Capitolo 56

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Era dall'omicidio di Chicano nel giugno del 1999 che il Quartiere non era stato testimone di una morte così brutale, efferata e crudele come quella di Sara.
La sua fine aveva lasciato tutti sgomenti, e perfino durante il funerale, celebrato da un commosso don Fernando, tra i singhiozzi disperati della signora Di Stefano e il piango sommesso di suo marito e di Livia, c'era ancora chi si chiedeva perché era stato fatto un gesto simile a una persona così dolce, ingenua e sognatrice come Sara.
Laura, Giovanni e i loro figli erano tra le prime file, gli occhi pieni di lacrime; anche Antonio e io eravamo presenti con Dario e Giulia, ma non avevamo la forza di portare anche i bambini.
Quando tutto finì, mia sorella prese da parte me e Livia per parlare della piccola Elena, la figlia di Sara.
《È stato Italo, vuole prendersi la figlia...》affermò.
《Ma come fai a esserne così sicura?》domandò Livia, ancora scossa.
《Era strana, l'ultima volta che ci siamo viste. Diceva di voler andare a Londra, da Elena. Ma io me lo sentivo che c'era qualcos'altro...》sospirò Mia sorella.
《Beh, la sua morte è stata davvero strana...》concordai.
《Qualsiasi cosa ci sia sotto, quella bambina non deve sapere niente su chi sia suo padre》replicò Livia.
《Italo può venirlo a scoprire da solo in qualsiasi momento, che ha una figlia》ricordò Laura.
《Sì, ma noi dobbiamo fare di tutto per proteggerla. E se questo consiste nel tacerle una verità pericolosa, preferisco continuare a tacere》concluse la moglie di Claudio.
A quel punto Laura e io non sapemmo più come rispondere. Forse aveva ragione lei, bisognava proteggere Elena, assicurandoci che continuasse ad avere una vita normale e che non si ritrovasse erede di un impero illegale.

                                   ***

I giornalisti e la polizia invasero il Quartiere per i mesi avvenire.
Ci facevano un sacco di domande, ci tenevano sotto controllo come se Sara l'avessimo uccisa noi.
A capo della Squadra Omicidi che veniva a torchiare quotidianamente le nostre famiglie c'era Guglielmo Fontana, ex compagno di liceo di Laura e Antonio, desideroso di diventare commissario già dai tempi della scuola; era affiancato dall'ispettore Emanuele Fortis, il suo braccio destro, e dalla brillante ispettrice Alba Pellegrino, che sotto l'aspetto angelico e delicato nascondeva un carattere tosto.
Tutti sostenevano di non sapere niente, di non immaginare nemmeno il triste destino a cui sarebbe andata incontro la giovane Di Stefano; non collaboravano granché, ma Fontana e i suoi non temevano né l'omertà né tantomeno l'aspetto minaccioso degli abitanti del Quartiere: entravano nei casermoni senza paura di essere aggrediti, entravano negli appartamenti anche quando si sentivano dire "fanculo" da dietro gli usci. Non se ne andavano senza aver ottenuto una risposta, anche se mezza, opinabile e tirata fuori con le pinze.
Eravamo degli ossi duri, ma Fontana, Fortis e la Pellegrino erano più duri di noi. Non ce ne saremmo liberati facilmente.
Questi interrogatori erano talmente stressanti che un giorno Laura fece un'osservazione che mi spiazzò.
《Bella testa di cazzo, Sara. Le avevamo organizzato la copertura perfetta proprio per salvarla da Italo, e invece è voluta tornare dritta fra le sue braccia, finendo poi com'è finita. Mannaggia a lei. Se ne andasse a fanculo pure la sua anima!》sbottò, rimarcando il fatto che la nostra amica si fosse andata a cercare la morte di sua spontanea volontà.
《È un modo brusco per dire che ti dispiace?》domandai allora.
《No, non mi dispiace. Non ci si deve dispiacere per chi si cerca la morte con le proprie mani》mi rispose.
Proprio come pensavo. Sputava fango su Sara per impedirsi di soffrire per la sua sorte. Allora cambiai discorso.
《Però, Fontana ne ha fatta di strada...》osservai.
《È un tipo in gamba. Lo è sempre stato. Io l'ho sempre saputo che aveva la stoffa》affermò lei.

                                   ***

Passarono i mesi, la storia della morte di Sara fu ben presto sostituita da un altro argomento: la fine del mondo.
Qualche anno prima aveva cominciato a circolare una voce riguardante un'antica profezia Maya, la quale annunciava una serie di catastrofi naturali che avrebbero portato all'epilogo dell'universo conosciuto il 21 dicembre del 2012.
Un tema simile non era nuovo a nessuno: ne erano un'esempio l'Apocalisse biblica, o l'Armageddon nella cultura nordica; ma nessuna versione aveva mai stabilito la data esatta di questo evento, e il fatto di scoprire che stavolta c'erano un mese, un giorno e un anno precisi procurava il terrore a molta gente, anche ai più acculturati e scettici.
Inoltre nei primi sei mesi del 2012 si verificarono due avvenimenti in particolare: a gennaio la nave da crociera Costa Concordia si schiantò sull'Isola del Giglio per colpa della disattenzione e della codardia del comandante Schettino, troppo impegnato con la sua amante per preoccuparsi di ciò che stava accadendo; a maggio un terribile terremoto fece tremare l'Emilia Romagna, dando a tutta l'Italia lo stesso senso di smarrimento e incertezza già conosciuto col sisma de L'Aquila tre anni prima.
Questi eventi, accompagnati alla ricorrenza del centenario dell'affondamento del Titanic nel 1912, infondevano nei cuori di tutti l'idea che si trattasse di segnali della fine del mondo.
Ancora oggi, a cinque anni di distanza, mi chiedo come fosse possibile che nel 2012, al tempo del metodo stamina e dei primi registri scolastici elettronici, la gente potesse ancora credere a una profezia antica di 2000 anni per cui il mondo sarebbe finito alle 11:11 del 21 dicembre e dalla quale si sarebbe salvato solo il paese di Cisternino in Puglia, dove ci si stava trasferendo in massa.
Ma dove c'è ignoranza, c'è sempre spazio per la paura.

                                  ***

Nonostante le dicerie e l'agitazione cercavamo tutti di andare avanti, di continuare le nostre vite come se nulla fosse; questo ci aiutava a mantenere ai margini quella percentuale di dubbio sulla veridicità della profezia Maya che combatteva per insinuarsi anche in menti razionali come le nostre.
In particolare il mio sguardo si soffermò sul comportamento di Giulia: negli ultimi tempi era distratta e distante con Antonio, con i figli Salvatore e Virginia e con gli amici, perfino me e Dario.
Usciva spesso, nessuno sapeva dove andava; il giovane Leonardi, ormai affermato professore di Letteratura Inglese alla Sapienza, stava tutto il giorno all'università, e impegnato com'era tra lezioni, ricevimenti e appelli ordinari e straordinari, aveva trascurato non poco la sua famiglia.
Una volta che si accorse degli atteggiamenti di sua moglie, decise di esternare a me e Dario i suoi dubbi: temeva infatti che Giulia avesse un amante.
《Come sarebbe a dire un amante?》domandai.
《Giulia, poi... Stravede per te!》mi diede manforte mio marito.
《Vi dico che è così... È strana, sfuggente, sta sempre fuori casa, perfino Salvatore e Virginia si sono accorti che la loro madre non è più la stessa e io... Beh, non so più che cosa pensare, non mi viene in mente un'altra spiegazione...》rispose Antonio.
《Deve esserci... Non so quale, ma deve esserci》promisi. In realtà non sapevo neanche da dove cominciare a cercare un modo per rassicurarlo, così ricorsi a Laura.
《Non è un tradimento, il suo》affermò mia sorella.
《E come fai ad esserne sicura?》le chiesi.
《Le donne che tradiscono hanno un altro atteggiamento. Prima o poi scappa fuori un abito elegante, un gioiello, un modo di truccarsi, un messaggio che prima o poi le fa sgamare dai mariti. Giulia invece è sempre uguale a sé stessa》mi spiegò. Fu così che decise di seguirla, coinvolgendo in questo assurdo pedinamento anche me: vederla entrare al Policlinico Umberto I ci spiazzò e acuì la nostra curiosità, tanto che poco dopo entrammo anche noi. La seguimmo da lontano per i vari reparti, e quando vedemmo che stava entrando ad Oncologia rimanemmo senza parole e capimmo tutto: la distanza, la preoccupazione, il tempo fuori casa... Giulia aveva un tumore, ma dovevamo scoprire quale.
La seguimmo fino ad una stanza dove c'era il medico che l'aveva in cura, origliammo da dietro la porta: si trattava di un cancro al seno.

                                  ***

Laura disse che dovevamo aspettarla fuori dall'ospedale per avere spiegazioni: non ero d'accordo perché la sua mi sembrava quasi una mancanza di tatto, ma lei rispose che in questa situazione Giulia non poteva assolutamente permettersi di fare l'egoista.
《Ragazze, cosa ci fate qui?》domandò la ragazza, trasalendo non appena ci vide.
《Sappiamo tutto》esordì mia sorella.
《Tutto tutto?》fece Giulia.
《Ogni minimo particolare. Ti abbiamo dovuta seguire proprio perché non ci davi alcuna spiegazione》rispose Laura.
《Perché non hai detto niente a nessuno?》intervenni.
《E che cosa avreste potuto fare? La chemio mi sta distruggendo, perdo i capelli a ciocche e ogni sera, quando chiudo gli occhi, non so se mi sveglierò la mattina dopo...》ribattè lei piangendo.
《Ti saremmo state vicine, e ti avremmo aiutato a trovare le parole giuste per dirlo anche ad Antonio e ai ragazzi...》replicai.
《E in che modo? Hai idea di quello che succederebbe? Farei loro solo pietà e io non voglio questo...》affermò la giovane Serra.
《A nessuno piace fare pietà, Giulia. Ma quando ci si sposa, si condivide tutto, nella buona e nella cattiva sorte.  Altrimenti sono solo parole al vento. Antonio deve saperlo, è un suo diritto; è un uomo buono, non ti lascerà mai da sola. Una nostra amica è morta uccisa da un uomo che non la voleva, tu invece sei fortunata perché hai un marito che farebbe di tutto per te. Parlagli perché se gli nascondi una cosa simile non te lo perdonerebbe mai》spiegò mia sorella.
Ci lasciammo sperando che quella sera Giulia raccontasse ad Antonio della malattia.

                                   ***

E lo fece, perché il giorno dopo Antonio si presentò tutto trafelato nel Quartiere, voleva parlare con Laura.
E lei, non appena lo vide, capì che aveva parlato con Giulia della malattia.
《Non può succedere, non deve succedere...》pianse disperatamente lui, abbracciandola forte.
Mia sorella ricambiò l'abbraccio.
《Ha sfidato tutto e tutti per sposarsi con te, che hai fatto strada da qui all'università, da solo e scoraggiato da chiunque, figurati se non supera qualche ciclo di chemioterapia...》lo consolò.
Non erano esattamente parole di conforto, le sue, ma Antonio sapeva che era il suo modo di volergli bene, di dimostrargli che gli era vicina; e poi perché anche lei sperava che Giulia sopravvivesse perché un'altra morte, dopo quella di Sara, non ci voleva. Infatti non aveva smesso di pensarci un attimo, né di sostenere che dietro tutta quella brutta storia ci fosse Italo.

              

La bambina cattiva [Saga del Quartiere Anceschi]Where stories live. Discover now