La corona di vite

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Fiat iustitia ruat caelum

All'alba l'arena svettava sopra il castello come un falco sulla sua preda. L'ingresso si diramava in due corridoi che portavano verso le scale che conducevano ai piani superiori. Aveva una cupola di fuoco sorretta da due statue di sole e luna, colorate dei medesimi colori dell'abito cerimoniale. La neve era aumentata durante la notte, coprendo le sei file di spalti e i disegni di draghi presenti su esse. Il pavimento, di un candido blu cobalto, era attraversato da colate d'oro che unendosi al centro formavano una rosa larga cinque metri per cinque. Clara si chiese, oltrepassando la cupola, come fossero riusciti a costruire tutto ciò in due giorni. Talkera, camminandole accanto, le spiegò che ogni pezzo era magico e che, non appena venivano messi l'uno vicino all'altro, si incastonavano senza difficoltà. L'arena era stata ideata secoli fa dalla regina dei nani, prima che Amnesia rubasse lo scudo segnando l'ostilità tra le due comunità. Nell'anticamera Clara, seduta su una delle poltrone, respirava a malapena, sentendo la pressione del momento aumentare man mano che il sole superava la linea dell'orizzonte tingendo il cielo dapprima di rosso, poi arancione e azzurro. Il suo corpo, pur essendo coperto dall'armatura di ossa e dall'abito cerimoniale, non smetteva di tremare e sudare. Quando quella mattina aveva aperto gli occhi era fuggita dalla stanza di Amnesia, si era preparata ed era andata nell'arena seguita solo da Talkera. Non aveva voluto vedere nessun altro perché non si sentiva in grado di guardare nessuno negli occhi. Leggere in loro il desiderio della sua vittoria sarebbe stato troppo pesante da sopportare, mentre lo sguardo di Talkera era neutro. L'anziana era consapevole più di tutti che nessuno dei due si sarebbe spinto a gettare l'altro fuori dai confini, era però preoccupata della presenza di Tanato nella mente di Clara, per questo, dopo averla fatta sedere sulla poltrona, si era allontanata dalla ragazza per controllare che sua sorella venisse trasportata all'arena con la massima sorveglianza. Raila, infatti, aveva espresso il desiderio di poter assistere alla battaglia e ora veniva scortata fuori dal castello, sopra la collina, fino al suo posto in seconda fila.

«Sei scappata senza rivolgermi parola.» esordì Uriele sedendosi accanto a lei.

I capelli, un po' più lunghi di quando avevano cominciato il viaggio, avevano ripreso la loro ondulazione naturale. Indossava una camicia azzurra tenuta insieme da catene d'oro, un paio di pantaloni neri e scarponi.

«Non volevo vederti, non volevo mi vedessi.» confessò la ragazza, strofinando le mani tra di loro. Il ragazzo le prese tra le sue; le sentì gelide, tremanti e le strinse sperando di infonderle coraggio.

«So come ti senti, perché se sono preoccupato io che dovrò solo assistere, figurati come stai tu... Vorrei che questo giorno passasse velocemente».

Le accarezzò una guancia e le parole parvero morirgli in gola perché nulla di ciò che avesse detto avrebbe avuto importanza davanti all'avversario. A Clara ciò non dispiacque e, alzandosi per evitare il suo sguardo, si andò a sedere sulle sue gambe, cercando conforto tra le sue braccia. Pensò a Ciale, pensò al mare, a casa e cercò di calmarsi. Doveva essere lucida e concentrata, doveva eliminare il peso che aveva in petto e respirare a pieni polmoni. L'uomo le accarezzò i capelli e si sorprese di vedere il fratello fare il suo ingresso con in mano lo scudo. Caos portava una camicia color crema con schizzi neri e sulle spalle aveva poggiato un lungo cappotto nero con dei rubini attaccati lungo le braccia come fossero scaglie di drago. Rispetto al fratello i suoi capelli erano più lunghi e perciò era stato costretto da Talkera a tenerli in ordine con due treccine ai lati che poggiavano sulla barba. Amélie era subito dietro, con i capelli ricci e rossi legati in uno chignon da un'immensa chiave e il corpo era avvolto in un abito verde smeraldo con tante piccole chiavi insetto a decorarlo. La donna face un sorriso di incoraggiamento prima di girare alla sua sinistra, verso il corridoio che conduceva ai piani alti. Eberardo salutò Clara e seguì Amélie a malincuore perché avrebbe tanto voluto rimanere con la ragazza, ma la sua seconda madre gliel'aveva proibito, capendo come potesse sentirsi la ragazza in quel momento.

Cobalto - Pioggia ai viviWhere stories live. Discover now