Ti sento e tu?

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Il sole filtra dalla finestra, illuminando la sedia a dondolo, dove la mamma culla la bambina con l'amore e la pazienza che solo una madre ha.
Le canticchia la solita dolce melodia che si propaga per l'ambiente, cercando di calmarla, ma la piccola si dimena in un pianto incessante.
La madre le asciuga gli occhi dicendole: "Tesoro, non piangere, la mamma è qui".
Le accarezza il viso con movimenti rassicuranti ma la mano, con la quale coccola la piccina, è tinta di sangue.
Sangue che si riversa sul viso della piccola, che piange ancora più disperata dal momento che le si annebbia la vista.
Ma non sa che è lei stessa fonte del suo malessere. Mi sveglio di soprassalto, con il cuore che batte a mille, la bocca secca e gli occhi gonfi. Ho pianto anche stavolta, ma come sempre manterrò questo incubo segreto, se è l'unico modo per averla vicina un po'. Sono passati due anni dalla morte di mia madre.

Ho fatto tutto quello che non si aspettavano facesse una ragazzina di vent'anni. Non piangere, non lamentarsi, riprendere a lavorare part-time e iscrivermi all'Università.  E va bene così, mi ripeto. Se hai bisogno di essere fragile, devi trovare qualcuno che sia pronto a ricomporre i tuoi pezzi e diciamo che, mi sono ritrovata a dover ripartire con meno di zero.

Un padre con una crisi nervosa e un fratello minore che scappa di casa ogni qualvolta "erroneamente" si parla di mamma.
"Non c'è tempo per essere fragili", dicevo, fissando la mia psicologa in uno di quegli incontri estenuanti a cui mio padre mi obbligava ad andare. Non avevo granché da dirle.
In fondo era un essere umano come me, non poteva strapparmi dal dolore né tanto meno dirmi come liberarmene.
Ma lei, imperterrita, mi rispondeva con la solita eleganza e quel sorriso conciliante: "Eppure se non piangi, le lacrime ti affogheranno interiormente. Il cuore sanguina e se non gli dai spazio,smetterà di pompare sentimenti".
Ovviamente non le avevo raccontato del mio sogno ricorrente, ma quella constatazione fu per me come ricevere uno schiaffo, un secchio d'acqua gelida.
Mi ero sentita viva per una frazione di secondo e mi chiedevo perché solamente il dolore riuscisse a smuovermi un po' dentro.
Sarebbe stata la mia costante per assicurarmi che ancora provo qualcosa? Sarei stata capace di provare qualcos'altro che mi risvegliasse?
Non lo sapevo da due anni e mi andava bene starmene nella mia corazza di dolore che mi aveva portato in uno stato di quiete terrificante. Eppure era questa tranquillità che mi uccideva. Vivevo, mangiavo, uscivo, sorridevo. Nessuno si chiedeva come stessi realmente. Forse, avevano paura della mia risposta, e ne avevo anch'io. Pertanto andavo avanti per inerzia, cercando di dare il meglio, di realizzarmi.

Dicevo di farlo per me, ma l'ho fatto sempre per Lei.
Ho avuto sempre questa tendenza ad essere una figlia modello, amavo le fossettine che le si formavano sul viso quando sorrideva soddisfatta esclamando: "Ho una figlia troppo brava!"
Quelle fossettine che ho visto sparire e quel sorriso che si è spento troppo in fretta. Però una cosa mi è rimasta. La stessa voglia di sognare. Mi sto facendo in quattro per realizzare il mio sogno: insegnare. Penso sia un lavoro gratificante, è bello spartire le proprie conoscenze. La scuola ti forma come una seconda famiglia e spesso ho trovato rifugio nei libri per sentirmi meno sola.
R

icordo che anche mamma sognava di insegnare. Di origini italiane, durante le vacanze, estive conobbe mio padre, John, e scoppiò la scintilla, scintilla che fu un vero e proprio incendio. Mia madre si ritrovò a vent'anni con una creaturina fra le braccia e dovette seguire mio padre in America. Originario del New Jersey, alto, capelli castani, occhi verdi e molto ambizioso. Tanto da volere con sé mia madre, che lasciò il suo mondo in modo che lui potesse gestire l'azienda di famiglia.  LIl matrimonio si tenne l'anno seguente e tirarono su famiglia al meglio.

All'età di cinque anni fu annunciato l'arrivo di un fratellino, Mark, ma nonostante la mia delusione, dal momento che volevo una sorellina, mi affezionai subito.
La nostra vita scorreva tranquilla, almeno sembrava così perché spesso sentivo mio padre inveire dicendo:"Sei pentita di questa scelta?Io ti ho dato tutto" ma non capivo il senso di quelle parole, pensavo fossero i soliti litigi fra genitori. La domenica, come da tradizione, la passavamo tutti insieme. Mamma aveva preparato un buonissimo pollo al forno, l'odore era inebriante! Mentre l' aiutavo a servire gli altri, sentii un tonfo, il piatto le era caduto dalle mani ed era riversa per terra.

Pensammo a un calo di pressione ma i giorni seguenti era sempre più stanca. Iniziò una serie di controlli e da lì le fu diagnosticata una leucemia allo stadio avanzato. Ebbe inizio così un lungo calvario, durante il quale vidi la ragione della mia esistenza sciogliersi come neve e sparire giorno per giorno sotto il candore delle lenzuola. Mi rimasero impresse le parole che mi disse prima di chiudere gli occhi e non parlare più: "Vivi senza rimorsi, amore mio". Forse ho preso troppo sul serio quelle parole, ma oggi sono qui. Papà si è rimesso a lavorare con fatica e senso del dovere, e beh, con Mark le cose non sono facili, rimane poco in casa e io cerco di tenerlo d'occhio come meglio posso tra un impegno e un altro. Mi sono persa nei miei pensieri, è tardissimo e il telefono squilla! Maledizione! "Pronto? Sì, Mandy arrivo!"


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