Epilogo.

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All'incirca un anno e mezzo più tardi...

"Se son rose fioriranno" recitava uno dei proverbi che più mi aveva colpito del libro che m'era stato imprestato da zia Rachel; probabilmente ci avevo passato sopra qualcosa come tre ore filate, incapace di mettere un freno alla mia curiosità, e avevo scoperto un sacco di cose interessanti.
A conti fatti, sebbene fossero passati appena due anni da quando James ed io avevamo cominciato una relazione, le nostre rose erano già sbocciate e, al momento, non potevano essere più belle. Riuscire a ricrearci una vita lontano dagli altri, capire come gestire le nostre giornate nella più completa autonomia e senza tralasciare nulla era stato alquanto complicato, specialmente nel primo mese: in un modo o nell'altro, finivamo sempre con il dimenticarci di accendere la lavatrice o la lavastoviglie, i capi lavati rimanevano nel cestello perché non sentivamo la fine del ciclo di lavaggio, aprivamo vari pacchi di pasta - all'inizio era pressoché l'unico alimento con cui pranzavamo - lasciandoli dunque a metà e la lista potrebbe andare avanti a lungo.
Piano piano, però, eravamo riusciti a calibrare il tiro e a prendere la nostra vita in mano. Fu come tornare al Complesso, ma senza Avengers intorno. Cosa che non era poi così scontata dato che quasi ogni giorno avevamo almeno uno di loro che gironzolava per casa con le scuse più strampalate: si andava da Tony che aveva bisogno di un po' di tempo lontano da qualsiasi preoccupazione a Clint che voleva prendere spunto per il nuovo arredamento del suo salotto, per passare anche da Natasha e Steve che sentivano fin troppo spesso la necessità di prendere un caffè con noi come ai vecchi tempi. Sotto sotto, non mi dispiaceva affatto averli sempre intorno perché con quei piccoli gesti dimostravano quanto davvero ci tenessero a noi due. O forse dovrei dire "noi tre". Difatti, da quando era nato il piccolo Ethan era davvero un miracolo avere la casa vuota.
Quel piccolo scricciolo aveva appena cinque mesi, ma era quanto di più bello avessi mai potuto vedere. Lui era la nostra rosa sbocciata e che con il passare dei mesi sarebbe diventata sempre più bella e forte.
«Amore?» mi richiamò Bucky, sfiorandomi il braccio scoperto con la punta delle dita. Mi riscossi dai pensieri con una scrollata di spalle e mi voltai verso di lui per dargli tutta la mia attenzione: lo scoprii sorridere come un bambino, la cravatta già allentata e la camicia più stropicciata di dieci minuti prima. Cosa m'ero persa in quel poco tempo di tranquillità che m'ero concessa lontana da tutti? Non che fossi esattamente isolata considerato il numero di invitati al matrimonio di Tony.
«Cosa diamine hai combinato?» borbottai, cercando di sistemargli al meglio il nodo della cravatta.
«Lascia perdere questo, vieni che stanno per tagliare la torta.»
Mi prese per mano per obbligarmi ad alzarmi e senza neanche darmi il tempo di sistemare il vestito, cominciò a trascinarmi verso il tavolino dedicato soltanto alla torta e a svariati altri dolci senza zucchero, glutine o uova... Tony e Pepper erano stati così attenti che si erano preventivamente interessati a qualsivoglia allergia potessero avere i loro invitati. Di per sé, erano riusciti ad organizzare un matrimonio davvero stupendo e coinvolgente sotto ogni punto di vista, dalla cerimonia in chiesa al delizioso banchetto terminato da poco.
«A chi hai lasciato Ethan?» gli chiesi mentre cercavamo di sgusciare tra gli invitati nel tentativo di raggiungere un posto in prima fila per assistere al taglio. La risposta arrivò da sé quando, voltando lo sguardo alla mia destra, intravidi Steve parlottare divertito con Ethan: dovevo ammetterlo, mi divertiva moltissimo vedere Captain America andare quasi in brodo di giuggiole ogni volta che aveva la possibilità di passare del tempo con il suo nipotino. «Ehi, guarda là.»
James distolse lo sguardo fin troppo attento dai due neosposi per seguire il punto che gli stavo indicando e mi si sciolse il cuore nel vedere il sorriso che gli incurvò le labbra: se da una parte lo si poteva imputare alla vista del suo migliore amico che coccolava suo figlio, dall'altra sapevo perfettamente che la nascita di Ethan l'aveva aiutato moltissimo, forse più di tutte le terapie mai affrontate negli ultimi anni. Ricordavo perfettamente come un pomeriggio, poco dopo che il piccino gli si era addormentato tra le braccia - cosa insolita di per sé, dato che lo teneva in braccio lo stretto indispensabile perché ancora non si fidava -, con un fil di voce mi disse «Lui è la risposta a tutto» e mi bastarono quelle poche parole per comprenderlo.
«Vuoi che vada a prenderlo?» mi sussurrò e la sala proruppe in una fragorosa risata quando Pepper sporcò il volto di Tony con un po' di crema della torta. Un sospiro mi sfuggì dalle labbra, ma al momento non riuscii - e neanche ci pensai - a dargli una motivazione.
«Vado io, mi sembra che Sam stia cercando di raggiungerci.»
Prima di finire tra le grinfie di un Wilson un po' brillo, mi feci largo tra le persone e raggiunsi a passo svelto Steve, che ora era intento a guardare i camerieri che spronavano gli invitati a tornare a sedere per poter mangiare la torta. Nel frattempo cullava lentamente Ethan, forse neanche consapevole della sua innata bravura nel farlo addormentare sempre fuori orario.
«Tutto bene?» domandai, poggiandogli una mano sulla spalla. Si voltò di scatto in mia direzione, il volto corrucciato in quella che sembrava un'espressione nostalgica e triste, ma abbozzò un sorriso non appena incontrò il mio sguardo. Forse aveva intuito d'esser stato scoperto a rinvangare ricordi lontani e irraggiungibili eppure non disse nulla, consapevole che se avessi voluto sapere qualcosa sarebbe già stato sommerso di domande: avevo capito che con lui serviva tempo, specie se si partiva con il piede sbagliato, e da quanto era cominciata la mia convivenza con Bucky, la nostra amicizia era notevolmente migliorata.
«Cosa potrei desiderare di più?» chiese a sua volta, facendo cenno al bimbo mezzo addormentato.
Be', poteva desiderare davvero molto di più.
Senza che gli dicessi nulla e prestando molta attenzione ai movimenti, mi passò Ethan e potei finalmente tornare a coccolare il mio scricciolo. Spalancò d'improvviso gli occhi assonati, rivelando due iridi azzurre che tanto lo facevano assomigliare al padre, e allungò una mano verso il mio viso, per poi afferrare una ciocca di capelli arricciata con attenzione. Ridacchiai e lui sembrò imitarmi con uno strano verso di gola che poteva vagamente assomigliare ad una risata.
«Sei forse a dieta? Vieni a mangiare la torta, su» lo rimproverai bonariamente, una volta liberati i capelli dalla presa di Ethan, e con la mano libera lo presi per un polso, cominciando poi ad incamminarmi verso il nostro tavolo.
Voleva rimuginare sul passato? Va bene, era la sua vita e non potevo certo impedirglielo, ma rovinarsi la possibilità di passare una giornata tranquilla e senza troppo problemi? Certo che no!

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora