2| Silenzio

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Ad Agrova c'era un grande monumento di un drago di bronzo dagli occhi blu. Nostra madre da bambini ci leggeva quel taccuino, ove c'era scritto che la statua esisteva da secoli e che i suoi abitanti l'avevano costruita dopo l'estinzione dell'ultima specie rimasta su quell'isola: un grande drago del fuoco dagli occhi oltremare.

«Spero che Logan non faccia danni in cucina, lo soffoco se rovina il mio buon umore» enunciò Gildar con un tono disperato, intricando le dita nei suoi ricci. Egli era goloso e amante del buon cibo, difatti quando il mio fratellone pastrocchiava in cucina lui non faceva altro che lamentarsi.

«Abbi fiducia in lui, vedrai che stavolta non ne combinerà una delle sue!» Avevo un briciolo di speranza, ma sapevo benissimo che avrebbe combinato qualche pasticcio.

Sicuramente non uno sublime.

Logan non eccelleva nell'arte culinaria, come ogni essere umano padroneggiava delle abilità ma in altre era altrettanto carente.

Per coincidenza la testa ovale di mio fratello sbucò dalla botola della nave, il suo sorriso andava da un orecchio all'altro nascondendo i suoi occhi dorati in una linea. Annunciò di aver preparato della carne affumicata che etichettava come prelibatezza.

Potevamo fidarci? L'ultima volta che aveva cucinato non andò a gonfie vele, alcune tovaglie e alcuni fazzoletti si dissiparono in una nuvola plumbea fetida di bruciato.

«Non per farvi agitare» il suo sorriso si spense velocemente, «Ma dalla piccola finestra ho avvistato un galeone, temo possa trattarsi di pirati.» Eravamo vicini alla nostra meta, ma non così tanto da approdare immediatamente. A detta di Kian saremo arrivati la mattinata seguente, ma Agrova era già ben visibile dalla nostra posizione.

«Ce ne eravamo già accorti occhi di falco. Kian non trova motivi che possano farci sospettare ma spero con tutta me stessa che non sia così. Ne ho abbastanza dei pirati!» prorompò Brianna guardando con i suoi occhi ambra verso l'imponente veliero, mordendosi le labbra rosee.

Dai nostri non effettivi nemici ci separava una grossa fetta di mare.

«Proprio per questo bisogna rimanere sugli attenti, in mare bisogna sempre diffidare dall'apparenza. Abbiamo avuto modo di capirlo in passato» Kian si allontanò da noi salendo sulle scale che portavano al timone. Guardando nel cannocchiale del binocolo esordì una piccola diversità rispetto alla considerazione precedente.

Non avevano la bandiera col teschio, ma il corvino aveva notato un dettaglio che prima non c'era: un medaglione d'oro bianco con la figura di un teschio mai visto. La catena era allacciata al collo di un uomo che sbraitava contro una persona. Perché dei normali viaggiatori dovrebbero possedere un oggetto simile? Tra cui con il dettaglio di un teschio nuovo ai nostri occhi? Secondo il capitano quell'oggetto doveva valere anche molto.

Kian era divenuto un abile navigatore, da chilometri aveva imparato a riconoscere una zona del mare pericolosa e guidava la nave con maestria. Era un rebus vivente, raramente qualcuno riusciva a leggere nei suoi occhi ciò che la sua mente stava macchinando.

«Finché rimangono lì dove sono preferisco non pensarci. Con questa fame mangerei anche la carne prelibata di Logan, andiamo a mangiare?» mia sorella con sarcasmo si distanziò, dirigendosi verso il lato opposto del galeone per non sentire le lamentele di nostro fratello.

«Andiamo, ma facciamo attenzione» precisò Kian passando la mano tra i suoi folti capelli neri, gesto che li fece sparpagliare e svolazzare con l'aiuto di una leggera brezza pomeridiana. Osservò quella grande nave con uno scintillio di preoccupazione negli occhi, ma con lo sguardo alto e un pizzico di superbia incastrata nelle pupille.

I pirati di Ethis. Where stories live. Discover now