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I suoi amici si sarebbero infuriati, non poteva farsi vedere il quello stato. L'occhio destro era gonfio, frutto di un brutto pugno, mentre il sopracciglio e il labbro erano spaccati. Le erano stati dati alcuni punti al sopracciglio subito dopo l'incontro. L'avrebbero uccisa e poi avrebbero ucciso chi l'aveva picchiata a sangue due giorni prima.

Tamponò con due dita il correttore attorno all'occhio, nascondendo il cerchio scuro che lo circondava. Già meglio. Non era stata una mossa intelligente farsi organizzare un incontro quella sera, due giorni prima della riunione con i ragazzi di Space Valley. Era stata un'idea stupida. Non avrebbe sicuramente potuto registrare un salotto in quelle condizioni, figurarsi tre come da programma.

Si sciolse i capelli, muovendo un poco le ciocche ondulate, così da coprire un minimo il volto tumefatto. Alzò il cappuccio e spense la luce del bagno dietro di sé. Era stato facile evitare Nelson durante quei due giorni, aveva trovato la scusa di dover tornare a casa dai suoi genitori, in collina. Alla casa di famiglia in collina ci era davvero andata, solo che era stata da sola tutti e due i giorni. Niente genitori, niente amici, molte serie tv.

Raccolse la chiavi dell'auto dal divano, si caricò lo zaino in spalla e diede un'ultima sistemata ai cuscini del divano. I suoi genitori non avrebbero dovuto sapere che era stata lì, non sapeva nemmeno che si era fatta una copia delle chiavi della villetta. Non le era permesso entrarci da sola dalla seconda liceo, quando lei è Cesare fecero esplodere dei fuochi d'artificio in bagno, dando fuoco a tutto il secondo piano.

Spense tutte le luci, chiuse con cura la porta, salì sulla sua consunta Polo grigia e lasciò la villetta. Scese lungo i colli bolognesi, i finestrini abbassati e il vento tra i capelli. Iniziava a sentirsi un leggero caldo afoso, ogni tanto era difficile uscire con la felpa persino durante la sera, di giorno era impossibile indossare più di una maglietta. Come ogni giorno nell'affollata Bologna, ed ogni sera, le strade attorno al palazzo dove lei e Nelson dividevano un'appartamento, erano piene di auto.

Dovette girare tre volte il quartiere prima di trovare un posteggio abbastanza vicino al proprio palazzo. Sbloccò il portone con la chiave e salì con calma i piani che la dividevano dal suo appartamento. Non aveva fretta, era in perfetto orario, come sempre, e soprattutto non moriva dalla voglia di incontrare i suoi amici. Non con la faccia ridotta in quel modo.

Si sentiva un'adolescente in quel momento, voleva scappare dai suoi problemi, ma era una donna e li avrebbe affrontati a testa alta, come durante uno dei suoi soliti incontri. Infilò le chiavi nella toppa, sistemò il cappuccio e aprì la porta d'ingresso. "Sei un ladro?", sentì gridare dallo studio di registrazione e sorrise subito. Erano passati solo due giorni, ma non sembrava fosse così poco.

Non era mai stata lontana dai suoi amici per nemmeno un giorno. Se non era con Nelson, passava le giornate con Cesare. Se Nicolás non le teneva compagnia, c'era Francesco con lei. Se Dario aveva da fare, Davide era lì per lei. Era dipendente dai suoi amici dalle medie, forse da troppi anni, ma non poteva farci nulla, si era costruita una famiglia.
"Se fossi un ladro, avrei le chiavi?", domandò divertita.

Nelson scoppiò a ridere e fece strisciare la sedia contro il pavimento. "Come stanno i tuoi?"
"Bene grazie. I ragazzi?", non si era ancora girata verso di lui, nemmeno quando l'aveva raggiunta nella sua camera. Non voleva farsi vedere, temeva la sua reazione. Svuotò lo zaino, per dire meglio lo rovesciò sul letto ed iniziò a ripiegare i propri vestiti. "Viene solo Cesu. Nicolas e Dario si sono beccati l'influenza, mentre Frank e Tonno avevano qualcosa da fare che non mi ricordo", le spiegò.

Era quasi strano per loro chiamare Frank e Tonno con il loro nomi, rispettivamente Davide e Francesco. Frank era un soprannome legato a Davide fin dalle superiori, Tonno invece seguiva Francesco da quando Space Valley era stato creato.

Suonò il citofono e la ragazza quasi si spaventò. Erano mesi che cercava di convincere Nelson a cambiare quel maledetto citofono, che ogni volta la terrorizzava con quell'odioso strepitio.

¤

Cesare era incazzato, non lo aveva mai visto così serio in tutta la sua vita, e un po' la spaventava, ma allo stesso tempo la affascinava. Nelson parlava, forse da mezz'ora ormai, rimproverandola come solo suo padre avrebbe saputo fare. Anche lui era arrabbiato, tremendamene tanto, ma da buon logorroico tale era, non poteva fare altro che sgridarla.
"Se sono incontri clandestini significa che non sono legali, e se non sono legali significa che infrangi la legge facendoli", il discorso di Nelson reggeva.

"Se infrangi la legge finisci in galera, mi stai seguendo?", la ragazza annuì, e muovere il capo le fece partire una scossa di dolore dall'occhio, che arrivò fino alla base della schiena.
"Da quanto va avanti questa stronzata?", domandò ancora alterato Cesare. La ragazza alzò le spalle non volendo rispondere. "Anita, non fare la bambina", la rimproverò Nelson. Dio se odiava quando la trattavano così, non ne avevano il diritto, era maggiorenne e vaccinata ormai.
"Da Natale", disse rapidamente, temendo la loro reazione.

Erano sei mesi ormai, e in quel momento i due cugini si spiegarono molte cose. Dai continui lividi che le vedevano addosso, alle continue riunioni serali che saltava.
"Non guardatemi così, sembra che abbiate visto un alieno", sbuffò arricciando il naso.
"Se vuoi continuare a farti del male, fai pure. Se ti rende felice, continua", fu sgarbato nel dirlo. Anita rabbrividì impercettibilmente. Cesare non era mai stato così con lei, non lo aveva mai sentito così con nessuno.
Annuì, abbassando il capo.

"Non roviniamo una bella serata", esclamò improvvisamente Nelson, provando a rialzare il livello dell'umore. Fallì, ma non si scoraggiò di certo. "Filmettino?", propose, ricevendo un mugulo di approvazione da entrambi i suoi amici. Se lo fece bastare e raggiunse, chinandosi, il mobile della televisione. Aprì un'anta di vetro e senza pensarci estrasse Deadpool. Sapeva quanto, sia Cesare che Anita, amassero quel film. Sperava di poterli vedere riappacificati, perché se aveva imparato una cosa, in tutti gli anni passati con loro, era capire cosa provassero in segreto.

Poteva leggere negli occhi di Anita il suo passato sofferto e la sua gioia nel vivere il futuro, anche se spesso barcollava, ma lui era felice di essere la sua stampella. Sapeva anche quanto Cesare fosse in realtà sensibile e legato alla ragazza, e quanto fosse rimasto stupito dalla notizia del passatempo alternativo di Anita. Il film partì e l'atmosfera si fece subito meno tesa, tutto merito della battute di pessimo gusto di Wade Wilson, e che sia benedetta la Marvel per averlo prodotto.

Passarono pochi minuti e Cesare sembrò più rilassato, tanto che non si ribellò quando la ragazza appoggiò la propria testa sulla sua spalla, rilassandosi a sua volta. Nelson ne fu felice, amava quando i suoi amici stavano bene, perché non poteva sopportare la loro vista se stavano male. Non se lo erano mai detti, ma si volevano un gran bene, tutti i ragazzi della loro compagnia se ne volevano.

Il film scorreva sotto lo sguardo assente e stanco di Anita, che non chiudeva occhio dall'ultimo incontro di boxe che aveva  avuto, da quando era talmente ammaccato da non riuscire ad appoggiarsi al cuscino. I muscoli si sciolsero appena il calore corporeo di Cesare fece impatto con la sua pelle fredda. Si rilassò e si addormentò appoggiata all'amico, che la seguì a ruota dopo pochi minuti.

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