Parte 1

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Era Dicembre, non pioveva, c'era solo freddo. Stavo partecipando ad un concorso di scrittura, è sempre stato il mio sogno partecipare, così quell'anno lo feci senza pensare. La mia tenera adolescenza non mi permetteva di scrivere a pieno il racconto breve richiesto dalla commissione, ma non potevo mica rinunciare. Così, presi a scrivere anche durante le mie mattinate a scuola. Il Liceo era occupato, quindi passavamo le nostre mattinate in cortile, loro parlavano, io scrivevo. Scrivevo, leggevo, rileggevo e correggevo. Uno di quei giorni, una mia cara amica mi invitò ad una festa a casa sua. Inizialmente, rifiutai. Da quando mi aveva lasciata, avevo perso lo spirito della festa. Mi piaceva stare in compagnia con qualche birra e le patatine a fare casino per le vie di Messina o in qualche casa con la musica sparata e le risate a tutto volume, ma mi ricordavano un'estate che avrei voluto dimenticare. Le mie amiche erano tutte impegnate, quindi sarei stata sola per tutto il tempo con la mia birra e questo, a mio parere, potevo farlo anche comodamente seduta a casa mia. L'idea di socializzare non mi sfiorava nemmeno. Così, chinai nuovamente il capo sul telefono e ricominciai a scrivere.
Nei giorni seguenti, però, non facevano altro che ripetermi lo stesso invito per la stessa festa. Persino il mio migliore amico del tempo mi diceva di svagarmi un po' anche se lui non ci sarebbe stato. Dopo un po' di tempo, alla stesura completa del racconto...accettai dicendomi "una festa non mi cambierà l'esistenza". Non sapevo proprio niente.
Arrivò il giorno della festa, il 21 Dicembre. Mi preparai con calma senza nemmeno troppa attenzione. Avevo deciso di festeggiare per il completamento della storia breve e l'invio al concorso. Dovetti scegliere uno dei mille vestiti di mia sorella perché io ne avevo pochi e non li mettevo mai perché sul mio corpo non stavano bene. Presi quello più comodo, quello con cui mi sentivo a mio agio e approvato da i miei due amici. Lo approvarono entrambi. Era bello, blu elettrico, non troppo corto, non troppo lungo, perfetto per la giacca di pelle e gli stivaletti. Mia madre mi prese delle calze nere che poi non misi perché le odiavo. Lei era contenta che stessi andando ad una festa, nemmeno lei poteva sapere ciò che sarebbe successo. Mi feci accompagnare da Gus, un mio consigliere fidato, fino all'autobus. Mi lasciò solo al municipio dopo poche raccomandazioni che vertevano alla mia incolumità e al mio divertimento sfrenato. Da lì mi confusi tra la gente che parlava e mi immersi nelle mie cuffiette bianche. Mi venne a fare compagnia un volto nuovo. Il fidanzato della mia amica organizzatrice. Ero ancora con i jeans e il cambio lo avevo nello zaino pieno di vestiti, bottiglie e cibo per la serata.
Dopo esserci cambiate, facemmo subito il primo giro di short. Ero in prima fila e tirammo giù da brave adolescenti ridendo subito dopo. Eravamo ancora in sei, gli altri dovevano arrivare. Subito, mi arrivò il messaggio del mio migliore amico "Ho bisogno di parlare" diceva. Lo chiamai imbracciando la mia buona volontà. Rimanemmo al telefono per una buona mezz'ora. Poi gli venne sonno e mi disse che mi avrebbe scritto. Lo fece e io risposi cercando di sedare i suoi demoni mentre io cercavo di divertirmi senza esagerare. Un po' di tequila allentò la tensione delle sue parole, anche se la mia mente non mi permetteva di berne troppa. Lo avevo promesso. Quindi ne presi due dita e compensai il vuoto del bicchiere con l'acqua frizzante e limone in un intruglio che mi aveva fatto il ragazzo della mia amica. Non era male. Qualcuno suonò al citofono e nella casa iniziarono ad entrare un sacco di persone sconosciute. Lui entrò con il volto già stanco e gli occhi chiari nascosti dal grigiore che riflettevano. Alzai lo sguardo dal telefono mentre lui salutava gli altri, poi tornai a concentrarmi sul come aiutare Alessandro. Vidi il suo sguardo assottigliarsi nel vedermi e passarmi accanto sussurrando un "ciao" che mi suonava come infastidito ed estraneo. Di nuovo alzai lo sguardo senza una parola. La serata continuò. Posai il telefono e mi misi a bere con calma. Non ricordo con chi, ma mi ritrovai in mezzo al casino della festa. Un ragazzo negava anche la birra perché doveva guidare. Ed entrò in gioco la mia sfacciataggine. Gli allungai un bicchierino trovato sul tavolo. Lui negò, poi lo convinsi. Concentrò la sua attenzione sulla collana che portavo al collo. Ossidiana grezza. Me l'aveva regalata Alessandro in un periodo difficile. Era molto importante anche se ora non la porto più è ancora importante. Anche se con lui non ci parlo più molto spesso e allora era il mio migliore amico, è rimasto importante. Lui aveva del quarzo bianco e ci misimo a parlare fuori nel bagliore delle nostre sigarette.
Quella notte una mia compagna di classe, anche lei invitata alla festa, si sentì male e mi ritrovai ad aiutarla con due completi sconosciuti. Uno dei quali era il ragazzo che avevo sdegnato all'entrata. Le prestò la sua bandana nera legandola, bagnata alla fronte della ragazza come se quel pezzo di stoffa avesse un valore inestimabile. Quando l'altro ragazzo lo ammonì lui se ne andò e rimanemmo in due a farla vomitare.
Solo dopo la situazione si complicò e arrivò l'ex della ragazza a farle casino. Poi andarono a parlare nella mia stanza, sfrattandomi. Mi ritrovai a parlare con il crocerossino fino al ritorno del ragazzo con la bandana che interruppe il mio discorso sul più bello. Lo odiai a morte. Davvero.

A Festa finita ci ritrovammo io e il ragazzo odioso, seduti sul divano con ancora la mia camera occupata e il mio malumore. Lui sembrava triste. Una di quelle persone che non parlavano mai con la verità e che sorridevano sempre per abitudine. Che nascondevano le cose per non parlarne e così ero anche io. Rimanemmo svegli anche dopo che la mia camera si liberò dall'intruso. Rimanemmo sul divano, immersi nel buio della notte. Nella camera destinata a me, Silvia e Clelia c'era solo Silvia, ancora ubriaca e finalmente da sola. Clelia era nella camera del ragazzo seduto con me. Parlammo a lungo di niente. Solo dopo lui si presentò "Ninni" disse "non mi ero presentato".
"no, infatti"
"Eri al telefono" disse con una punta di fastidio. Ninni non lo sapeva, ma era una questione importante. Annuì e gli si addolcirono gli occhi. Smise di guardarmi e puntò gli occhi chiari nel vuoto passandosi una mano tra i capelli scuri. Mi rivelò delle cose sulla sua famiglia come se non fossero pesanti da dire. Come se fossero acqua. I suoi occhi urlavano qualcosa che però lui sussurrava appena. Mi fece piacere che si sentisse libero di parlarmene. Nonostante fossi una sconosciuta o forse proprio per questo me ne parlò. Mi stupì il modo chiaro e genuino con cui si spiegò. Rideva, ma i suoi sorrisi non sorridevano. Per ringraziarlo, rivelai a grandi linee la mia di situazione e lui mi stette ad ascoltare. Mangiando avidamente ogni parola che dicevo. Lo vidi rilassarsi e iniziammo a parlare davvero. Di tutto. Decisi che quella notte potevo osare. Che quella notte potevo anche rivelare ciò che ero e non ciò che volevo essere. Forse perché in quel momento ero esattamente ciò che volevo essere. Lui si aprì con me ma i suoi occhi erano comunque grigiastri come se non fosse felice, più che altro come se qualcosa non andasse. Vidi in lui, la stessa forza disperata e incazzata di cui vivevo io. Vidi in lui, la mia stessa disperata solitudine. Non eravamo soli, ma era così che ci sentivamo entrambi. Riconobbi in lui, un lato di me e fu questo che mi condannò.




L'Alba di Caøs ed ÅrmoniåWhere stories live. Discover now