Capitolo 58: Sapere e sentire

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Appena varco la porta d'ingresso della villa di Riccardo, scaravento la mia pochette su uno dei divani del soggiorno e mi porto le mani tra i capelli. Finalmente posso sfogare tutta la rabbia che ho trattenuto durante il tragitto in macchina, per evitare di fare scenate davanti all'autista.

"Ma si può sapere perché si deve sempre fare a modo tuo?!" esordisco con tono esasperato, guardando Riccardo e riferendomi al fatto di essere stata portata qui praticamente contro la mia volontà. Lui si sfila la giacca in silenzio e la appoggia su una poltrona.

"Ti piace tanto avere il controllo sulle persone e su tutto il resto, ma non sei così poi così bravo a mantenerlo, considerato quanto è successo stasera. La situazione è evidentemente sfuggita di mano e a rimetterci sono stata io. Persino al SIN vengo umiliata meno; lì almeno i clienti trovano quello che cercano, quello che si aspettano. Cioè me, una spogliarellista, e io posso essere me stessa senza vergognarmi" mi sfogo; so di esagerare, ma al momento non riesco a pensare lucidamente.

"Sai che non è vero, tu non sei così." Riccardo prova a farmi ragionare con voce pacata, ma io lo interrompo: "Invece sì. Il punto è che sei tu a non volermi così. Si è trattato di questo fin dall'inizio, ma devi rassegnarti. Mi dispiace deluderti, ma non sono bastati degli orecchini da migliaia di dollari per trasformarmi, per comprarmi!" Ecco che tiro fuori quella spina che mi infastidiva latente da inizio serata, mentre mi tolgo gli orecchini e li getto sul tavolino di vetro. Purtroppo però mi esprimo in maniera brutale e sconclusionata. Riccardo infatti si tira indietro e mi guarda confuso e offeso: "Ma che stai dicendo? E' questo che credi?" Tento di ignorare il suo tono ferito, che finisce con l'incrinare anche il mio cuore. "Perché, non è forse così?" La mia voce è rotta dal pianto. "Mi sono sentita così sbagliata questa sera, così fuori luogo, con tutti quegli sguardi puntati addosso! Io ci provo a cercare qualcosa di meglio, di diverso, ma ci sarà sempre qualcuno che mi ricorderà da dove vengo, qualcuno appartenente al tuo mondo" mi lamento sconfitta, con un tono lagnoso e pietoso.

"Trilly, sai che quello che dici non ha senso. Cerca di calmarti e prova ad essere ragionevole." Non sopporto il suo tono sufficiente, la sua espressione infastidita e il fatto che si rifiuti di ascoltare davvero ciò che sto dicendo, di cogliere ciò che voglio fargli capire. Non sopporto il fatto che i modi autoritari di Riccardo, seppure dotati di una sfumatura diversa, mi ricordino una forma di prepotenza che conosco fin troppo bene, quella di Mitchell.

Le parole di Kate continuano a ripetersi in sottofondo nella mia mente e mi confondono, per questo sbotto: "Te l'ho detto quando ci siamo conosciuti: io non ho bisogno di essere salvata! Posso cavarmela benissimo da sola."

Mi dirigo a passi lunghi verso di lui, attraversando il tappeto del salotto. "Sai cosa ti dico: hai espresso la tua opinione su Mitchell, argomentandola con determinazione, ma tu non sei tanto diverso da lui. Vuoi incastrarmi in un posto a cui non appartengo, vuoi costringermi ad essere chi non sono e vuoi farmi accettare uno stile di vita che non condivido. In una parola, vuoi prevalere. Ma io non sono una marionetta che puoi controllare e dirigere come ti pare!" butto fuori tutto d'un fiato e, senza rendermene conto, alzo le mani per spingerlo, premendo sulle sue spalle.

Riccardo si irrigidisce e non esita a reagire, prendendomi i polsi e stringendoli contro il suo petto in una presa delicata, finalizzata solo a bloccarmi. Alza la voce: "Trilly devi capire che i diverbi non si risolvono così, con le mani, facendo sì che prevalga chi ha la meglio. Ci si confronta, si parla, ci si spiega. Non poi travolgere gli altri e lasciare che la tua irruenza finisca col travolgere anche te." Parla con tono fermo, ma non arrabbiato, ricordandomi ciò a cui ha accennato altre volte.

Fortunatamente le sue parole mi aiutano a riguadagnare un po' di lucidità, la quale riesce a calmarmi. Faccio un respiro profondo e mi scosto da lui. Riccardo mi lascia andare i polsi, ma posa delicato le mani sulle mie spalle e mi scruta attento, per verificare che stia bene.

Mi siedo sul cuscino morbido della poltrona, appoggio i gomiti alle ginocchia e mi passo le mani sul volto. Mi sento distrutta. Provo imbarazzo, ma non perché mi reputi ridicola. Si tratta di quell'imbarazzo che mi permette di osservarmi dall'esterno e di rendermi conto di ciò che sto facendo. È un'importante avvertimento. Riccardo ha ragione e ancora una volta ha trovato il modo giusto per aiutarmi e prendersi cura di me.

Con un gesto rapido solleva di poco i pantaloni, per potersi inginocchiare davanti a me e prendermi il volto tra le mani. Senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi, borbotto: "A me non sembra che tu sia molto portato per il confronto. Io provo a spiegarmi, a spiegarti, ma tu sembri non ascoltare. Forse sono io a sbagliare qualcosa, so che non sono brava ad esprimere quello che provo" farfuglio sconsolata, faticando a riconoscere la mia voce mite e flebile. Riccardo abbozza un sorrido. "Tu non hai nulla che non va e non c'è bisogno che esprima a parole quello che provi, perché io lo sento. Forse è vero che i compromessi non sono il mio forte, come mi hai fatto notare tu in passato" mi rivolge uno sguardo complice "ma con te voglio provarci, tu mi permetti di superare i miei limiti" confessa.

Poi, dopo qualche secondo, riprende: "Mi dispiace se il mio regalo ti ha offesa." Io lo interrompo: "Non è che mi ha offesa, ma... mi hai messa in difficoltà. Hai esagerato. Cerca di capire: quegli orecchini sono indubbiamente meravigliosi, ma non mi si addicono. Non avrei neppure occasione di indossarli né lo desidero onestamente" provo a fargli capire. Riccardo fa un sospiro e scuote il capo. "Hai ragione. Mi sono affidato a convenzioni a cui non credo neppure e non ho pensato a quello che invece sarebbe potuto piacere a te" ammette.

Adesso sono io ad accarezzargli la guancia ricoperta da un accenno di barba curata e faccio incontrare i nostri sguardi. "Il punto è che tu... mi rendi insicuro. E non ci sono abituato. Mi metti in discussione, nel migliore dei modi. Era da tanto che non tenevo così a qualcosa, a qualcuno, e ho paura di rovinare tutto. Ci sono tanti ostacoli che potrebbero mettersi tra di noi e io ne sono consapevole, ma non sono preparato. Come si è visto stasera. Mi dispiace per come ti hanno trattata Tim e Kate" dice con tono afflitto.

Vorrei dirgli che non è importante, ma mentirei, perché quelle parole mi hanno inspiegabilmente ferita più di tutti gli insulti a cui sono stata abituata crescendo. Le parole di Riccardo sono molto dolci, ma la tristezza che provo ha la meglio. "Direi che quello che è successo stasera è sufficiente per farci capire che io e te insieme non potremo mai esistere" mormoro e faccio per alzarmi, ma Riccardo, improvvisamente agitato, esclama: "No, come puoi arrenderti così?"

Fa per alzarsi a sua volta, ma si muove troppo repentinamente, alzando di scatto una mano per passarsela tra i capelli in un gesto di frustrazione, che io però fraintendo completamente. Con un balzo mi tiro indietro, inconsciamente convinta che voglia colpirmi. La mia reazione è del tutto infondata, è istintiva ed irrazionale, così come il terrore fugace che attraversa il mio viso.

Nella penombra del salotto però, Riccardo lo coglie interamente e lo sconvolgimento della sua espressione è ciò che più mi atterrisce. Si tira indietro a sua volta, continuando a fissarmi intensamente. "Tu... credevi che io volessi..." non riesce a finire la frase.

Cristo, come se le cose non potessero peggiorare ulteriormente! Stasera sono un vero disastro, combino solo casini! Mi corpo la bocca con le mani, rendendomi conto della situazione e poi lo raggiungo tentando di abbracciarlo. "No, io... Non volevo, mi dispiace" farfuglio. Riccardo lascia che gli stringa le braccia in vita e posa delicato una mano sul mio capo. "Mai e poi mai ti farei del male. Lo sai, vero? Devi esserne convinta. Altrimenti sono io a doverti chiedere scusa per non essere riuscito a fartelo capire, per non riuscire a farti sentire al sicuro" mormora.

Ci sediamo entrambi sul divano. Riccardo si propone di andarmi a prendere un bicchiere d'acqua, ma io non voglio perdere il contatto tra di noi. All'improvviso ho un disperato bisogno di lui, di sentirlo vicino. Mi accoccolo contro il suo petto, sollevando le gambe sul divano, e lui mi cinge le spalle.

So che non mi farebbe mai del male, ma dopo anni di litigi degenerati in scontri spesso ai limiti dell'estremo, sapere una cosa è ben diverso dal sentirla. E so di essere io la prima che non esita a reagire in maniera brusca, ma mai e poi mai vorrei mettere Riccardo in una simile condizione. Non se lo merita e non mi deve alcuna scusa; lui che più di chiunque altro mi ha fatto scoprire una nuova e delicata forma di vicinanza. Gli dico tutto questo, capendo quanto abbia bisogno di essere rassicurato.

VITE DI SCARTOWhere stories live. Discover now