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Misantropia

/ mi·ṣan·tro·pì·a /
sostantivo femminile

Sentimento di avversione nei confronti dei propri simili, per lo più provocato dall'incapacità di prendere parte alla vita attiva e accompagnato da uno scontroso desiderio di solitudine.


ᴘʀᴏʟᴏɢᴏ


[ 🌿 ]

Osamu Dazai è un uomo ordinario, a tratti noioso.
Ha ventisei anni ma si comporta come se ne avesse molti di più e per giunta anche portati male, non parlo al livello estetico, da questo punto di vista è davvero fortunato: oramai ha perso il conto di quante giovani donne, e giovani uomini, gli siano caduti tra le braccia incantati dalla sua pelle pallida, dai suoi morbidi e scompigliati capelli castani.
Per non parlare di coloro che si sono lasciati ammaliare dalla sua sicurezza, o dal suo modo di fare sempre distante e perso in qualcosa d'inafferrabile per loro.
È indiscutibilmente bello, ma come tutte le cose belle è effimero e decrepito all'interno.
Ogni mattina la sveglia di metallo accanto al suo letto matrimoniale trilla, con un rumore martellante, alle sei spaccate.
Dazai si alza ed in quindici minuti è già pronto e vestito di tutto punto.
Entra in cucina mettendo su il suo caffè, prepara lo stesso identito caffè nero, appena tiepido e senza zucchero, da anni.
Lo beve svogliatamente mentre fissa un punto indistinto della palazzina, tinta di grigio e dalle finestre opache, davanti alla sua.
Quando esce di casa, precisamente dopo la terza mandata con cui si chiude la porta alle spalle, sono le sei e venti.
Ogni dannatissimo giorno.
Prende il tram numero trecentonove ed arriva al lavoro per le sei e quarantacinque.
Una volta varcata la soglia dell'imponente palazzo, dove si trova il suo ufficio, il suo severo collega Kunkida lo aspetta a diciannove passi dall'ingresso per rimproverarlo delle proprie inadempienze.
Al pronunciare della bugia:
"io con te non voglio più avere niente a che fare, domani ti aspetti da solo."

l'orologio da polso di Dazai, con il cinturino in pelle, segna le sei e cinquantotto.
Alle sette e sette entra nel proprio ufficio al terzo piano, si siede alla sua anonima scrivania numero quattro e comincia a lavorare, o per meglio dire finge di farlo: impiega il suo tempo provandoci con la signorina pudica della postazione tre; prova ad impilare più oggetti possibili su di loro cercando di battere il proprio record personale; chiama il novellino dai capelli bianchi facendogli svolgere una serie di compiti inutili, per il puro gusto di vederlo faticare; va a fare visita allo strano dottore in infermeria, lamentandosi di un dolore alla schiena che in realtà non esiste.
Durante la pausa pranzo declara, senza remora alcuna, tutto il suo astio verso il collega del piano di sopra, il quale ricambia le sue frecciatine con lo stesso odio, facendole sembrare più cattive per via del suo disgustoso accento russo.
Così continua la giornata di Dazai fino alle nove di sera, quando può finalmente tornare a casa.
Una volta uscito dall'ufficio prende il tram numero sessantadue e per le nove e trentaquattro è già con le scarpe dentro al proprio appartamento.
Cena con il primo pasto surgelato che riesce a trovare, lo cuoce nel microonde fregandosene del fatto che diventerà gommoso e insipido, quasi quanto la sua condotta nel mondo.
Mangia svogliato sul tavolo della cucina, ridicolmente piccolo, lasciando poi il piatto vuoto e la forchetta sporca a loro stessi, senza concedersi nemmeno il lusso di un bicchiere d'acqua.
Va poi in salotto dove prende il pacchetto di sigarette che tiene sul tavolo, in seguito esce sull'angusto balconcino, poco distante da quello dell'appartamento disabitato accanto al proprio.
Una volta finito di fumare rientra in casa, si sistema, e quando spegne la luce, accanto al proprio letto, la sveglia segna le dieci e mezza.
Sono anni che Dazai vive in questo eterno ritorno, senza aver mai sgarrato un solo giorno.
Nemmeno oggi, ventitrè gennaio dell'anno corrente, ha cambiato qualcosa eppure una grande variante è arrivata nella sua vita creando un concatenamento di eventi disastrosi, per i suoi canoni.
Difatti alle nove e trentaquattro non è nel suo scialbo appartamento, bensì sta osservando una figura che mai aveva visto sul proprio pianerottolo: nel modesto monolocale accanto a quello di Dazai si sta trasferendo un nuovo inquilino.
Quell'appartamento è vuoto da quando il castano ne ha memoria, nessuno si era mai azzardato a comprarlo e a lui non era mai dispiaciuta quella situazione.
Il nuovo arrivato è basso, al punto che Osamu deve chinare un poco la testa per guardarlo.
Indossa un orrendo e sformato cappello nero sopra ai lunghi capelli rossi, arricciati sulle punte; poggiato sulle spalle ha un cappotto sgualcito dal viaggio, in alcuni punti è scucito e la stoffa sui gomiti sembra essere molto usurata, I fili sull'orlo dei polsini sono tirati ed escono fuori come dei buffi pennacchi che gli solleticano i dorsi delle mani, aggraziate e minute.
Il ripugnante cappotto è slacciato, nonostante fuori sia inverno e la gente cammini avvolta in numerosi strati d'indumenti caldi.
Lo sconosciuto ha con sé una valigia di rigida plastica blu scuro, dalla ruota destra difettosa, tutti i suoi averi sono stipati in quel misero bagaglio che sembra persino vuoto, non un'altra borsa o zaino.
Il nuovo inquilino tira fuori dalla tasca un mazzo di chiavi argentee, semplici, e con il volto basso le infila nella toppa della serratura:

-Benvenuto, io sono Osamu Dazai, il tuo nuovo vicino.-

Si presenta, anche se non è di certo compito suo farlo.
Adotta un tono fintamente cordiale, come suo solito, alla gente piace quando parla così.
Le persone non capiscono di essere prese in giro da lui, addirittura si sentono lusingate da questa gentilezza che invece è il travestimento del più profondo disgusto nei loro confronti.
L'estraneo gira la chiave con movimenti secchi facendo scattare la serratura, apre la porta nel silenzio facendo scivolare la valigia all'interno dell'appartamento:

-È inutile che ti dica il mio nome, è meglio che non ti affezioni.-

Un brivido corre lungo la spina dorsale del castano quando sente risputarsi contro lo stesso tono, percependone sottopelle la falsità:

-Se ti comporti così mi è impossibile non farlo.-

Lo canzona rispondendogli sarcastico.
Il rosso, se è possibile, si fa ancora più piccolo incassando la testa nelle spalle, si volta un secondo verso di lui osservandolo con le proprie iridi cerulee, che sembrano quasi riflettere la poca luce presente nella semi-oscurità del pianerottolo
Osamu trattiene il fiato mentre lo sconosciuto pronuncia un breve e quasi impercettibile:

-Allora mi dispiace per te.-

Magari è solo la sua immaginazione ma tanto non ha importanza, poichè l'altro è ormai sgusciato rapidamente oltre la porta blindata, lasciandolo nuovamente solo.
Il castano apre la propria porta entrando nel proprio appartamento, pensieroso.
Era stato solo un incontro con uno sconosciuto, dovrebbe essere tutto tranne che scosso: curioso, infastidito, indifferente, ma non scosso.
Muove un poco la testa e si da dello stupido mentre l'orologio sul tavolo in camera da pranzo segna le dieci e mezza.
Per la prima volta è in ritardo con il suo programma.


Angolo autrice
Fa schifo ma, vi giuro, poi migliora.
Ecco a voi il prologo della mia nuova Soukoku.
Vi anticipo che non sarà una di quelle fanfiction lunghissime con trenta o quaranta capitoli, nel mio cervello non dovrebbe superare i dieci.
Questo capitolo è noioso, lo so
(La descrizione della "giornata tipo" di Dazai è uno strazio, seconda solo alle routine quotidiane di Murakami)
Però mica è un film di Michael Bay, date del tempo a questa trama e si svolgerà in tutta la sua """magnificenza""".
Comunque, detta la mia solita marea d'inutilità, spero vi sia piaciuto.
Ve se ama.
Teddyhuman

― 𝐌𝐢𝐬𝐚𝐧𝐭𝐡𝐫𝐨𝐩𝐲 *̥˚ 𝐬𝐨𝐮𝐤𝐨𝐤𝐮حيث تعيش القصص. اكتشف الآن