Capitolo 3

636 36 11
                                    

La prima volta che Neil Abbott aveva visto il fantasma era stato più di tre anni prima. Non era stato un buon periodo per la città, i quartieri erano in guerra dopo la morte di Big Boy Degou, capo del clan dei neri, assassinato in mezzo alla strada. Si era creato il caos, le accuse tra gang erano finite nel sangue, per ogni morto da una parte ce n'erano due dall'altra. Poi le acque si erano improvvisamente calmate, dopo il massacro del 7 aprile. Le telecamere avevano ripreso l'imboscata tesa a tre dei possibili successori di Degou e ai loro uomini, una pioggia di proiettili senza precedenti. Mentre le vittime venivano identificate frame dopo frame un assistente di Abbott aveva puntato il dito verso lo schermo.

«Ehi, guarda quello.»

C'era una figura sottile seminascosta in un ingresso, fuori portata rispetto alle armi ma con una visuale perfetta su tutta la scena. Non ci sarebbe stato nulla di straordinario, non fosse per il fatto che era indiscutibilmente bianco. Un bianco nel territorio dei neri durante una guerra, e nessuno che ci badasse.

«Forse è una nostra allucinazione.» aveva riso il collega.

«Forse è un fantasma.» aveva replicato Abbott, senza pensarci più.

Due mesi dopo, però, la figura era riapparsa. Non in occasione di una strage, tutt'altro, la polizia sorvegliava un locale di gioco d'azzardo perché lì dentro, in terreno neutro, si vociferava che avrebbe avuto luogo un vertice tra i clan. La pace impossibile, tanto spesso strumentalizzata politicamente, sarebbe potuta passare solo attraverso un accordo tra tutti i gruppi malavitosi, quattro ceppi principali con infinite diramazioni. Così il locale era stato messo sotto sorveglianza, e naturalmente non c'era stata traccia di alcun vertice, sebbene alcuni membri di spicco delle varie bande fossero transitati di lì. Ed era stato controllando questo via vai che Abbott aveva notato il ragazzo seduto al bancone del bar. Sembrava non stesse bevendo niente, aveva vicino a sé un bicchiere che non aveva mai toccato e si era limitato a restarsene lì, seduto, senza parlare con nessuno. Non avrebbe saputo dire perché, ma la mente gli era andata al fantasma del massacro del 7 aprile. Altrettanto fuori luogo, vestito in maniera semplice, privo di armi, così Abbott si era stampato un'immagine sufficientemente nitida e aveva avviato una ricerca. Il nome era uscito subito, perché il ragazzo era schedato. Fontainbleu LaDue, venticinque anni, figlio di tossicodipendenti, affidato ai servizi sociali a partire dagli otto anni. Una storia miserabile come miserabili erano la metà delle storie di chi abitava nei bassifondi, eppure c'era qualcosa in quel ragazzo che ad Abbott non tornava. Faceva le pulizie negli edifici pubblici, non era mai stato arrestato pur avendo partecipato, da adolescente, a un paio di risse, non aveva più nessuno perché i genitori alla fine avevano preso un paio di dosi di troppo.

E cosa ci faceva, allora, in un locale per gang?

Era stata la curiosità, a muoverlo, era andato a vederlo di persona mentre passava lo straccio nell'ingresso degli uffici di collocamento, la testa china, la bocca chiusa. Si era dato dello sciocco. Poi era esploso un deposito di armi nella parte est della città e subito si era capito che l'esplosione era una copertura per il più colossale furto degli ultimi anni. Cinque sorveglianti morti, un arsenale sparito, si erano aspettati l'inferno per le strade e invece niente. Abbott aveva osservato uno per uno tutti i video di sorveglianza delle strade intorno al deposito nella settimana precedente. E finalmente lo aveva visto passare, solita andatura dinoccolata, occhi passi, aria dimessa. Aveva fatto il giro completo senza mai buttare un'occhiata al deposito. Ma era un bluff. Lo aveva fatto convocare alla stazione della polizia, niente scuse, una verifica su tutti coloro che si erano trovati nei dintorni prima dell'esplosione. Gli aveva risposto mite, calmo, gli occhi limpidi privi di sfida o sarcasmo. I colleghi non capivano nemmeno perché lo avesse fatto chiamare, ma Abbott ormai aveva un tarlo nella mente che non lo avrebbe lasciato più. Fontainbleu LaDue, detto Font, era diventato la sua ossessione personale. In ogni luogo dove avveniva qualcosa in grado di spostare l'assetto criminale della città, là, lui c'era sempre. Prima, durante, dopo, a pulire, passeggiare, mangiare un boccone, sempre da solo, nessuno gli rivolgeva la parola, eppure eccolo, eccolo lì.

CO2HOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz