PANAMA CITY; PARTE DUE (T-BAG)

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Non hanno torto solo coloro che affermano che il cane sia il migliore amico dell'uomo, ma anche chi sostiene che l'alcol tolga la lucidità: forse ciò è vero in alcuni casi, ma nel mio ha un effetto completamente diverso, perché mi aiuta a vedere la situazione generale con estrema chiarezza, senza filtri o attenuanti.

E ciò che vedo, osservando a lungo uno specchio ovale, mi fa piegare le labbra in una smorfia di disgusto perché, per la prima volta, realizzo di avere gettato nel cesso quarantasei anni di vita senza aver combinato nulla di buono, lasciando alle mie spalle una scia quasi infinita di sangue, mista a cadaveri maciullati e smembrati.

Quarantasei anni abbondanti, visto che sono sempre più vicino ai quarantasette.

Distolgo lo sguardo dallo specchio quando vedo il mio riflesso sdoppiarsi, perfino triplicarsi, e mando giù quello che rimane di una bottiglia di whisky, l'ennesima, che va ben presto a fare compagnia alle sue gemelle vuote, posizionate sopra un comodino di legno; chiudo gli occhi, serrando con forza le palpebre, e mi passo la mano destra sulla fronte, completamente imperlata di sudore, nonostante le pale del ventilatore attaccato al soffitto girino al massimo.

Per quindici giorni ho continuato a viaggiare senza mai fermarmi un solo secondo, senza mai riposarmi per più di mezz'ora, ed ora che finalmente sono circondato dalla quiete, chiuso nella camera di un hotel a Panama, realizzo una spiacevole realtà.

Sto male.

Sto terribilmente male e non riesco a muovere un solo passo.

La testa mi fa male, sembra essere sempre sul punto di scoppiare, la nausea non mi dà neppure un attimo di tregua, ed a volte ho dei brividi di freddo così violenti che mi ritrovo a battere i denti.

Credo di essere vicino all'autodistruzione, credo di essere ad un passo di distanza da un enorme precipizio senza fondo; e come ogni persona che si ritrova aggrappata al ciglio di un burrone, tutto ciò che desidero è vedere una mano amica allungata verso di me, per trarmi in salvo prima che sia troppo tardi.

Anche se quella mano appartiene alla persona che ha prima spezzato e poi calpestato il mio cuore senza alcuna pietà.

Prendo in mano il mio cellulare e, dopo un paio di tentativi andati a vuoto a causa della vista appannata, riesco a digitare il numero della persona di cui ho disperatamente bisogno in questo momento, l'unico appiglio a cui mi posso aggrappare per non cadere nel baratro nero e senza fondo spalancato dinanzi a me; chiudo gli occhi e prego mentalmente di ricevere una sua risposta.

Altrimenti sarei perduto.

"Pronto?" domanda una voce femminile, dopo il quinto squillo, ed io mi ritrovo a trattenere il fiato ed a perdere l'uso della parola, peggio di un adolescente alle prese con la sua prima cotta "ascolta, se si tratta di uno scherzo di pessimo gusto..."

"Nicole..." mormoro, interrompendola, chiudendo di nuovo gli occhi.

Questa volta è davvero lei.

Non si tratta di una prostituta, a cui ho ordinato di indossare una parrucca bionda e di calarsi nei panni della ragazza di cui mi sono innamorato.

La voce dall'altra parte del cellulare appartiene davvero a Nickie.

"Teddy? Che cosa vuoi?"

"Io... Io volevo... Solo... Parlare con... Te"

"Teddy, sei ubriaco? Hai bevuto?".

Sento chiaramente dell'agitazione nella sua voce, e questo mi fa piegare le labbra in un sorriso.

Giro la testa in direzione delle bottiglie vuote, senza riuscire a capire se sono davvero così tante o se sono vittima di un altro brutto scherzo giocato dalla mia vista, e poi abbasso gli occhi sulla pistola stretta nella mia mano destra, lucida e letale come un cobra nero.

"Non... Non lo so" rispondo con sincerità, scuotendo la testa, il mal di testa è così forte che m'impedisce di pensare e quasi di parlare, e sento la lingua improvvisamente impastata, come se avessi assunto qualche farmaco "so solo che in questo momento... Ho messo in vivavoce perché ho una... Ho una pistola carica in mano. E ho l'indice destro appoggiato al grilletto... Nickie... Credo di essere in procinto di fare qualcosa di molto... Come si dice... Stupido".

Non sto mentendo, non si tratta di una finta.

Mai prima d'ora ho trovato così invitante il pensiero di appoggiare la canna della pistola contro una tempia e premere il grilletto, sentendomi finalmente libero.

"Ascoltami, ti prego!" la voce di Nickie mi strappa dalle mie fantasie suicide "dove ti trovi in questo momento?"

"Credo di essere sdraiato su un letto" mormoro con un sospiro, appoggiando la testa contro qualcosa di morbido, probabilmente un cuscino "ma non ne sono... Non ne sono sicuro"

"Sei nella stanza di un hotel?" domanda, ancora, la mia ex compagna.

Mi guardo attorno, per quanto il collo me lo conceda, perché il più piccolo movimento mi costa uno sforzo sovrumano.

"Così sembrerebbe"

"Ascoltami attentamente. Come si chiama l'hotel in cui ti trovi in questo momento? Ho bisogno di sapere qual è il suo nome, altrimenti non posso aiutarti"

"Non lo so" rispondo di nuovo, serrando le palpebre nel vano tentativo di ricordare "era qualcosa che aveva a che fare con... Con il cielo... O forse le stelle... Era spagnolo... Aspetta un momento" allungo la mano destra in direzione del comodino, apro il cassetto e frugo al suo interno; impiego qualche minuto prima di trovare il foglio che stavo cercando "ho trovato qualcosa. È la carta del servizio in camera"

"E cosa c'è scritto sulla carta?".

Osservo il foglio con attenzione, sbattendo più volte le palpebre per riuscire a mettere a fuoco il listino.

"C'è scritto che... C'è scritto che fanno delle ottime quesadillas al chili piccante. Tu hai mai assaggiato le quesadillas? Forse potrei ordinarle..."

"Teddy!" lo strillo di Nickie mi riporta per qualche istante alla realtà "questo non è il momento di pensare alle quesadillas! Ti prego, devi dirmi se c'è scritto il nome dell'hotel!"

"Aspetta... Ahh, eccolo qui, avevo ragione io. C'è scritto 'Cielo Lindo'"

"Cielo Lindo. Perfetto. E in quale città ti trovi?"

"Panama"

"Qual è il numero della tua camera?"

"La... Aspetta..." prendo in mano la chiave della stanza e cerco di leggere il numero inciso sul portachiavi in legno, a forma di noce di cocco "Due... Zero... Non capisco se l'ultimo numero è un sette od un uno... Aspetta, credo sia un sette. Si. Duecentosette"

"Non muoverti da quella stanza e non fare nulla di stupido fino al mio arrivo. Cercherò di prendere il primo volo per Panama, d'accordo? Quando sarò arrivata a destinazione, ti chiamerò e dovrai rispondere subito, d'accordo? Pensi di aver capito tutto? Non fare nulla di stupido e non mettere piede fuori da quella stanza fino a quando io non sarò arrivata. Hai capito quello che ho detto, Theodore? Hai capito tutto?"

"Si, Nicole" sussurro con un filo di voce, facendo fatica a deglutire "ma, ti prego, cerca di fare presto. Non so per quanto tempo riuscirò ancora a resistere".

Spengo la chiamata, prendo un altro profondo respiro, e lentamente mi alzo dal materasso cigolante; vengo colto da un attacco di vertigini e sono costretto ad appoggiarmi alla parete alla mia sinistra per non crollare a terra, piegato su me stesso.

Respiro ancora un paio di volte, prima di riuscire a staccarmi dal muro ed a rimanere in perfetto equilibrio sulle mie gambe.

Prendo la pistola, controllo che sia carica, e mi chiudo in bagno.

Livin' On A Prayer; Prison Break (✔️)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora