Capitolo 15

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Quel bacio lo aveva lasciato senza fiato. Lo aveva sorpreso, spaventato, perfino inorridito. Ma lo aveva anche emozionato, sì. E si era trattato solo di pochi istanti, di un battito di ciglia, della distanza interrotta con la canna di una pistola premuta sotto il mento. Sapore rabbioso, desiderio latente, fuoco nelle vene. Forse era stato qualcosa di più, qualcosa che non sapeva definire con esattezza e che lo aveva infiammato da dentro, che lo aveva acceso, scottato. Per questo si era ritrovato ad annaspare a vuoto quando, lontano dalle labbra di Daniel Begum, aveva udito il suo ringhio frustrato.

Allora si era lasciato sfuggire un: «Cosa significa?»

«Niente.» La risposta di Daniel fu rapida, decisa, quasi sputata con astio. «Non significa niente, Hunt.»

E avrebbe voluto fermarlo, costringerlo a parlare. L'idea di sentire ancora la stoffa umida della sua giacca sotto i polpastrelli lo elettrizzava. Tuttavia non si mosse. Gli vide chinare il capo con imbarazzo, poi chiudere freneticamente l'armadietto. Così deglutì a vuoto, si portò una mano al collo per controllare automaticamente i propri battiti. Infine lo vide filare via dagli spogliatoi e tremò sul posto. «Che cazzo...» borbottò tra sé e sé. Si mise a sedere sulla panca di legno, poi si passò le dita tra i capelli e se li tirò indietro con uno sbuffo seccato. «Poteva almeno giustificarsi» sbottò. E o fece a mezza bocca, giusto per non echeggiare troppo.

«Già, hai proprio ragione.»

Quella risposta lo fece gelare sul posto, gli fece mancare un battito. «Ma che diavolo...» Trattenne il fiato, si voltò nella direzione delle docce e quasi provò l'impulso di evaporare, di dislocarsi – ma era impossibile, no?

«Jeremy Hunt» cantilenò l'inequivocabile voce di Ezekiel. «Mi sei mancato...» Mosse un passo per abbandonare il vano delle docce e strusciò appena la suola umida degli anfibi sul tappeto esterno. «Speravo che ti facessero tornare al Campo di Addestramento, sai?»

L'interpellato serrò i denti. «Io no» disse. Lo sguardo serio, concentrato sulla divisa grigia del Poligono che indossava Ezekiel. «Non mi sei mancato affatto.»

«Lo credo bene» borbottò. Arricciò perfino le labbra e quasi si mostrò dispiaciuto, irritato. «Hai trovato qualcun altro con cui giocare al gatto e al topo...» soffiò sardonico, non mancando di mostrarsi divertito. Accennò un sorrisetto, ma subito dopo scosse la testa e fece spallucce. «Peccato che sia la persona sbagliata.»

«Ti sbagli» provò a giustificarsi Jeremy. E aggrottò le sopracciglia, lo puntò dritto in viso per fulminarlo. Tuttavia era chiaro che Ezekiel lo avesse visto ed era altrettanto chiaro che si fosse fatto un'idea propria al riguardo. Lo sapeva, perciò lo ascoltò quando disse:

«Al Comandante Sergej Jackson non piacciono le persone che provano a rubargli le cose.»

«Non ho intenzione di rubare niente a nessuno» schioccò acidamente.

«Oh, davvero?» Ezekiel sollevò entrambe le sopracciglia, si mostrò sorpreso. «Eppure avrei giurato il contrario...» Si portò un indice alle labbra, assumendo così una posa pensierosa. «Non sei tu quello che il Capitano Daniel Begum ha chiamato Orfeo?»

Jeremy deglutì ancora, corrugando le sopracciglia. Si alzò di scatto dalla panca e distolse lo sguardo da Ezekiel. «Cosa ci fai qui al Poligono?» Chiese. Provò a cambiare discorso, perché neppure lui aveva ben chiaro cosa significasse ciò che aveva detto o fatto Daniel. «Non eri una recluta?»

«No» negò subito. «Ma dovresti saperlo, ormai.» Incrociò le braccia al petto, poi si mosse nella sua direzione e posò una spalla contro l'armadietto di Daniel per guardarlo meglio in viso. Sorrise, forse ghignò. «Il Comandante Sergej Jackson vi ha avvicinati, ti ha concesso una serata speciale...»

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