Real friendships never die

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Los Angeles- 17 dicembre 2019

Levi

Tutto ciò che provavo era rabbia. Rabbia verso il destino, verso mia madre che mi aveva abbandonato, verso mio zio che me la ricordava, verso il dolore, verso i miei amici, verso Eren e verso me stesso che non provava altro che questo fottuto sentimento.

Non riuscivo a pensare a qualcosa di positivo, non riuscivo nemmeno più a studiare e i miei voti si erano abbassati alla velocità della luce nonostante l'occhio di riguardo che avevano i professori verso di me. In particolare Erwin.

Poi c'era il gruppo di teatro, dove mi ero sempre sentito bene, ma che ora non riuscivo a sopportare. I ragazzi mi parlavano come se stessi per cadere a pezzi e odiavo i loro sguardi preoccupati. Odiavo quando mi chiedevano come stavo e cercavano di darmi una mano. Marco e Petra avevano insistito particolarmente, portandomi ad evitarli per poter stare meglio.

Tutta questa rabbia che imperava dentro di me si era placata per poco tempo, quando mi ero allontanato dalla casa che sapeva troppo di mia madre.

Nel centro dove alloggiavo non stavo sicuramente meglio, anche lì tutti si preoccupavano per me ma il pensiero che fosse semplicemente il loro lavoro, e che, quindi, fosse per finta, mi consolava leggermente. Era meglio di stare a casa dove Kenny non faceva altro che provare pena per se stesso e per me.

Infine c'era Eren con cui non sapevo mai come interagire. Era l'unico che mi trattava senza pesare ogni parola che pronunciava e aveva il coraggio di prendermi in giro. Allo stesso tempo il solo vederlo mi ricordava il periodo della nostra amicizia e la rabbia ritornava, sopratutto verso me stesso. L'unica cosa che potevo fare era evitarlo ma era diventato fottutamente difficile da quando mi ero aperto nella caffetteria. Quella volta mi sentivo troppo esausto e triste per potermi arrabbiare.

Non sapevo cosa fare per poter stare meglio e non credevo che ci sarebbe stato un rimedio. Prima o poi tutta questa rabbia mi avrebbe consumato.

Sfortunatamente, la psicologa che mi aveva seguito, mi aveva costretto ad andare a scuola e ora mi trovavo sull'autobus che mi ci avrebbe portato.

Quando entrai nell'edificio che poco sopportavo, trovai Marco all'entrata. Dallo sguardo che mi rivolse capii che mi stesse aspettando. Sospirai e feci un passo verso di lui, non potendo ignorarlo.

"Levi, volevo parlarti", mi disse lentamente, con un tono accondiscendente che mi irritò nel giro di pochi secondi. Strinsi una mano a pugno, cercando di non rispondere male.

"Non abbiamo niente da dirci."

Sapevo che fosse una bugia anche perché c'erano così tante cose che avrei potuto rivelare ma il mio orgoglio mi impediva di farlo. Avrei tanto voluto passare quella giornata senza parlare ma si stava rivelando qualcosa di impossibile.

"Invece si e lo sai. Io non posso capire tutto quello che stai passando però vorrei starti vicino. E anche gli altri lo vogliono. Ti prego, dicci qualcosa", disse speranzoso. Avevo sentito quelle parole fin troppe volte e mi stavano facendo venire un forte mal di testa.

"Sto bene", tagliai corto e cercai di allontanarmi, sperando che la campanella suonasse il prima possibile.

"Smettila di dire cazzate", sbottò un'altra voce meno dolce e più alta. Mi voltai e incrociai lo sguardo di Jean, sollevando leggermente la testa.

"Smettila perché vogliamo solo aiutarti. Tutti quanti e anche Petra", continuò, facendomi alzare gli occhi al cielo. Mi rendevo conto di aver rotto con quella ragazza solo per colpa di questa rabbia cieca che prendeva possesso del mio corpo. Ma era stato meglio così, sia per me che per lei.

Ereri- FiresideWhere stories live. Discover now