Fuori dalla luce

40 9 0
                                    

Under the ice

Urla, lamentele e balbettii si levano alti nella locanda. I giganti corazzati cercano di aiutare quelli con gli abiti meno robusti, evitando di schiacciare i pezzi di ferro che sono caduti a terra.
L'unica risata soffocata che si sente è quella di Juan i cui occhi dorati scrutano la stanza.
«Chaos, Nostra chiede contegno» richiede la regina, alzando una mano per ammutolire la locanda.
«Scusa, Nostra, non posso controllarmi» dice facendo spallucce. Guardo Jacopo, che già per la seconda volta in un giorno ha sentito lui e suo fratello venire chiamati con il loro vero nome. Gli occhi azzurri di Jacopo sono belli accesi, ma non sembra molto alterato. Forse perché Morte non si vede da qualche giorno, o forse perché la gigantesca non conosce i loro nuovi nomi.

«Finalmente avete portato a Nostra una degna avversaria. Qui nessuno sa costruire meglio di Nostra, Nostra ringrazia» dice per poi battere un pugno sul bracciolo del trono.
Tutti i giganti nella locanda lanciano urla di felicità che fanno tremare la terra, tranne Lodo che sta con il broncio, inchinato verso la sua regina.
Eberardo urla di gioia insieme ai giganti costringendomi a trattenere una risata.

«Nostra chiede a Lodo di farsi perdonare e di accompagnare i nostri ospiti. Starete qui con Nostra e il suo popolo per tanto tempo!» esclama urlando ancora, scatenando pugni di gioia tra i giganti.
«No, lui no» si lamenta Eberardo, ma io gli do un colpetto sulla mano per farlo zittire.
«Nostra, non possiamo stare per molto. Massimo dopodomani dovrà esserci la prova» ribatte Jacopo, facendo un passo avanti.
«Tu osi dire alla regina quanto tempo dovete stare?» la voce di Lodo è prepotente, come se il gigante fosse pronto a schiacciare Jacopo qualsiasi sia la sua risposta.
«Nostra comanda a Lodo di non immischiarsi. Nostra godrà a pieno della breve presenza degli ospiti e sarà pronta per la prova con gli stessi giri di luna che bastano alla Bilancia!» cinguetta tendendomi una mano. Non capendo le sue intenzioni, le metto al dito quello che ho scoperto essere uno
dei suoi anelli.
«Questo cambia le cose. Nostra porta ancora più rispetto per la Bilancia, sì sì, Nostra non può che proporvi di stare almeno per tre giorni o la prova non verrà fatta» annuisce mentre si guarda le dita.
Jacopo si volta verso di me guardandomi truce, e io spaventata mi nascondo dietro Juan.
«Ora andate a riposarvi, Nostra vuole che veniate portati nella zona più al buio, sì. Lodo accompagnali, fatti perdonare» ulula contenta, indicando le scale a sinistra.

I giganti ci lasciano passare e Lodo borbottando si mette in coda al gruppo. La sua ombra ci fa da guida giù per gli scaloni che ripercorriamo volando. Sta volta vengo portata da Jacopo che sembra starsi calmando pian piano che scendiamo.
«Come mai in fondo? Ha fatto intendere che le piacciamo» faccio notare, ma Jacopo non sembra confuso dalla cosa.
«Sì, le piacciamo. Proprio per questo ci porta in fondo, per lei meno luce si vede meglio è.
È stata lei a decidere che il suo clan doveva andare sottoterra per trovare e lavorare meglio i metalli e per non entrare a contatto con le succube, i jinn, i vampiri e i draghi» mi informa, stringendomi non appena Lodo si avvicina per sentire. Eberardo si frappone tra me e lui, anche se inutile, il suo gesto mi tranquillizza. Quando arriviamo a una certa profondità, la parete di roccia alla nostra sinistra si apre lasciandoci ammirare la specie di alveare che circonda un fosso immenso la cui fine è una spessa lastra di ghiaccio. All'interno dell'alveare ci sono una miriade di stanze, tutte con porte diverse per ogni piano. Scendiamo, scendiamo ancora fino al terzultimo piano dove il fresco della lastra si frappone al calore creando al primo piano una specie di nebbia.

«Ecco qui, stanze sprecate a mio avviso. Si sa che la mia regina vincerà la prova» e così dicendo se ne va. Eberardo gli fa una smorfia per poi sedersi sulla mia testa.
Scegliamo ognuno una stanza, la cui porta è di bronzo con la maniglia d'oro e i cardini d'argento.
Spingo la porta che, fortunatamente, non è chiusa ed entro nella stanza cui letto è enorme: ci potrebbero stare benissimo quaranta persone. Getto lo zaino vicino al comodino che è alto quanto due camini e, con un balzo, mi aggrappo alla coperta del letto e mi arrampico fino a sopra il materasso. Quando raggiungo la vetta mi sdraio a pancia in su, guardando l'immenso tetto rivestito di placche di metallo, con un lampadario già acceso al centro. La stanza non è molto colorata, ma in compenso è simile a un appartamento: c'è un bagno proprio accanto all'ingresso e a sinistra del letto una porta si affaccia alla cucina.
Mi sento come un pulcino in una casa normale.
«Io vado a farmi un giro. Se quel bruttone torna dimmelo che gli infesto la stanza» mi raccomanda Eberardo e, quando annuisco, fluttua intorno al letto per poi andarsene.
Chiudo gli occhi e, quando sto per addormentarmi, sento qualcuno respirare pesantemente vicino al letto. Spaventata rimango con gli occhi chiusi, paralizzata sul materasso.

Cobalto - Pioggia ai viviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora