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La scuola sembra più vuota del solito, oggi. I miei passi pesanti e strisciati, influenzati anche dalle pesanti Dr Martens ai miei piedi, rimbombano per i corridoi dell'istituto mentre mi dirigo verso la mia classe, la mia 4E. Ancora non ci realizzo che tra un anno me ne andrò, che lascerò i banchi grigio topo traballanti, le sedie marroncine rovinate, le LIM funzionanti a metà e le macchinette del caffé sovraffolate a qualsiasi ora, l'odore di candeggina del bagno e i suoi cartelli per chi lascia i ricordi mal chiusi. Sospiro, non perdendomi in castelli fatti per aria e a grandi falcate supero il centralino dove la mia bidella preferita, Maria, come ogni mattina, inzuppa i biscotti nel latte e fa cruciverba: ha una sessantina di anni, è bassottina, forse mi arriverà alla spalla, capelli corti e mossi, due occhiali quadrati che aiutano i suoi occhi, di cui uno guercio, a vedere meglio. La saluto facendo un mezzo sorriso e abbassando la musica, entrando nella classe. Ci son quasi tutti i miei compagni, ne mancheranno giusto un paio, ma nonostante ciò, son consapevole di essere abbastanza in ritardo. Giulio, dal nostro banco, mi guarda stranito, come se avessi una gemella più trasgressiva e ci fossimo scambiate. La prof di inglese mi rimprovera e il remix che si crea con la canzone di Bad Bunny, mi fa venire, a malincuore, voglia di staccare gli auricolari, cosa che faccio prima di sedermi al mio solito posto.
《Perché sei in ritardo?》domanda il mio compagno, mentre prendo il quaderno ed il libro. Invento palesemente una scusa, non volendo parlare della mia situazione familiare, e rispondere un "presente" energetico quando la prof chiama il mio nome.
《Mi passi latino? Solo lo schema giuro》mi chiede Giulio, ingrandendo i suoi occhi marroni e congiungendo le sue mani sottili. È il mio compagno dal secondo anno, siamo sempre stati insieme, e io mi sono innamorata di lui. No, non c'è nulla di romantico: mi tratta male, si approfitta di me in continuazione e quando sbaglia non chiede scusa manco a pagarlo, insomma il prototipo dello stronzo patentato che, non so ancora come, è in qualche modo entrato nella mia testa. 《No, non ci impieghi nulla anche adesso fattelo da solo》rispondo abbastanza seccata. Sbuffa, tirando fuori il suo solito quaderno rosso e il libro rovinato di latino, chiedendomi ancora aiuto.《Cassandra, oggi cosa ci succede?》domanda retorica la simpaticona, risvegliandomi dai miei sogni. Mormoro un "nulla" seguito da uno "scusi", tornando a posare gli occhi sul paragrafo di Crusoe.
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Le ora passano lente come una tortura. Quando suona l'ultima campana, afferro le mie cose e corro fuori, quasi non saluto il prof che compila il registro e mi precipito all'uscita, respirando a pieni polmoni l'aria più o meno pulita. Cerco la moto nera e scassata di Edo tra la folla, non scorgendola, affero il cellulare, quando un ragazzo magrolino si parcheggia davanti a me e sfila il casco: Lauro. Oggi sembra più rilassato, sempre incazzato, tenebroso e misterioso, ma quasi sereno. Mi fa un cenno della testa, mentre quasi corro verso di lui. Son già le 13.20, tra dieci minuti Elena esce da scuola e devo andare a prenderla come promesso stamattina a mia madre e a lei stessa. 《Ciao》saluto, mentre lui mi porge il suo casco senza rispondere. 《Tu?》domando infilandomelo e montando sulla moto. 《È meglio se lo tieni tu, dobbiamo correre》dice freddo, dando gas e sfrecciando nelle fredde strade di Roma. Mi balza il cuore in petto, ma neanche più di tanto, sono abituata ad Edo. In poco tempo, ci destreggiamo nel traffico e alle 13.32, son fuori dalla scuola elementare blu di mia sorella, a dieci minuti da casa mia. 《Se vuoi puoi andare》dico, rispezzando il silenzio. 《Vi accompagno fino al portone di casa, ti vengo a riprendere alle 5》parla, mentre digita sul telefono un messaggio su whatsapp. Sto zitta e osservo i bambini che escono dall'edificio, fino a quando non scorgo Elena che mi cerca con i suoi occhioni impazienti e felici. Agito un braccio verso l'alto e lei subito corre da me, lo zaino rosa di Hello Kitty è enorme, la disturba in quella già goffa corsa, ma mi raggiunge e mi circona il collo. Achille stacca gli occhi dal telefono e ci osserva, lo guardo con la coda dell'occhio.
《Lui è un amico di Edoardo, si chiama Achille》 li presento, mentre treccine blu smonta dalla moto, non prima di aver messo il cavalletto, abbassandosi all'altezza di mia sorella, tendendole la mano gigante e scheletrica. Elena accarezza il dorso inchiostrato, senza stringerla, per poi guardare negli occhi Achille, che sembra disarmato. 《La moto la prendo dopo》mi avverte, come se mi cambiasse qualcosa, prende per mano Elena e comincia a camminare a qualche metro di distanza da me, chiacchierando senza sosta e ridendo a volte. Al portone, si riammutolisce e torna il solito iceberg. 《5, mi raccomando》 mi ricorda, mentre sorride a mia sorella e fa retro front.

Leggenda al quartiere/Achille LauroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora