𝟏.𝟐 ━ 𝐂𝐇𝐀𝐏𝐓𝐄𝐑 𝐓𝐖𝐎

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«Frena, frena, frena. Che significa "un altro universo"» aveva affermato Steve chiedendo se potevano evitare di sparare tutte quelle notizie a raffica.

Steve non si era rifiutato di credere a ciò che quelle persone stavano dicendo loro, non pensava che li stessero prendendo in giro, anzi. Aveva già incontrato quelle persone e soprattutto, aveva avuto un flirt con la loro prossima minaccia. Non ricordava, anzi, non poteva ricordare quel giorno. Qualcuno di quegli uomini non voleva che ricordasse, aveva fatto in modo che Steve dimenticasse di averlo conosciuto e di aver conosciuto i suoi colleghi, in particolare lei.
Era l'essere più potente mai visto, la temevano, la invidiavano, la veneravano. Era la fenice, colei che quando muore risorge dalle sue ceneri. Jean Grey si chiamava la donna, aveva conosciuta Steve appena entrata in quell'universo per lei nuovo.
Provava anche un minimo di interesse per Steve, ed era reciproco. Forse Steve, quando aveva conosciuto la rossa, era solo in cerca di una donna con cui rimpiazzare Victoria — che aveva perso da cinque anni —.

Il duemila ventitré stava finendo e Steve continuava a dire al suo gruppo — simile agli alcolisti anonimi — di andare avanti. Finalmente lui ci aveva provato, con poco successo ma almeno aveva passato un pomeriggio con Jean, eppure se avesse conosciuto le capacità di Jean ci avrebbe pensato due volte ad uscire con lei.

Nel salotto di casa Rogers gli sconosciuti continuavano a rispondere alle domande che Steve faceva loro. Era curioso tanto quanto affasscinato da quello che gli stavano raccontando.

Loro gli avevano spiegato che molti anni prima, nella loro scuola, stavano sparendo numerosi ragazzi. Una volta toccò ad uno dei loro migliori studenti, un certo Scott, entrò nel bosco e sotto gli occhi increduli della sua ragazza scomparì. Anche lei finì nel suo stesso punto e si trovarono insieme a Central Park – ma loro non lo sapevano – riuscirono a ritornare indietro insieme agli altri ragazzi scomparsi. Ne parlarono con i loro professori, specialmente con il professore. Non credevano agli squarci dimensionali, loro ne avevano viste di cose ma di certo non questa. Non riuscivano a crederci, a quell'epoca poter viaggiare per dimensioni era impensabile e pericoloso. Quel portale non fu più utilizzato, almeno non fino a quando non ne avrebbero avuto estremo bisogno. Il momento era arrivato ed era grazie a questo perchè erano lì.

Victoria, che stranamente non aveva partecipato alla conversazione, non aveva osato dire una parola in merito. Pensava che quell'uomo e quella donna stessero raccontando un sacco di balle. Ma non era così, grazie alla sua maledetta malattia riuscì a capire che ciò che stavano rivelando quei due era realtà. Oppure era davvero una bugia e loro riuscivano a nasconderlo davvero bene, perfino a loro stessi, perfino a Victoria. Lei stava seduta su uno scomodo sgabello, leggermente più lontana rispetto a dove si stava tenendo la conversazione. Non era incuriosita da questa, di più. Avrebbe voluto porre tante domande – iniziando da "perché siete venuti proprio da noi?"– ma c'era già suo marito che aveva posto la maggior parte di quelle che le frullavano in testa. Aveva la testa bassa e il mento appoggiato sulla mano, i capelli raccolti e il babymonitor in mano. Aveva una grande paura che suo figlio si svegliasse proprio in quel momento, era stata una fortuna che il piccolo si fosse addormentato tra le braccia di Steve prima che lui entrasse in casa trovando Victoria che minacciava i due sconosciuti di chiamare il nove-uno-uno. Dubitava che il piccolo Arthur volesse conoscere i nuovi amici di mamma e papà.

Poco dopo, però, Steve aveva finalmente posto la domanda che Victoria aspettava da quasi trenta minuti: «perchè siete venuti a cercare proprio noi?» chiese il biondo.

«Raven ed io non lo sappiamo, dovresti chiedere al professore.» Fece l'uomo mentre guardava con aria di superiorità Steve. Aveva anche spostato lo sguardo su Victoria che aveva alzato la testa per ascoltare che cosa avrebbero detto. Non era la risposta che si aspettava, oppure che voleva. Per qualche secondo guardò male i due stranieri e poi aprì bocca per parlare. «Ah bene... Ernest, giusto?» domandò gurdandò il castano con il suo stesso fare da superiori.

«Erik, mi chiamo Erik» la corresse. Lei gli sorrise, si alzò e posò il babymonitor sullo sgabello su cui era seduta. Si avvicinava lentamente a loro e intanto continuava a sorridegli.

«Quindi non sapete nemmeno perchè eravate in casa nostra?» disse affiancando suo marito. Non diede nemmeno il tempo di replicare a uno dei due. «E chi sarebbe questo professore? Dove siamo? Ne "La Casa De Papel"?» chiese con un tantino di sarcasmo di troppo. Erik e Raven non capivano, dall'epoca da cui provenivano non avevano idea di cosa fosse "La Casa De Papel" purtroppo.

«Vuoi andare dal professore?» domandò Raven. Risposta più che ovvia, Victoria moriva dalla voglia di conoscerlo.Raven si alzò dal divano, si portò indietro i capelli biondi e fece un sorriso beffardo a Victoria che scosse la testa e indicò loro la porta.

Steve la guardò pregandole di non esagerare, e lei lo ignorò, come sempre. «Dove si trova questo professore?» domandò Steve alzandosi e cingendo le spalle di sua moglie con un braccio.

«E' qui fuori che vi aspetta... a lui e al vostro amico Fury piacciono le spiagge» disse Raven spostandosi verso la porta e aprendola. Lei e Erik ne uscirono mentre Steve e Victoria esitavano. Furono incoraggiati da Erik ad uscire e finalmente lo fecero.
Steve e Victoria non vedevano nessuno. Sabbia, qualche palma e i grattacieli che si ergevano a decine di chilometri da loro.

Fecero alcuni passi avanti, tanti da uscire dalla loro proprietà. Videro il buon vecchio Nick Fury che trasportava un uomo sulla sedia a rotelle. Aveva una t-shirt viola, una giacca e dei pantaloni... forse non soffriva tutto quel caldo.

«Rogers, — Erik allungando un braccio — questo è il Professor X»

𝐍𝐎𝐍 𝐄' 𝐔𝐍 𝐀𝐃𝐃𝐈𝐎 ─ steve rogers ²Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora