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ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ I

[ 🌳 ]


La luna è alta nel cielo e l'orologio appeso al muro, tinto di bianco, segna le undici.
Il salotto è buio, fatta eccezione per una piccola abat jour poggiata sul tavolo di vetro, quella fioca lucerna basta appena per illuminare le carte del castano, che rassomiglia ad un puntino offuscato in mezzo all'oscurità della notte.
I mobili di legno scuro non fanno altro che incupire l'aria così come le piante secche, poiché mai curate, poste sopra ad essi.
Al lato destro del tavolo, a pochi metri dalla piccola finestra in legno pesante, è seduto Dazai, il giovane dà le spalle al muro e si tiene la testa con una mano poggiata sulla propria tempia, sbuffando vistosamente.
Il volto stanco e seccato si riflette sul vetro lucido del grande tavolino.
Sta finendo di compilare delle scartoffie noiose e sporche di cappuccino per il suo lavoro, mai disgrazia simile si era abbattuta sulle sue gracili spalle, per fare quello stupido compito sta perdendo preziose ore di sonno che gli serviranno l'indomani mattina per faccende di vitale importanza, come l'ignorare Kunikida.
Sta per riempire l'ultima riga tratteggiata sui documenti quando una luce, nell'appartamento accanto al suo, si accende d'improvviso.
L'impiegato la può vedere grazie al riflette di essa su una finestra chiusa, polverosa ed opaca, del palazzo su cui affaccia il proprio balconcino.
Qualche fiocco riverbero della lampadina, a basso consumo ed arancionata, illumina appena anche il suo balcone.
Dazai si sporge dalla sedia di metallo verde sui cui sta, facendola dondolare sulle sottili zampe posteriori con l'intento di vedere meglio la proiezione sul vetro.
L'immagine che gli si prospetta davanti è, naturalmente, sfocata e distorta ma si riesce comunque ad intuire che la stanza da cui proviene il fascio di luce si tratta di una cucina.
Sul piano cottura di essa siede l'esile figura del proprio vicino: i lunghi capelli rossi, che gli ricadono sulle spalle e sulla schiena in dolci boccoli, ora sono sciolti e privi della copertura del cappello, in una mano ha una tazza di chissà cosa mentre l'altra sta armeggiando con uno strumento abbastanza ingombrante e di forma quadrata.
Osamu strizza gli occhi nel tentativo di comprendere di cosa si tratti, o probabilmente per distogliere lo sguardo da quei boccoli fulvi che tanto lo hanno affascinato anche al loro primo incontro.
Tutti quegli anni di solitudine lo hanno ridotto, oltre che ad un uomo arido e disincantato, anche ad un impiccione degno delle peggiori piazze di paese.
Si alza dalla sedia per avvicinarsi al riflesso quando una musica nostalgica e dolce parte d'improvviso, subito dopo un rumore simile ad un gracchio strozzato.
Quell'oggetto è un giradischi, la sorpresa del castano nel sapere che qualcuno lo usi ancora è leggibile sul suo volto, non ne vedeva uno da quando era bambino.
La figura nel riflesso si rilassa appoggiando la schiena agli sportelli della dispensa dietro di se, anche Dazai trova una sorta di pace mettendo da parte le scartoffie ed alzandosi dalla sedia, prendendo una sigaretta dal pacchetto rosso scuro che tiene in tasca.
Si muove piano e silenziosamente verso il proprio balconcino, nella sua mente frulla l'idea che il benché minimo rumore possa far scappare l'altro come un gatto randagio ed impaurito.
Si porta il filtro tra le labbra morbide mentre con il pollice fa schioccare la rondella dell'accendino verde, con sopra disegnato un orrendo orsetto di pezza.
Una piccola fiamma arancione, blu verso il fondo, risplende ed oscilla ora nel buio pesto che alberga il lato sinistro del suo balcone, nella finestra davanti a sé può vedere riflessa la minuta fiaccola ed il rossore dell'estremità incandescente della propria sigaretta accesa.
In sottofondo c'è ancora la stessa canzone lenta, dolce e mesta, che lo ha distratto dal suo lavoro, la voce registrata viene accompagnata da una appena più bassa ma comunque gradevole: il suo vicino sta cantando in piena notte e nella testa di Dazai sta cantando per lui, che è il suo unico spettatore nascosto ma partecipe.
Aspira il fumo con avidità, lo sente scorrere lungo la gola scaldandola come se potesse qualcosa contro il freddo, poi lo getta fuori con lentezza e calma.
La testa gli gira mentre le candide spirali di fumo e condensa si contorcono in figure astratte, che sembrano arrampicarsi sul riflesso dell'estraneo intrecciandosi con il suo corpo, magro e sinuoso.
Piega il busto in avanti poggiando gli avambracci sul davanzale in cemento grezzo, tra le dita magre della mano destra tiene la sigaretta accesa mentre si gode quei sussurri appena percettibili, che vanno a tempo con una canzone a lui sconosciuta.
È passata una settimana da quando il rosso senza nome è "entrato" nella sua vita, quell'estraneo ha spesso infestato i suoi pensieri e Dazai, senza volerlo, si è ritrovato a fantasticare sui suoi possibili trascorsi e sul perché di quelle frasi tristi.
Gli striscia sotto pelle la sensazione che quel ragazzo condivida con lui l'inadeguatezza nei confronti dell'umanità, crede che entrambi non riescano a trovare il loro posto nel mondo limitandosi a vivere passivamente, lasciando che le loro gambe si muovano per inerzia, sospinte dalla folla di esseri umani che li circonda.
Chissa se anche il suo vicino ha mai baciato solo per provare un minimo di passione, trovandosi invece avvolto dalla sua copia plastica e fredda.
Forse anche al rosso qualcuno lo è andato a trovare, aprendo la porta della sua stanza dalle pareti verdi, finendo per trovarsi in un incubo dove lui, in quanto padrone di casa, ha tirato avanti con i denti ed il sudore una conversazione apparentemente normale che verteva su futilerie e chiacchiere vuote: mirate solo al dimostrare che anche lui era avvezzo alla vita mondana, quando in realtà si trova spesso piegato su se stesso, rigettando bile acida per colpa dei suoi tristi simili.
Lui è certo di essere compreso, capito, da quell'estraneo che adora e segue ciecamente lo stesso male di vivere che ha reso Dazai uno squalificato.
Il vento freddo e sottile della notte smuove i corti ciuffi castani che gli solleticano la nuca, il giovane continua cupidamente a fumare senza lasciare nemmeno un filo di fumo cinereo a quel vento.
Un accordo di chitarra acustica sancisce la fine della canzone malinconica ed un assolo di batteria preannuncia l'inizio di un'altra, oramai Osamu si è arreso all'idea di passare questa notte così: a fumare sigarette dal gusto acre, ascoltando un vecchio giradischi ed una voce soavemente stanca di un uomo che sembra conoscere da sempre, senza nemmeno saperne il nome.

Angolo autrice
Guardate che brava che sono: ho aggiornato.

Questo capitolo è di transizione ma comunque mi serve da trampolino di lancio per buttarmi di sotto e magari, se m'avanza tempo, anche per arrivare al nocciolo della questione.

Nella prossima parte avverrà l'evento scatenate che permetterà lo svolgimento della trama

(Dio sempre grazie per rendere breve il supplizio di chi sta leggendo questa storia.)

Detto questo: lasciate un voto se vi sta piacendo e ve se ama.

P.s. La canzone che mette Chūya, nel mio cervello bacato, è "Letter From Last Summer" di Charlie Burg.
P.p.s La parte riguardante l'ipotetico ospite, e la casa dalle pareti verdi, l'ho un po' ripresa e modificata da Le notti bianche di Dostoevskij.

Teddyhuman

― 𝐌𝐢𝐬𝐚𝐧𝐭𝐡𝐫𝐨𝐩𝐲 *̥˚ 𝐬𝐨𝐮𝐤𝐨𝐤𝐮Where stories live. Discover now