Inibita

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Vengo svegliata dal rumore di stoviglie e tegami proveniente dalla cucina

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Vengo svegliata dal rumore di stoviglie e tegami proveniente dalla cucina. Mi rigiro tra le lenzuola bianche, coprendomi con una mano il volto colpito dai raggi del sole che attraversano le persiane ingiallite e polverose. Allungo il braccio sul materasso vuoto accanto a me e deduco che Mitch deve essersi già alzato.

Non ho alcuna voglia di lasciare il letto questa mattina. Non che di solito io muoia dalla voglia di vivere le mie giornate, ma non sono abituata a rigirarmi tra le coperte; avverto sempre un impulso che mi spinge ad alzarmi e a muovermi, a fare qualcosa. Non mi sento a mio agio nel restare immobile, sola con i miei pensieri confusi. Questa mattina per di più sembrano essere più pesanti del solito, tanto da schiacciarmi sotto le lenzuola umide.

Per questo mi sollevo dal materasso sottile e mi metto seduta sulla sponda del letto basso e scricchiolante, solo per riuscire a respirare. Stando sdraiata infatti mi sembrava di soffocare, per via dell'aria afosa. Mi passo una mano dietro il collo sudato. Indosso solo una canotta grigia e un paio di slip rosa; i capelli sono raccolti disordinatamente in cima alla testa.

Alla fine trovo la forza per ignorare questo insolito indebolimento e alzarmi; trascino i piedi nudi fuori dalla camera da letto, attraverso il piccolo soggiorno, fino alla soglia della cucina. Mi appoggio allo stipite della porta, strizzando un paio di volte gli occhi per guadagnare un minimo di lucidità. Mi sento ancora parecchio stordita a causa di un sonno disturbato.

Mitchell è voltato di spalle, a torso nudo; si trova davanti ai fornelli e sta cuocendo alcune fette di bacon mentre canticchia sulle note della radio accesa. Non sono solita mangiare a colazione e sentire l'odore di prosciutto bruciato mi dà il volta stomaco. Mi dirigo verso la vecchia radio posizionata su una mensola e la spengo, per dare un po' di ristoro alla mia testa già sufficientemente rintronata.

"Possiamo evitare il casino almeno di prima mattina?" commento con tono monocorde e la voce impastata. Mitchell, accortosi della mia presenza, si gira verso di me e mi saluta euforico. "Eccola! Di buon umore come al solito!" Allontana la padella dai fornelli e la inclina leggermente, per far scivolare le fette di bacon sul suo piatto, già posizionato sul tavolo addossato alla parete della cucina.

Dopo aver lasciato malamente cadere il tegame nel lavello, mi si avvicina per mettermi un braccio intorno alla vita e affondare il viso nel mio collo. "Te l'ho mai detto che sei bellissima e incredibilmente sexy quando ti svegli?" lo sento commentare, prima di lasciarmi un lieve morso sulla spalla, mentre con una mano mi stringe il sedere. Mi scosto da lui e gli rivolgo un'occhiata sospettosa. "Com'è che sei così euforico questa mattina?" Mitch mi guarda soddisfatto. "Mi aspettavo questo approccio inquisitorio da parte tua, ma oggi ho grandi notizie per te piccola! Ieri sera, insieme ai ragazzi, ho giocato e vinto un'ottima mano al tavolo!" esclama compiaciuto.

Mi limito a scuotere il capo, ignorando uno dei tanti momenti esaltati tipici di Mitchell, che, come gli altri, ben presto si esaurirà, lasciando posto alla rabbia risentita di quando perderà nuovamente tutto quello che è riuscito a vincere. In ogni caso, questa mattina mi sento esausta e non ho proprio voglia di insistere nei suoi confronti.

Mitch si volta di nuovo verso il ripiano della cucina e io assumo un'espressione scocciata nel constatare come, specialmente quando è su di giri, pensi sempre solo a se stesso e non abbia neppure apparecchiato un posto a tavola per me.

Tuttavia, prima di sedersi, lo vedo porgermi una tazza. "Il tuo caffè. Tiepido e amaro come piace a te" mi dice disinvolto, come se questo suo insolito gesto gentile facesse parte della nostra routine quotidiana. Sorpresa, stringo la tazza tra le mani e, restando in piedi, appoggio il sedere al mobile della cucina.

Mi rendo conto di come la mia tipica irascibilità mattutina sia particolarmente accentuata quest'oggi: mi sento in colpa per il mio precedente pensiero maligno appena smentito, tanto che non riesco neppure a ringraziare Mitch.

Lui si infila un'intera fetta di bacon in bocca e, mentre sta ancora masticando, riprende il discorso e mi domanda: "A proposito, che fine hai fatto ieri sera? Quando sono tornato a casa non c'eri ancora e alla fine mi sono addormentato" mi spiega e avverto nella sua voce un certo nervosismo. Mitchell infatti non è abituato a non avere tutto ciò che gli serve a disposizione e a non avere il controllo su tutto ciò che reputa suo.

Se ripenso a ieri sera, mi accorgo che le immagini del tempo che ho trascorso in ospedale appaiono sfuocate e confuse, proprio come le mie sensazioni al riguardo. Ricordo di essermene andata quando ormai era buio e di aver continuato a guidare per un po', per schiarirmi le idee. Non riuscivo a spiegarmi perché mi sentissi così irrequieta. Non si è trattato solo dell'aria di superiorità di Kate, che stranamente non sono riuscita ad ignorare, e del modo in cui mi ha trattata, ma anche della conversazione avuta con Riccardo, di quello che ho provato. Sono abituata alle sensazioni forti, intense, quelle che si esauriscono subito; non mi capita spesso di avere a che fare con sentimenti sottili che si insinuano in me, lasciando qualcosa di irrisolto dentro la mia testa.

Non cogliendo una risposta immediata, Mitchell si volta verso di me e aggrotta le sopracciglia folte e scure: "Un momento, non è che..." Non assume un tono minaccioso, come mi sarei aspettata. Il fatto è che stranamente Mitch non sta lasciando prevalere la solita gelosia possessiva. Infatti mi stupisce concludendo: "Insomma, hai avuto problemi? Eri con qualcuno al SIN?" mi domanda. Io lo osservo confusa. Lo stordimento di cui la mia mente è vittima questa mattina mi impedisce di cogliere quello che Mitch vuole dire e le sue scarse abilità nell'esprimersi a parole di certo non aiutano. "Non è che il vecchio Lou ti costringe a fare lavori extra, vero?" indaga, seriamente preoccupato, ricorrendo al modo più semplice con cui è solito dire le cose, cioè senza filtri. Finalmente capisco e sgrano gli occhi. "Che? No, ma ti pare! No" gli assicuro seria. "E poi sai che non mi farei mai costringere a fare niente da Lou. So farmi valere." È così. Giusto? – non mi trattengo dal chiedere a me stessa. "Bene. Perché in caso contrario ci penserei io a lui: non avrei problemi a fargli capire come gestire i suoi affari" afferma convinto Mitch.

Io non replico, ma continuo a tenere lo sguardo fisso sulle piastrelle del pavimento, mentre tento di scacciare dalla mente i pensieri in cui sono assorta e le preoccupazioni che riguardano il vecchio Lou e di cui Mitch fortunatamente è del tutto ignaro.

Mitchell continua a mangiare, convinto di ciò che ha appena detto. Lo conosco da abbastanza tempo per capire che lo intende davvero. In questo momento. Ma non posso fare a meno di sollevare un angolo della bocca in un sorriso stanco e un po' amareggiato ripensando a tutto quello che ci vomitiamo vicendevolmente addosso durante i nostri litigi. A volte è facile dimenticarsene e ignorare quelle cattiverie, convincendosi che siano del tutto prive di intenzionalità. A volte di meno. Del resto, io e Mitch non ci mentiamo mai l'un l'altra, ma il fatto che le nostre verità possano cambiare da un momento all'altro le rende più confuse.

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