3. Pulp Fiction (parte 2)

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Senza più guardare in faccia nessuno filai al piano di sopra, avendo cura di sbattere i piedi su ogni singolo scalino con il preciso intento di far giungere il suono fino a quella testa vuota sormontata da lunghi riccioli biondi. Finsi di non cogliere l'umiliante analogia con i piedi pestati poco prima dalla bambina di dieci anni.

Nella strada verso la mia stanza e quindi alla valigia e alla fuga verso la libertà, mi scontrai con Emma, appena uscita dalla camera di sua madre e cambiata con un paio di jeans corti al ginocchio, una camicetta a quadri ben abbottonata e bretelle con la stampa di galassie e pianeti. «Ciao, James Malcolm Davies.»

Sospirai con la mano aggrappata alla maniglia della mia camera. «Ciao, Emma...»

«Emma Cooper», suggerì mentre allungava con fare serio e distinto la mano per stringere la mia. «Come la mamma e la zia. Posso chiamarti Jamie? So che James non ti piace. Nelle interviste correggi sempre chi sbaglia.»

«Grazie, lo preferirei.» Accettai la sua stretta e la percepii energica, seppur la mano fosse tanto minuta.

«Posso farti una domanda?»

«Dipende», restai sul vago.

«Tu sei stato davvero fidanzato con Gigi Hadid?»

"Perché tutti mi chiedono le stesse cose?" «Preferirei non rispondere.»

Ripresi in mano la maniglia e socchiusi la porta... c'ero quasi... la mia fuga era quasi completa...

«Da dove è nata l'idea di formare la band?»

Alzai un sopracciglio. «Non dovevi farmi una domanda sola?»

«Allora facciamo un paio», fece risoluta, aprendosi in un sorriso. Un passo avanti e poi un altro ancora, e mi trovai intrappolato dai suoi occhioni da cerbiatto. Gli stessi della madre. Pareva così sicura di sé che, nonostante il suo metro scarso, non riuscii a ignorarla.

«Io e i ragazzi ci siamo conosciuti al primo anno del liceo perché eravamo finiti nella stessa classe. Luke era stato bocciato due volte perché era un cazzon...» Mi schiarii la voce e mi corressi in fretta. «Uno stupido. Sai, bambina, studiare è molto importante.»

«Lo so che studiare è importante, infatti io sono prima della classe perché un giorno diventerò astronauta e per farlo dovrò ottenere sempre il massimo dei voti.»

«Wow, hai le idee molto chiare. Io non ero affatto così alla tua età.»

«Ah, no? Alla mia età non pensavi già di diventare cantante e chitarrista?»

«Non proprio, avevo altri progetti che non sono andati in porto. Luke e Adam mi tirarono dentro all'idea della band, a me non dispiaceva, e così iniziammo a suonare nel garage di casa mia. Al tempo ci chiamavamo...»

«I Rock Brothers», mi interruppe, facendo seguire subito un'acuta risata, che presto nascose dietro la mano. «Scusami, è che quel nome era davvero tanto buffo. Preferisco di gran lunga quello che avete ora. Ma continua pure, non volevo interromperti.»

«The Wings nacque un po' per scherzo. Eravamo stati invitati a una festa in maschera organizzata dalla scuola e non sapevamo come vestirci. Al negozio di abiti a noleggio era quasi tutto esaurito, erano rimasti solo i costumi femminili, angeli, fate, e così ci venne un'idea.»

Emma aggrottò la fronte. «In una delle vostre prime interviste, però, avevate raccontato una storia diversa. Dicevate che la musica vi aveva fatto spiegare le ali, e da lì il nome del gruppo.»

«Mai credere a quello che diciamo nelle interviste, soprattutto a quello che dico io.»

«E quindi, siete andati a quella festa vestiti da angeli e fate?»

TOP SECRET. A love storyWhere stories live. Discover now