2. Armi scomparse

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Boston, 15 anni dopo

«Questo posto puzza, cazzo», storse il naso mio fratello Chris, guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia.

«Abbiamo un tetto sulla testa, è già tanto, idiota.»

Mi alzai dal divano di pelle marrone, dirigendomi verso l'unica finestra presente nel salotto. Erano le cinque di pomeriggio, si era abbassata una fitta nebbia e stavano accendendo i lampioni per illuminare le strade.
Eravamo a Boston, nella zona di quarantena, in un piccolo appartamento al quinto piano.
Si poteva uscire solo fino ad un certo orario, altrimenti ci avrebbero punito severamente, o almeno così ci ricordava la voce registrata prima delle sette di sera.
I militari facevano controlli ogni lunedì e venerdì, portandoci razioni di cibo quasi tutti i giorni. Spesso capitava che ci fosse poca roba o che saltassimo i pasti per mancanza di alimenti.
Fortunatamente erano riusciti a creare una piccola fattoria, ma avevano solo poche mucche, alcune galline e giusto qualche maiale. C'erano anche delle coltivazioni, avevano costruito fatto delle serre enormi.
Sentimmo sette colpi alla porta e, dalle pause fatte, sapevamo fosse Normani.

«Era ora» bofonchiai, andando ad aprirle.

Lei mi sorrise, togliendo il cappotto pesante e mettendolo sull'appendiabiti vicino.

«Ehi, ho portato da mangiare e..Lau, vieni qui, devo dirti una cosa.»

Ci spostammo verso il tavolo da pranzo situato accanto alla cucina, mentre Chris preparava la zuppa portata da Normani.

«Dimmi..»

«Si tratta di Matthew» disse e mi feci seria, contraendo la mascella per l'irritazione che mi causava sentire quel nome.

«Che ha fatto?»

«È più di una settimana che sto aspettando le armi: quel coglione è scomparso.»

«Abbiamo già pagato per quel carico» mormorai e lei annuì, passandosi una mano tra i capelli.

«Domani andiamo a cercarlo, ora è troppo tardi. Mangiamo e facciamoci una dormita.»

Normani, dato il viso leggermente sporco, andò a pulirsi con la caraffa d'acqua riposta in bagno. Raccontai di Matthew a Chris, che sbuffò spazientito per il comportamento dell'uomo.

«Non porteremo le carte, con le perquisizioni ai cancelli si accorgerebbero delle armi e potrebbero arrestarci» lo informai e lui annuì, girando con il mestolo il liquido nella pentola.

Se dovevamo uscire dalla zona di quarantena avevamo bisogno delle carte di identità. Erano elettroniche, mettevano dei punti sopra ogni volta che andavamo a lavoro, per uscire avevi bisogno di dodici punti. Chris faceva dei turni in fabbrica per le armi dei militari, mentre io e Normani ci occupavamo di consegnare il cibo e di aiutare l'infermeria quando avevano bisogno di personale. Ma eravamo anche dei contrabbandieri; davamo carte false, armi, munizioni, sigarette, alcool, qualche volta anche pezzi d'auto. Li scambiavamo con altre cose, ciò che ci serviva in quel momento.
Il nostro ultimo affare era stato proprio con Matthew, lui dava le armi a noi e noi delle carte contraffatte per il suo gruppo. Uscivano per fare affari fuori città e a Boston avevano altri contatti, oltre che alle loro case, quindi si spostavano spesso. Sta di fatto che le armi non sono mai arrivate, non si presentò nessuno all'appuntamento, eppure non era il primo scambio che facevamo con l'uomo. C'era una certa confidenza tra lui e Chris e sapevo per certo che non mi volesse come nemica.

«Oh ma non hanno ancora acceso l'acqua?» chiese Normani, raggiungendoci.

«No, stanno facendo dei test per vedere se sia pura.»

«Porca troia..E li fanno adesso?» domandò ironicamente, prendendo il suo piatto di zuppa e un cucchiaio. Iniziò a mangiare, chiudendo gli occhi ed emettendo un verso d'apprezzamento.

«Ci voleva qualcosa di caldo, eh?» mormorai, ridendo leggermente del suo annuire freneticamente.

Chris ci guardò con l'ombra di un sorriso sulle labbra, finendo il suo pasto con calma.

«Diavolo, sì! Lì fuori si congela.»

Dopo aver lavato i piatti sporchi andai a letto. Accanto a me c'era la mia migliore amica, tra le mani aveva una pistola che conoscevo bene.

«Non mi hai mai detto dove l'hai presa..» sussurrai, voltando la testa per guardarla, mentre il lato frontale del mio corpo era rivolto verso il soffitto marcio della stanza.

Lei non si girò, ma sapevo che mi avesse sentito. Le sue labbra si schiusero, emettendo un sospiro leggero.

«Era di mio padre, la dimenticò a casa quando partì così la presi..Non pensavo mi sarebbe potuta servire, ma era l'unica cosa sua che potessi avere, in più, mi piaceva. Nera, luccicante, all'apparenza innocua, mi affascinava. Quel piccolo oggetto è capace di far tanto male. Ma, come ho detto prima, non ho mai pensato di usarla» parlò con lentezza e io sentii un leggero groppo alla gola quando il ricordo di quella notte cercò di entrare con prepotenza nella mia testa.

«Sai..Mi dispiace, avrei dovuto prenderla prima, ma ero così spaventata..Se l'avessi fatto-», sapevo cosa stesse per dire, così la interruppi bruscamente.

«Non dirlo» ringhiai e, per un attimo, i nostri respiri furono l'unico rumore presente.

«Non è colpa tua, ciò che è successo non è dipeso da te. Vado a preparare gli zaini, domani dobbiamo alzarci presto.»

Andai nel piccolo stanzino dell'appartamento, che avevamo modificato, prendendo le tre pistole, insieme alle armi più pesanti, per metterle all'interno dei tre zaini, i quali si trovavano sul tavolo da lavoro lì presente. Il modello 98 A1 e il fucile 1301 Comp erano miei, invece Normani aveva l'MG42, che era una mitragliatrice, mentre Chris possedeva una 98 FS e un cecchino. Misi una borraccia d'acqua in ciascuno zaino, insieme a degli strofinacci, delle coperte, alcuni attrezzi, tre maschere per l'ossigeno, coltelli da caccia e delle provviste.

Sospirai pesantemente, grattandomi un sopracciglio con nervosismo.
Sentii lo strano bisogno di fare qualcosa, senza sapere davvero cosa in particolare. Respirai profondamente senza però sentire l'aria riempire completamente i polmoni.

Non sapevo se fossi sveglia o se stessi dormendo.

Era mezzanotte, il vento faceva sussultare le finestre, mentre la luna era alta in cielo. Nonostante l'aria fredda, la mia pelle era bollente. Essa non conosceva vie di mezzo: a volte bruciava come l'estate, altre era gelida come le bottiglie di birra, quelle di vetro, nel frigo. L'ultima volta che ne bevvi una fu tre anni fa: io, Normani e Chris eravamo a Los Angeles, era il periodo in cui giravamo per le città vicine. Conoscemmo un ragazzo: Zack. Lui, la sua ragazza e il suo gruppo di amici si erano impossessati di una vecchia villa, uno di loro era riuscito a far funzionare la corrente, così il frigo, l'illuminazione e tutto il resto funzionavano alla grande. Svaligiammo un supermarket e prendemmo anche delle birre per la serata folle che avevamo organizzato a casa loro. Abitammo con Zack e gli altri per circa un mese, poi continuammo a girovagare per l'America settentrionale. Fu il periodo più bello che vissi dopo l'apocalisse. I ragazzi furono ospitali e amichevoli, erano brave persone.

Passai le dita con lentezza sulle due vene visibili delle mie braccia, fino ad accarezzare quelle sulle mani.

Fissai per un po' il vuoto, finché non decisi di andare a letto e provare a dormire. Una volta che la mia testa toccò il vecchio cuscino, chiusi gli occhi, sperando che il carcere affollato nella mia testa si svuotasse.

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