03. Il sugo

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Iniziavo a credere che trovare dei ladri in casa, sarebbe stato meglio di trovarsi Caleb Smith con quel sorrisetto sulle labbra

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Iniziavo a credere che trovare dei ladri in casa, sarebbe stato meglio di trovarsi Caleb Smith con quel sorrisetto sulle labbra. Continuava a spostare lo sguardo da me a Julia e viceversa, ma non rispondeva.

- Julia, che dici di andare a giocare con il regalo che ti ho portato? - finalmente parlò, ma non disse ciò che aspettavo che dicesse. Mia figlia annuì e iniziò a scalciare, segno che voleva scendere dalle mie braccia. Quando poggió i piedi per terra corse fuori dalla cucina.
Era appena arrivato e cercava di fare il padre; non bastava solo il gene a renderlo tale, né un regalo. Lui non era stato presente in questi quattro anni, non bastava un giocattolo per farsi perdonare.
Caleb camminò con la stessa disinvoltura che aveva sempre avuto fin dai tempi del liceo. Sembrava non essere cambiato, a parte le spalle più larghe e dei tratti più pronunciati, mentre le braccia e le gambe erano più muscolose.
Continuavo a guardarlo, sperando che il suo corpo mostrasse qualche segno delle sue emozioni. Al liceo mi era facile capire il suo stato d'animo. Quando nervoso aveva le spalle tese; se invece arrabbiato aveva la mascella contratta e le mani sempre chiuse in pugno; invece, quando era allegro si mordeva il labbro come se volesse trattenere un sorriso. In quel momento, però, era impassibile. Nessun' emozione riconoscibile.

- Allora, mi dici Caleb che ci fai a casa mia? - chiesi, scandendo ogni parola. Continuò a mostrarmi quel suo sorriso divertito che al liceo mandava tutte fuori di testa, compresa me; e mi rispose: - Karina, ti ricordo che questa è anche casa mia -.

Incrociai le braccia, non potevo dargli ragione ma era così, era ancora casa sua, era intestata a lui.

- Ci abito io da quattro anni! Come sei entrato? Non hai le chiavi, le hai lasciate a me! - esclamai cercando di cambiare argomento, non potevamo litigare su a chi appartenesse la casa, avrei perso sicuramente.
Caleb mise una mano nella tasca dei jeans aderenti e uscì un mazzo di chiavi argentate e aveva come portachiavi aveva un rettangolo con sopra scritto il nome dell'azienda di famiglia "Smith Company": - ho la copia della chiave e tu non hai cambiato la serratura. Mossa stupida -.

Lo guardai torvo, era un modo gentile per dire che ero stata stupida a non averlo fatto? Non mi sarei di certo aspettata che lui potesse tornare in città o che avesse un secondo mazzo di chiavi. Mi ero trasferita qui e basta, non avevo pensato a un suo ritorno perché ero convinta che non ci sarebbe stato.

- Che ci fai qui? - ritentai, non aveva ancora risposto alla mia domanda.

Prese una sedia in legno posizionata accanto al tavolo di metallo e la posizionò di fronte a me, che stavo ancora a un passo fuori dalla porta della cucina. Si sedette: - non è chiaro? Voglio conoscere Julia. Devo dirtelo, pensavo in un nome più... Storico - rise passandosi una mano tra i capelli, irritandomi ancora di più. Stava cercando di darmi della secchiona come facevano tutti al liceo? Le parole appena dette mi risuonarono nella mente, solo adesso aveva ricordato che aveva una figlia?

Feci un passo verso di lui, sempre con le braccia incrociate: - Vuoi conoscere mia figlia? E dov'eri in questi anni? Sei spartito perché ti avrebbe rovinato la carriera e l'hai definita un coso. Te lo ricordi? - gli rammentai, facendogli capire che non avrei dimenticato il fatto che fosse andato via e avesse giudicato Julia definendola un "coso".

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