34: "Quasi quattro mesi"

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La prima cosa che avvertii appena aprii gli occhi fu il nulla: era come se mi trovassi sì distesa su un letto, ma in un'atmosfera del tutto diversa da quella terrestre. Non ero mai stata nello spazio eppure la prima cosa a cui associai il mio "stare nel vuoto" fu proprio la totale assenza di gravità delle navicelle che si vedevano spesso nei film fantascientifici.
Provai a muovermi, ma realizzai ben presto che ogni tentativo era assolutamente vano: il mio corpo sembrava non essere più capace di rispondere agli impulsi che io stessa cercavo di imporgli e al solo pensiero che qualcosa fosse andato per il verso sbagliato fui colta da una tremenda nausea.
Mi ritrovai a fissare il soffitto bianco e a pregare che qualcuno si accorgesse che ero sveglia e vigile come mai prima d'allora perché da quanto riuscivo a vedere con la coda dell'occhio non c'era anima viva in quella stanza.
«Millicent!» qualcuno gridò, ma non riuscii a riconoscere la voce. Mi affannai a guardarmi intorno - per quanto incapace di muovermi -, sperando quantomeno di riuscire ad associare un nome al volto della mia interlocutrice e il tutto si rivelò piuttosto vano quando realizzai che pure la mia vista non collaborava granché. Sentii una porta sbattere violentemente contro il muro ed altri passi pesanti avvicinarsi al letto in cui stazionavo.
Per quanto vedessi tutto offuscato, riuscii ad incrociare lo sguardo di due occhi azzurri e mi crollò il mondo addosso quando, anche qui, non riuscii a dargli un nome. Cosa diamine stava succedendo?
Due occhi azzurri come il cielo dopo una tempesta, di un colore che assomigliava molto al pastello che si usa di solito per disegnare il mare... pastello che io associavo alla tranquillità e con cui segnavo gli angoli delle pagine del mio diario arancione su cui scrivevo gli avvenimenti positivi che m'accadevano.
No, non era un diario, bensì un quadernone che mi era stato regalato da Bucky.
Bucky. James. Era lui!
D'improvviso fu come se tornassi a vivere dopo tanto tempo: riuscii a mettere finalmente a fuoco i volti che mi stavano intorno - Bucky, Shuri e T'Challa - e a muovere le dita, poi la mano, il braccio... la sensazione di vuoto che fino a poco prima mi circondava, se ne andò in pochi secondi e potei tirare un profondo respiro di sollievo.
«Non agitarti troppo, aspetta» si affrettò a fermarmi Shuri, spostandosi al fianco del letto. «Devi fare piano e assecondare i miei movimenti.»
Mi circondò con un braccio le spalle mentre con l'altra mano cercò appoggio sul mio fianco sinistro e con delicatezza mi aiutò a sollevare il busto quel tanto da stare seduta; ebbi un giramento di testa, chiaro segnale che era da un po' che non mi alzavo da lì, e la nausea che aveva fatto capolino poco prima si fece risentire.
Lanciai un'occhiata smarrita a Shuri, sperando con tutto il cuore riuscisse a capirmi senza troppe parole, e in risposta mi porse un secchio.
«Non preoccuparti, è normale» mi rassicurò, passandomi una mano confortante sulla schiena, proprio come farebbe una madre.
«Com'è andata?» mormorai e per mia sorpresa scoprii che non avevo la bocca secca come l'ultima volta. Né mi facevano male le mani.
«Diciamo che è andata. Per quanto avessi studiato con attenzione il caso, mi sono resa conto che la situazione era ben più complessa di quanto si potesse immaginare: quell'altra aveva fatto una confusione assurda, ma sono riuscita a riequilibrare il tutto piuttosto bene e, mi duole un po' ammetterlo, senza l'aiuto dello SHIELD non ci sarei riuscita» spiegò con calma e si prese una breve pausa che mi permise di trarre un paio di respiri profondi, consapevole che ero finalmente tornata una persona normale. «Però hai risposto male, immagino che il tuo corpo non fosse pronto ad un nuovo drastico cambiamento genetico e ha opposto molta resistenza alle mie cure, cosa che ci ha spinto a indurti un coma farmacologico... insomma, avevamo bisogno di un controllo totale del tuo corpo e questa era la scelta più opportuna sebbene rischiosa. Ma non devi assolutamente preoccuparti, i medici ti hanno costantemente controllata e non ci sono state complicazioni su questo frangente. Già ti avviso che qualsiasi intorpidimento degli arti è normale, così come eventuali incubi o allucinazioni.»
Avvertii l'acido del conato di vomito pungermi la gola e, in barba ad ogni mio tentativo di trattenerlo, mi ritrovai a rigettare il nulla nel secchio che mi era stato coscienziosamente passato prima. Gli occhi mi si riempirono di lacrime dal bruciore nel petto e il bicchiere d'acqua gelida aiutò ben poco, però mi permise di riprendere un po' di respiro.
«Che schifo» borbottai, storcendo il naso sia per l'odore che per lo schifo che avevo sotto gli occhi.
«Va un po' meglio?» domandò T'Challa, prendendo parola per la prima volta, ma senza avvicinarsi troppo. Lo guardai con la coda dell'occhio, piuttosto incerta riguardo la risposta, però mi ritrovai ad annuire con un mezzo sorriso in viso.
In tutto ciò, non avevo ancora trovato il coraggio di spostare lo sguardo su Bucky.
«Dovremo tenerti sott'occhio per un po' di tempo, appunto per controllare che non ti succeda nulla di grave nel decorso» s'intromise Shuri, facendo cenno al fratello maggiore di tacere. Quest'ultimo le rifilò un'occhiataccia che prometteva tutt'altro che un discorso pacato, ma preferì non aprir bocca, permettendo alla sorella di darmi quelle che speravo fossero le ultime raccomandazioni. «Ma credo tu sappia perfettamente queste cose. Adesso ti lasciamo sola e tornerò più tardi, magari con una buona cena, va bene?»
Mi limitai ad annuire, ben consapevole che non ero stata abbastanza concentrata sulle sue parole per formulare una risposta coerente; ciò che mi premeva più di tutto era parlare con Bucky, tornare a sentire la sua voce calma e poter avvertire ancora le sue dita sfiorarmi la pelle. Avevo bisogno di lui.
Mi fu tolto il secchio dalle mani - forse fu una mossa piuttosto azzardata - e in un batter d'occhio i due fratelli erano fuori dalla stanza. Ora eravamo solo io e lui.
Non feci in tempo ad incrociare il suo sguardo che mi ritrovai stretta in un abbraccio da mozzare il fiato: lasciai che le sue dita affondassero nella carne dei miei fianchi nonostante avvertissi fin troppo bene il fastidio, non lo fermai quando cominciò a lasciarmi piccoli baci dalla mandibola fino all'incavo del collo e sentii il cuore perdermi un battito quando un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra. Non sapevo per quanti giorni ero rimasta più in là che in qua, ma nel vederlo così non potei fare a meno di pensare che non erano stati pochi o, perlomeno, anche se fossero stati due o tre, lui ci teneva così tanto a me da soffrirne comunque.
«Ti riempirei di baci se non avessi appena vomitato» sussurrai, provando ad alleggerire la situazione, e portai una mano alla sua nuca dove lasciai che le mie dita si intrecciassero ai suoi capelli.
«Ti amo, Millicent. Così tanto che non puoi immaginarlo.»
Non era una cosa usuale tra di noi arrivare a certe dichiarazioni: sapevamo che ad unirci non c'era una legame da niente, vivevamo la nostra storia così come la vivono due persone qualsiasi che si amano, ma ci volevano eventi importanti perché si arrivasse a tanto e chiaramente non per mancanza di sentimenti.
Appoggiai la testa contro il suo petto, l'orecchio esattamente sopra il suo cuore, e mi meravigliai della velocità con cui batteva.
«Ti amo pure io, Bucky, e lo sai benissimo che sono la donna più felice della terra con te al mio fianco.»

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora