[육] Mi perdonerai.

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Jennie giaceva a letto da ore, ormai. Un letto rifatto con cura, un letto bianco ma non innocente. Quel letto era tutto tranne che casto; era poesia, era notti insonni e profumi di infiniti amanti, ma non candore, non purezza.

Aveva pianto, Jennie, ma non l'avrebbe mai ammesso a nessuno. Le lacrime erano scese impercettibili lungo gli zigomi, senza alcun mutamento nella sua espressione. Senza che inspirasse per ricacciare indietro gli impulsi dei condotti lacrimali; senza che sbattesse le palpebre una volta di troppo per far scendere gocce incastrate sotto i suoi occhi che ormai erano irrimediabilmente lacrime. Per tutti, Jennie non piangeva, non l'aveva mai fatto. Poteva arrabbiarsi fino ad urlare, ma nessuno l'aveva mai vista in lacrime.
Forse le aveva trattenute da troppo tempo. Quella sera dovette alzarsi e scovare qualche fazzoletto di carta smarrito in qualche cassetto. La situazione sul suo viso era diventata ingestibile dal solo dorso della sua mano pallida.

Dolori lividi di una giovinezza passata ad amare troppe persone. Persone meschine e piene di arte egoista, che non ricambiavano i suoi sentimenti. Questo pensava
Ti sei illusa che con lei potesse andare diversamente.

Davanti allo specchio, rimirò l'alone scuro che contornava i suoi occhi gonfi. Stupida. Come poteva sperare d'amare la distruzione se era lei stessa illusione, ubriachezza? Aveva sempre amato con la superficialità apparente delle puttane, eppure non c'era più posto nel suo cuore per la leggerezza dei finti adolescenti e degli uomini finiti.
Appreso questo, distolse lo sguardo da quel riflesso di ragazzina. Si spogliò della semplice maglia a maniche lunghe che indossava e barcollò fino alla porta del bagno, dove si appese. Il suo peso morto si rifletté ancora una volta, lo specchio del bagno, teatro di molti più pianti e dimostrazioni d'odio. Ricacciò lo sguardo verso la vasca e si protrasse per aprire il getto d'acqua.

Le sue braccia galleggiarono per quelle che le sembrarono ore. Lo sguardo fisso alla parete piastrellata, Jennie pensò che fosse tutto troppo bianco in quella casa, troppo accecante, illusorio. Troppo lei. Non voleva avere parte a nient'altro se non alla sua solitudine.

Il foglio bianco dall'alto del suo cavalletto aspettava di essere sporcato, fosse stata grafite, carboncino, china, a lui non importava

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Il foglio bianco dall'alto del suo cavalletto aspettava di essere sporcato, fosse stata grafite, carboncino, china, a lui non importava. Eppure Jisoo lo fissava senza la minima intenzione di sfiorarlo. No, non avrebbe potuto. Non con l'enorme buco nel petto che da ore alimentava con le sigarette sottratte a Hyungwon e con i pensieri che dal suo cervello le infliggevano stilettate dolorose nel cuore. Un cuore freddo, così recitavano i suoi pensieri; un cuore codardo.

Non c'erano parole per descrivere ciò che aveva fatto, così, quando Hyungwon le chiese cosa fosse successo, rispose semplicemente che aveva fatto una stronzata. Lui le chiese se potesse fare qualcosa per farla stare meglio, ma lei lo guardò con le lacrime agli occhi ed evitò di rispondere.

Hyungwon aprì l'acqua della doccia e posò delle nuove saponette alla vaniglia che aveva appena comprato sul ripiano del lavandino, assieme allo shampoo preferito di lei. All'udire il debole scroscio proveniente dal bagno, Jisoo andò in cucina e lasciò un bacio sulla guancia dell'amico. Sgusciò dentro il bagno e in un minuto si levò di dosso tutto ciò che faceva del suo corpo una figura pudica e rintanata in due taglie di troppo.
Quando uscì, i capelli ancora umidi, portava una maglia lunga e nera che le arrivava fino alle cosce nude. Ciondolando in cucina, cercò il suo portafoglio, ma non trovò nemmeno lo zainetto che lasciava sempre in salotto. «Il tuo zaino è in camera, ma ad ogni modo hai avuto abbastanza nicotina per oggi».

cicatrici su tela [k.j.]Where stories live. Discover now