Capitolo 14 ➳ "Ti odio"

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Lo avevamo fatto. Io e la psichiatra lo avevamo fatto. E aveva fatto anche molto male. Non piansi, ma sicuramente mi portò molto fastidio come mi toccava come se fossi un semplice oggetto sessuale.

La stanza psichiatrica era dotata di un'altra porta a parte l'entrata principale, e lì, dietro quella porta, c'era il bagno. Un sogno. Era pulito, ordinato... e... rilassante. Non eri costretto a fare la doccia fredda com'era solito fare al campo di concentramento.

Stavo facendo la doccia, nel suo bagno privato, dove riflettei mentre mi lavavo accuratamente. Avrei sentito la mia famiglia, avrei pure mangiato e non avrei sentito quel liquido viola entrare nel mio corpo. Quello era un sogno. O almeno, quello era il sogno di chi viveva in un campo di concentramento come quello.

Forse qualcuno mi direbbe : "Hai preferito perdere la tua verginità per ste cazzate? Che troia", ma vorrei vedere quel qualcuno chiuso lì dentro, senza mangiare, con un liquido viola che la psichiatra ti vuole iniettare, e delle docce quasi sempre piene e quindi spesso sei costretto ad aspettare il giorno dopo per lavarti. Per di più, dovevi lavarti nudo, davanti a tutti. Quello mi faceva sentire davvero troppo a disagio, fino a voler piangere. Non ero abituata a mettermi così in mostra.

Quando uscì dalla doccia mi misi la mia solita divisa marrone, prima di sistemarmi allo specchio.

Finalmente... mi sentivo me stessa. Finalmente, mi sentivo normale. Una normale cottadina pulita e ordinata.

Quando finì di prepararmi sorrisi come una stupida allo specchio : dopo la doccia avrei chiamato la mia famiglia. Quello era un sogno. Un bellissimo sogno. Tremavo per l'emozione.

Feci per aprire la porta, ma un botto, che sembrava essere un calcio, si scontrò con la porta principale, facendomi saltare in aria.

Rimasi in bagno, intimorita da qualcosa che non sapevo descrivere. Quella situazione però mi fece barcollare per la paura. Mi aveva ricordato come i poliziotti avevano bussato forte alla mia porta, spaventando mia sorella e interrompendo la mia playlist rock.

Prima che potessi accorgermene, inziai a piangere, indietreggiando e inciampando sul tappeto. Cadendo a terra di culo.

Quella situazione mi aveva fatto venire in mente il primo giorno in cui venmi deportata al campo di concentramento. E proprio per quel motivo singhiozzai e tremai.

Sentì altri botti, finché la porta si aprì e sentì una voce roca riecheggiare nell'ambiente.

"Camila è qui senza motivo" disse Lauren. "Deve dimetterla"

Il mio cuore si fermò.

No, non doveva star succedendo.

Non avrei chiamato la mia famiglia? Al solo pensiero piansi più forte.

"Cosa?! No!" urlò Keana.

"Ho detto" sentì dei passi decisi. "Deve. Dimetterla" sentì un pugno contro qualcosa. Forse la porta o la scrivania. "Ty l'ha portata qui senza motivo, e io lo so, lo conosco" disse Lauren.

Keana rimase in silenzio.

"Dov'è?" domandò Lauren, e sentì i suoi passi sempre più decisi e forti avvicinandosi alla porta. "Camila sei qui dentro?" domandò, ma io per i singhiozzi rimasi in silenzio. "Camila" mi richiamò. "Esci. Apri la porta" fu più decisa nel tono.

"No!" mi feci scappare. Sentì i suoi respiri più pesanti.

"Te lo ordino!" urlò e io nascosi la mia testa tra le gambe.

Non avrei sentito la mia famiglia. Lauren aveva rovinato tutto con il suo arrivo. Tutto.

"Ho detto di no!" urlai più forte, ancora con la testa tra le mie gambe.

"Non farmi sfondare la porta!" sbraitò, colpendo il legno con una forza così incredibile da far cadere le chiavi che erano poco prima nella serratura

Pochi minuti dopo, fui costretta ad aprire. I suoi occhi erano furiosi, mentre i miei stanchi. Quando notò le mie lacrime il suo sguardo si ammorbidì inconsapevolmente.

Keana, oltre le sue spalle, si trovava contro il muro, con le braccia incrociate mentre guardava la scena annoiata.

"Che succede?" domandò, con una voce quasi calma, anche se non del tutto. "Cosa succede, Camila?"

"Hai rovinato tutto! Ti odio!" urlai.

Il modo in cui era entrata lì dentro, e il motivo per cui era entrata, mi aveva fatto stare male. Mi aveva ricordato il mio primo giorno nel campo di concentramento, e aveva spezzato la mia opportunità di chiamare la mia famiglia.

"Cosa?! E io che sono venuta qui per salvarti!" urlò, fuori gangheri. "Dovresti soltanto ringraziarmi!"

Io, stanca del suo comportamento, la spinsi, sorprendendola e facendole perdere per qualche secondo l'equilibrio. Poi scappai da lì mentre la sua voce da dietro mi intimava di fermarmi se non volevo morire.

*

Che ne dite, un momento Camren lo mettiamo o no? Almeno una gioia...

Homophobia ➳ CamrenWhere stories live. Discover now