QUARANTATRE

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Erano rimasti abbracciati a lungo, perché nessuno dei due sapeva realmente come uscire da quella situazione. Guardarsi negli occhi avrebbe portato a parlarsi ancora, a dirsi qualcosa di cui forse poi si sarebbero pentiti, soprattutto Kate. Era difficile per lei riuscire a dire cosa avesse veramente dentro, non era solito farlo, nella sua vita, nei rapporti che aveva avuto, era sempre stata un mistero da dover decifrare per tutti i suoi uomini, e nessuno era mai voluto andare fino in fondo per capirla, né lei si era mai lasciata scoprire. Era stato più facile, più comodo o più semplicemente capiva che non ne era mai valsa la pena di lasciarli entrare a conoscere il suo vero io. Con Castle era stato diverso, da subito. Lui la capiva più di quanto lei volesse farsi capire, lui le era entrato dentro con una facilità disarmante, andando a smuovere la sua coscienza più intima, toccando le corde della sua anima, leggendola come un libro aperto. Lui era sempre sembrato sapesse quello che lei intimamente voleva senza che glielo rivelasse, andava ad appagare desideri che non sapeva nemmeno di avere. Era quella metà che inconsciamente aveva sempre cercato, arrivata quando invece lo allontanava e che poi si era presa quando era lui a voler tenere lontano lei, quando dopo l'esplosione lui la voleva tenere lontana ed era stata lei, per la prima volta nella sua vita, a combattere per il suo amore.

Quella maledetta bomba aveva cambiato tutto. Gli aveva permesso di avvicinarsi ma aveva creato allo stesso tempo una distanza tra loro che prima non c'era. Giocavano allo scoperto, adesso, con i sentimenti, quelli che prima avevano sempre celato, almeno a parole, in ogni loro incontro, ma aveva creato delle barriere che sembravano insormontabili per tutto il resto. Pensava che era stato più facile amarsi prima di dirsi ti amo, perché la vera lotta per conquistarlo era cominciata dopo. Non si arrendeva, non si voleva arrendere, ma era stanca perché le sembrava spesso di combattere da sola per entrambi e nonostante i mesi e le sue parole non era cambiato molto. Provava a chiudere gli occhi e non pensare a tutto quello che c'era intorno, a concentrarsi sul suo respiro profondo, sulle mani che l'accarezzavano, sul calore del suo corpo ma invece che calmarsi la sua rabbia aumentava perché lei lo sapeva che se lui avesse voluto sarebbe stato tutto più semplice, che non avrebbero avuto ostacoli insormontabili, che potevano superare tutto, insieme, ms sempre più spesso le veniva il dubbio che in fondo lui non lo volesse del tutto. Si sentiva anche in colpa a fare certi pensieri, Castle era quello che le aveva salvato la vita che non aveva esitato a farle scudo con il proprio corpo, ma non era immune nemmeno lei dalla infida mano del dubbio che si insinuava nella sua mente, supportato da quegli atteggiamenti sempre più contraddittori. Se si lasciava andare solo al sentimento non aveva dubbi che Castle l'amasse, poteva dire che sentiva il suo amore, ma la sua parte razionale contrastava con quello che sentiva "a pelle". Si chiedeva se lui non fosse rimasto paralizzato se avrebbero mai superato la loro ritrosia nel confessarsi i propri sentimenti dichiarandosi il loro amore, se avrebbero mai trovato il coraggio di dirsi di amarsi o se invece lui non avrebbe continuato la sua vita di sempre, tra lusso, feste e belle donne, una diversa ogni sera e se lei non fosse semplicemente l'unica che gli era rimasta vicino in quel frangente. Si vergognava dei suoi pensieri, ma non poteva impedire alla sua mente di andare a toccare tasti che avrebbe voluto evitare. Ma aveva bisogno di quelle certezze che lui sembrava non in grado di darle o che non le voleva dare, non lo sapeva.

Castle sapeva che sarebbe successo. Sapeva che prima o poi sarebbero arrivati a quel punto, quando i silenzi non erano più momenti di tacita complicità ma di imbarazzo, di frustrazione, di non sapere cosa dirsi, per non ferirsi, per non scoprirsi. Sapeva che alla fine lei non avrebbe retto quella situazione e che per lui uscirne sarebbe stato difficile, ne era consapevole e quello era uno dei motivi per i quali fin dall'inizio razionalmente non voleva che quella storia iniziasse, anche se stare con lei era quello che desiderava di più. Era conscio di tutti i suoi limiti, non solo fisici, ma soprattutto mentali, si conosceva meglio di quanto tutti i medici pensavano, era assolutamente consapevole di quanto le sue paure e le sue insicurezze lo avrebbero condizionato e per quanto ci avesse sinceramente provato, gli sembrava impossibile venirne fuori. Solo lui conosceva la maschera di uomo sicuro che si era costruito nel corso degli anni ed aveva vissuto tanto di apparenza da esserne diventato schiavo, faticando a riconoscere lui stesso il suo vero essere. Era difficile ammettere di aver paura di fallire, quella paura che aveva esorcizzato negli anni, che pensava di aver sconfitto quando aveva cominciato ad avere successo, che aveva esorcizzato mettendo in bella vista al loft la lettera di rifiuto del suo primo best seller, per ricordarsi che aveva fallito, ma era stato più forte dei fallimenti, che l'aveva fatta. Si era illuso, perché quello riguardava solo un aspetto della sua vita, quella professionale, quella che poi si era nascosta dietro l'immagine scintillante di Richard Edgar Castle, lo scrittore brillante, lo scapolo d'oro, il playboy affascinante. Ma Richard Alexander Rogers era sempre lì dietro, era il padre che cercava di fare il meglio per la propria figlia e sentiva di aver fallito anche in quello con il suo comportamento, era il marito che non era riuscito a far funzionare due matrimoni, era il figlio che avrebbe voluto essere migliore per sua madre. Non erano la stessa persona, ma pochi lo sapevano, anzi nessuno, perché non aveva il coraggio di dirlo a se stesso, lasciava che quelle voci che ogni tanto affioravano poi si spegnessero senza fare troppo rumore, perché era difficile ascoltarle.

Ed era altrettanto difficile ammettere di avere la consapevolezza di non essere più se stessi e per quanto gli avessero detto che tutto adesso dipendeva solo da lui, non si sentiva così. Voleva tornare a camminare, certo che lo voleva, certo che ci sperava, ma era bloccato dalla paura che non fosse vero, che si stavano sbagliando tutti, quindi era come se avesse un blocco che gli impediva di provarci veramente per non rimanere deluso da se stesso, per non arrendersi alla realtà. Era folle, era stupido, infantile, ma non riusciva a superare quello scoglio. Era la sua mente che gli metteva ostacoli insormontabili davanti, ne era consapevole, e lo faceva anche con Kate.

Gli sembrava di non essere più in grado di dimostrarle quanto l'amasse, quanto lei fosse importante per lui, quanto gli doveva tutto. Lei gli aveva insegnato a capire quali cose fossero veramente importanti, ad amare qualcuno più di se stesso, gli aveva fatto provare quell'amore che aveva sempre cercato nella sua vita, quello che pensava potesse esistere solo nella fantasia degli scrittori. Invece era vero, era qualcosa di reale e lui era così fortunato da averlo trovato e talmente idiota da non riuscire a trattarlo come avrebbe dovuto. Non capiva perché non riusciva ad andare oltre, perché fosse così terrorizzato dall'idea del ricreare un'intimità con lei: ricordava ogni loro incontro, ogni sensazione che lei era in grado di fargli provare come mai nessuna prima, ogni volta che avevano fatto l'amore anche quando era solo sesso. Castle ricordava perfettamente la sensazione delle mani di Kate su di lui che giocavano con la sua pelle accarezzandola, segnandola, rivendicando il possesso di ogni centimetro del suo corpo che toccava e lui che era ben felice di concederglielo, di sentirsi suo come mai si era sentito di nessuna prima, anche se lei non glielo aveva mai chiesto ma lo aveva preso senza che se ne rendesse conto. Ricordava la sua bocca, i suoi baci languidi e umidi che dalle labbra scendevano sul suo collo, sul petto e si alternavano a morsi leggeri che lo facevano sussultare soprattutto quando scendeva ancora più in basso e imprigionava il suo sesso tra le labbra e come ci giocava sapientemente con la lingua: sarebbe stata in grado ogni volta di farlo andare fuori di testa anche solo rimanendo ferma, alzando lo sguardo e guardandolo con quegli occhi nei quali si perdeva, quando avrebbe potuto fargli di tutto e lui si sarebbe fatto fare qualsiasi cosa. Ricordava tutto, forse ricordava troppo ed era proprio quello il problema. Era stato tutto troppo perfetto e forse preferiva che rimanesse tutto così e non rovinare il ricordo della perfezione con qualcosa che aveva paura non poteva più esserlo. Si sentiva un egoista ed un vigliacco, perché se mai ce ne fosse stato bisogno quella sera aveva chiaramente capito quanto la faceva soffrire, eppure non riusciva a fare diversamente. Ecco perché non voleva che lei stesse con lui, perché era convinto che lei meritasse di più. Eppure se glielo avessero chiesto, se avesse potuto, non si sarebbe tirato indietro a farle di nuovo scudo con il suo corpo, l'avrebbe protetta da ogni esplosione, avrebbe dato la sua vita per lei eppure tutto il resto era più difficile che scegliere di morire per lei.

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