Capitolo 48: Prudenza

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Mi sono svegliata con la testa di Riccardo appoggiata sul mio petto e le sue braccia ancora strette in vita

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Mi sono svegliata con la testa di Riccardo appoggiata sul mio petto e le sue braccia ancora strette in vita. Diversamente dal solito, mi sono concessa di restare un po' sdraiata a letto, nonostante fossi già sveglia. Non ho resistito dal passare delicatamente le dita sulle cicatrici che gli attraversano la spina dorsale. Ho osservato da vicino il suo volto, accarezzando i capelli castani mossi e avvertendo il piacevole pizzicore della sua barba sulla mia pelle. Dopodichè mi sono spostata, attenta a non svegliarlo; a piedi nudi e con ancora la sua camicia addosso sono scesa in cucina.

Ho preparato il caffè e alcune fette di pane tostato con la marmellata che ho trovato nella dispensa. È incredibile come ovunque regni un ordine non maniacale, ma personale. Come se ogni cosa si trovasse in un determinato posto per un preciso motivo e fosse così facilmente riconoscibile. Temevo di sentirmi un'estranea, un'intrusa nel muovermi in una casa che non è mia, ma la serenità che la serata trascorsa con Riccardo mi ha lasciato ha rilassato non solo i miei muscoli, ma anche la mia mente. Era tanto che non dormivo così bene; è come se fossi stata liberata da un peso che non sapevo neppure mi stesse opprimendo.

So che nulla là fuori è risolto e che al mondo non esistono posti al sicuro, ma solo posti al riparo: il mio stare qui altro non è che una fuga momentanea e precaria da un'esistenza costante e certa, ma soprattutto ben diversa da questa parentesi idilliaca. Non so spiegare cosa mi spinga ad agire così nei confronti di Riccardo; posso solo dire che in sua presenza vengo attraversata da una felicità non euforica ma serafica, a cui non sono abituata e che quindi non so come gestire. Di certo non ho la forza di allontanarmene, non ora che mi sento ancora così fragile e vulnerabile.

La cucina in legno chiaro di Riccardo è accogliente. Il piano percorre tre lati dell'ampio spazio, sormontato da alcuni pensili con le ante in vetro e le tendine a quadretti. Al centro della stanza c'è il tavolo, con quattro sedie rivestite in finta paglia.

Ad un certo punto mi fermo, interrompendo i miei gesti, quando avverto un suono provenire dal salotto. Mi affaccio alla doppia porta scorrevole che dà sul soggiorno.

Riccardo è seduto al pianoforte a mezza coda, posto vicino alle vetrate che si aprono sul patio esterno, e sta suonando una versione acustica di una canzone che mi piace molto. Sorrido tra me e mi domando come abbia fatto ad indovinarlo o se, più probabilmente, si sia trattato di un semplice caso. Non mi trattengo dal mettermi ad intonare il ritornello di Let Me Love You, avvicinandomi a lui con un sorriso.

Mi appoggio al piano e lo osservo: appare concentrato mentre fa scorrere le dita sui tasti; assottiglia lo sguardo, accentuando le rughe espressive intorno agli occhi; la sua postura è composta ma rilassata e le spalle ampie e muscolose sono messe in risalto da una maglietta grigia attillata. È davvero un bell'uomo, ma a piacermi è soprattutto la sicurezza che emana.

Continuo a cantare, ascoltando il testo della canzone e capendo il motivo per cui Riccardo deve averla scelta, finchè lui smette di suonare. "Sei brava!" si complimenta. "Ballare non è l'unica cosa che mi piace fare" ammetto. "Buongiorno comunque" lo saluto poi. Lui mi invita a sedermi sulle sue gambe: "Hai dormito bene?" mi chiede premuroso e io annuisco.

Vengo distratta quando il mio sguardo si posa su un piccolo tavolino di legno circolare, alto ma dal diametro ridotto, posto accanto al pianoforte. Su di esso sono disposte alcune cornici, simili a quelle presenti sopra il camino. Mi chino di poco per osservare meglio le fotografie. Ritraggono Riccardo, un po' più giovane, in compagnia di un ragazzo dai tratti simili ai suoi. In una foto sono su una jeep nel bel mezzo del deserto del Nevada, in un'altra invece si trovano sulla spiaggia, con le onde dell'oceano alle spalle. Hanno dei sorrisi contagiosi e si abbracciano, lasciando trasparire una chiara intesa affettuosa e tenendosi le mani sulle spalle. Una cornice più grande mostra invece un ritratto di famiglia: ci sono i Signori Torres, Riccardo quando aveva all'incirca la mia età e l'altro ragazzo ancora adolescente. Mi sporgo per osservare meglio e sto per indicare le foto e chiedere a Riccardo spiegazioni, quando lui mi distrae, pizzicandomi in vita per attirare la mia attenzione.

Quando i nostri sguardi si incontrano, scorgo un accenno di titubanza e insicurezza nella sua espressione, ma lui non esita comunque a parlare: "Fra un paio di giorni si terrà una festa di inaugurazione per un progetto di edilizia proposto dalla società mia e di Matias. Voglio essere onesto: sarà una cerimonia noiosa e formale, ma la causa è buona. Mi piacerebbe che tu mi accompagnassi, perché vorrei condividere con te quello che faccio, fartelo conoscere più da vicino. Ci tengo" ammette.

Trattengo il respiro di fronte ad una simile proposta. Il mio cuore non esiterebbe ad accettare. È meraviglioso quello che Riccardo desidera. Tuttavia la mia testa mi ricorda che il mio mondo è un altro, la mia vita è un'altra; mi elenca tutte le oggettive differenze esistenti tra me e lui, quelle che, nonostante io non le avverta più, gli altri continueranno a vedere. Non mi piace sentirmi fuori luogo, dovermi adattare a situazioni a cui non appartengo.

Tuttavia lo sguardo che Riccardo mi rivolge non nasconde un'autentica speranza. So che mostrarsi per quello che è, senza mantenere il solito contegno austero, è una cosa nuova per lui, così cedo. "Ci penso" rispondo prudente, sapendo già che non ho nulla di anche solo lontanamente elegante da indossare.

"Ci saranno anche i tuoi genitori?" domando di getto; non mi dispiacerebbe rincontrarli, sembrano simpatici e buoni, inoltre il fatto di conoscere qualcuno in più oltre a Matias e Riccardo sarebbe un'innegabile vantaggio. Riccardo però si irrigidisce: "Non è un evento che li riguarda" decreta seccato, nonostante questa non sia l'effettiva risposta alla mia domanda. Qualcosa infatti mi dice che i Signori Torres farebbero di tutto per stare il più vicino possibile ad un figlio che invece si mostra diffidente.

Per non innervosirlo ulteriormente, mi alzo dalle sue gambe e mi sforzo di tornare alla realtà: "Devo andare. Stasera lavoro" annuncio. Riccardo però mi trattiene, stringendomi la mano: "Non andare. Non tornare più in quel posto" mi prega, riferendosi al SIN. Distolgo lo sguardo e sono già pronta ad obiettare, ma lui mi sorprende proponendo una mediazione: "Almeno per questa sera."

Esito, ma quando mi accorgo che Riccardo, il quale notoriamente si rifiuta di scendere a compromessi, è disposto ad accettare un accordo con me, cedo di nuovo, accorgendomi quanto quest'uomo stia infrangendo tutte le mie barriere.

VITE DI SCARTOWhere stories live. Discover now